Maria Antonietta nacque in una
piccola e “strana” cittadina. Il Vasto
era scollegato dal resto del mondo. Solo attraverso la ferrovia si poteva
raggiungere comodamente (per l’epoca) il luogo, mentre gli altri collegamenti
viari erano scarsi, inadeguati e scomodi. Verso il sud erano completamente
assenti.
Eppure dal Vasto erano partiti
uomini divenuti illustri come Gabriele Rossetti, Gabriele Smargiassi, i
Fratelli Palizzi, Valerico Laccetti, i conti Tiberi ed altri.
Ritengo che Il Vasto fosse luogo
di cultura grazie all’ambiente che si era sviluppato alla corte del marchese
Cesare Michelangelo d’Avalos il quale
avrebbe voluto trasformare la sua città in una corte alla maniera di Urbino. L’investimento del
“Magnifico” principe diede i suoi frutti nel secolo successivo alla sua morte
quando Vasto veniva chiamata “l’Atene degli Abruzzi”.
I genitori di Maria Antonietta
erano giunti a Vasto al servizio del principe Quarto di Belgioioso, il quale,
amico di Avveduto Bartoli Avveduti, padre della bimba, li ospitò nella sua
tenuta di Villa Aragona.
Avveduto Bartoli Avveduti era di
ricca famiglia originaria di Chianciano
(e/o Montepulciano) che, oberato di debiti, si era dovuto allontanare dal suolo
natio e non poteva tornare in questo perché inseguito dai creditori. Nemmeno
poteva tornare a Roma, città natale
della moglie, poiché anche qui aveva lo stesso problema. Per qualche tempo
nella amena Vasto trovò un tranquillo “rifugio”. Tuttavia anche da qui dovette
fuggire, questa volta in America. Portò con se due figli maschi (ed una femmina?).
Maria Antonietta non volle
seguirlo e rimase con sua madre a girare l’Italia e a studiare le materie che
erano la sua passione: la recitazione ed il canto.
Ma come poteva accendersi una
tale passione in una bambina nata in un centro come Vasto?
Penso che tutto dipenda
dalla educazione e dai racconti della madre, la quale a Roma, sul finire del
secolo, sicuramente aveva frequentato teatri, cinema e luoghi di cultura varia.
A differenza del padre, troppo preso dalle corse dei cavalli, dalle sale da
giuoco e dal suo ruolo di viveur nei cafè-chantant.
Nella piccola cittadina adriatica
all’epoca c’erano il Teatro Regio e il cinema (Eden). C’era anche il restaurant della stazione dove, tra uno
sherry e un pasticcino, trattenersi e magari scambiare “novità” e punti di
vista con passeggeri in transito o personalità di ritorno.
E’ solo il caso di ricordare che
nel 1906 una giovane coppia, prima di suicidarsi, si era intrattenuta a
sorseggiare un aperitivo proprio in questo restaurant.
La ragazzina, crescendo tra i
racconti del vissuto materno e le letture che sicuramente avranno accompagnato
la sua adolescenza, dopo la partenza del padre e assecondata dalla madre, trovò
spianata la strada per la sua carriera che la portò a diventare “la piacente” di Gabriele D’Annunzio.
A questo punto, partendo da un
opuscolo del (1907) dove appare la sua immagine ma non il suo nome, espongo la
mia teoria su una donna che per affermarsi ha dovuto cambiare non solo stile di
vita ma spesso anche il nome.
Se pensiamo alla Belle Epoque e
ai suoi personaggi femminili, viene in mente alla Lili Kangy della famosa canzone di Capurro e Gambardella.
La protagonista della canzone
appare stilisticamente molto lontana dalla immagine che il Vate costruì intorno a Antonietta e che la rinominò Elena Sangro.
Lilì Kangy sciantosa e sciupa
uomini - come la moglie dello scultore Cifariello (il ragno nero), che in
quegli anni forse stava già lavorando al
monumento a Gabriele Rossetti - è più vicina allo stile paterno che a quello
materno di Maria Antonietta, tuttavia ci pare di trovare l’immagine altera, fatale
e tragica della bellissima di “Elena” in quella vaga attrice della Savoia film
chiamata, alla moda del tempo: Jeanne Nolly.
…… (continua)
Nota Bene: Nella foto elaborata da Francesco Paolo Spadaccini non sono rappresentati Maria Antonietta e suo padre Avveduto. Magari lo fossero!
Nota Bene: Nella foto elaborata da Francesco Paolo Spadaccini non sono rappresentati Maria Antonietta e suo padre Avveduto. Magari lo fossero!
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