Mi sveglio e mi ha accorgo che il mio cervello ha fame. E' una splendida giornata. Caldissima.
Vado al mare? No, vado a Roma. Vado a visitare una mostra di Brian Eno.
Prendo un pullman che all'una mi lascia alla stazione Tiburtina.
Dal fresco dell'aria condizionata ai 40 gradi dell'asfalto molliccio. Mi voglio far male.
A piedi fino al Portico di Ottavia passando tra i viali alberati fino a Termini e immerso in quella interminabile fila di palazzi e monumenti di ogni epoca che solo Roma può mostrare.
Tra i tavoli affollati di gente occupata nel nutrire il corpo, dopo un sorso d'acqua preso da una tipica fontanella romana, cerco la Galleria Valentina Bonomo e un anonimo portoncino mi accoglie.
Suono un vecchio campanello di ottone. Non ottengo risposta ma il rumore tipico dell'impulso elettrico che apre un cancello. Lo valico, attraverso un piccolo cortile, oltrepasso un'ampia porta di legno massiccio, mi fermo in un minuscolo ingresso e ....
Mi sono sentito come un "emigrante" del futuro di ritorno sulla terra dopo una lunga permanenza in un pianeta lontano. Un "emigrante" che ritrova la sua casa, non più come l'aveva lasciata al momento della partenza ma "arredata" secondo gli usi, le abitudini, lo stile e le mode del momento del ritorno.
L'opera di Brian Eno è posta sotto le volte a crociera dell'antico stabile - "giustamente" intonacate e tinteggiate di bianco - e con queste si fonde in un contrasto che supera le ambientazioni dei film di Kubrick o di Lucas o ...
Come l'emigrante ha bisogno di un "abbraccio" anche io, sperduto in quel minuscolo luogo, attendevo qualcuno da incontrare.
Si avvicina una ragazza che parlava italiano con un seducente accento estero.
Mi spiega. Io ascolto.
Mi trovavo in un giardino dai fiori che generavano suoni. Ogni fiore un suono, tutti insieme una musica.Immerso in questa musica godevo dei colori generati da piccoli pannelli luminosi posti sulle pareti.
Attratto da tutto, anche dalla obsoleta apparecchiatura per l'aria condizionata, quasi posta ad antica memoria come in contrapposizione con l'opera esposta, e dai gradini in antico peperino verde, lascio quel luogo per prendere la via del ritorno.
Nutrito il cervello mi accorgo che ora è il mio stomaco ad avere fame.
Nessun commento:
Posta un commento