mercoledì 10 luglio 2013

Folata di vento


Di Giuseppe F. Pollutri


I viaggi della disperazione (e della vergogna)

Non fiori, ma “opere” di bene! Pregare…, certo, ma non come atto sostitutivo del fare. Le parole di Papa Francesco: “Signore, ti chiediamo perdono”! E’ quel che si deve, ha da essere nella coscienza collettiva, ma non basta. Occorre dire piuttosto “basta” alle distrazioni e alle omissioni, delle Nazioni e dei potenti della terra.

Nel mare Mediterraneo, tra le coste africane e quelle italiane, si registra una media di due morti al giorno negli ultimi 25 anni”!
Così - nettamente e tranquillamente - la presentatrice televisiva nel dar notizia del “Viaggio pastorale” o “missionario” di papa Francesco a Lampedusa, principale attracco e ricovero dei migranti, salvati vivi o recuperati in mare morti. Questo è il miserando risultato dei cosiddetti  “Viaggi della speranza” dei migranti dall’Africa e dal Medio Oriente.

Voglio astenermi, per quanto possibile, dal commentare ‘criticamente’ la visita del capo della cristianità all’isola propaggine ultima d’Italia e d’Europa, volta a commiserare la tragedia immane e, per come vanno le cose, senza fine di gente necessitata a lasciare la propria terra ed anche i propri cari, per un futuro umanamente dignitoso o soltanto per la sua sussistenza. Mi basta annotare, per amore della verità e del rispetto che ad essa si deve, che per la salvezza (non solo in mare, e non sarebbe poco) di questi disperati occorre che si faccia qualcosa d’altro e di più. E, seppur soltanto con parole chiare e nette, che questo avvenga piuttosto in altra sede e luogo, come il Parlamento Europeo e nel consesso mondiale dell’ONU.

1 commento:

Alessandro ha detto...

"...che questo avvenga piuttosto in altra sede e luogo, come il Parlamento Europeo e nel consesso mondiale dell’ONU."

Troppo facile riporre delle aspettative messianiche verso quella o quell'altra istituzione, come se queste potessero risolvere il problema "motu proprio". È una scappatoia.
È da secoli che l'Africa è preda del colonialismo. Prima attraverso il controllo politico, ora attraverso quello economico. Cui prodest? Al nostro stile di vita che ci ha reso simili a delle cavallette che consumano, consumano, consumano, senza sosta. Come se questa fosse l'attività più naturale di questo mondo.
E come fare in modo che i consumi aumentino? Basta abbassare i prezzi e di conseguenza i costi della manodopera e delle materie prime. Se noi pagassimo il minerale del Congo che serve per i cellulari per il suo valore effettivo (compresi i costi di manodopera che tengano conto della dignità del lavoratore), ecco che i prezzi degli stessi lieviterebbero e ciò ridurrebbe la fetta di mercato di quel business gigantesco che sono le telecomunicazioni. Un esempio tra i tanti che si potrebbero fare.
Dovremmo cambiare il nostro stile di vita, rinunciando a tanto superfluo, e globalizzare i diritti, per cambiare veramente rotta.
Purtroppo la tendenza è di segno opposto: continuare a sfruttare i Paesi africani e rimanere con la "pancia piena".
Ecco perché non basterebbero gli interventi di ONU e UE. Gli interessi in gioco sono troppo forti.
E gli sbarchi nel corso degli anni non potranno che aumentare.