mercoledì 18 gennaio 2012
L'ottimo spunto di riflessione di un lettore.
Non so se a Vasto sopravvive un detto dialettale che origina dalle condizioni precarie di una famiglia. Il detto era la risposta a chi in famiglia chiedeva alla mamma: “Màa, …ùje ch’ìss’i màgne?”; e lei risponde:“Chèzze..cucuccìlle e òve”, a voler indicare le solite povere cose oppure niente.
Temo che questo detto stia tornando nel linguaggio comune.
Siamo in una crisi economica molto pesante e dalla quale non usciremo prima di una diecina d’anni; in questo periodo perderemo alcune, se non molte, delle nostre abitudini spendacciose.
Gli stipendi non cresceranno, i disoccupati e i sottoccupati aumenteranno; cresceranno le incertezze e le insicurezze.
Segnali negativi sull’occupazione arrivano dalla Pilkington, dalla Denso, dalla Golden Lady, dalla diminuzione di occupati in agricoltura, nell’edilizia, nel commercio e nella zootecnia abruzzesi e brutte notizie da altre fabbriche che rischiano di chiudere per sempre.
E andrà anche peggio, grazie alle incertezze che si stanno insinuando negli investitori locali.
Chi ha un po’ di risparmi cercherà ogni modo per salvaguardarli e certamente non li sperpererà.
Si andrà in vacanza sempre meno e sempre più crescerà il turismo “mordi e fuggi”; già oggi questo è evidente e non riesco proprio ad immaginare chi possa farsi qualche centinaio di chilometri per guardarsi Punta Aderci che continuiamo a mettere al centro di ogni nostra discussione, come fosse l’ombelico del mondo e la soluzione di ogni nostro male.
All’alba dei 10 anni di crisi, se basteranno, si troverà meglio chi avrà saputo guardare alle cose concrete, agli investimenti solidi, alla prudenza nello spendere, alla austerità nelle abitudini, alla collaborazione reciproca. E si salveranno quelle amministrazioni che avranno capito in tempo di non dover più contare su finanziamenti pubblici a pioggia, che le chiacchiere ideologiche stavano a zero e che era ora di guardare alle cose concrete .
E cosa facciamo noi vastesi? Discettano da mesi su una centrale di 4MW, che quanto a potenza equivale a 25 camion, oppure 60 utilitarie che circolano; neanche fosse una centrale nucleare 250 volte più potente. Dello stesso tipo, a biomasse da 1 MW, ce ne sono nei cortili di ospedali e di scuole e i sindaci li inaugurano con orgoglio.
Il punto non è tanto la tecnologia o le ragioni di opportunità, ma il modo con cui si strumentalizzano questi temi a scapito di altri ben più concreti.
Ci si preoccupa della filiera lunga del biocombustibile come se la benzina o il metano o il GPL o il gasolio o il silicio delle fotocellule arrivino da “fòre la Porte”.
Anche il turista arriva da lontano; quindi pure lui ha una filiera lunga ed è un tipo molto inquinante.
Si argomenta sulla non economicità dell’operazione e sul fine utilitaristico di sfruttare gli ecoincentivi, come non fosse la stessa cosa per fotovoltaico ed eolico. Nessuna di queste sedicenti rinnovabili avrebbe un futuro senza ecoincentivi.
Emissioni nocive? Se qualcuno fa dei conti si accorge che abbiamo molte più emissioni nocive con l’incremento di auto dei turisti che arrivano da noi in estate, rispetto a quelle della centralina. E pensare che di auto vorremmo ne arrivassero ancora di più e che circolassero in città alla ricerca del ristorante e del bar in piazzetta.
Vogliamo la piana di Punta Penna area esclusivamente turistica, ma senza toccare una zolla; roba da Alice nel paese delle meraviglie. E i turisti dove li fai dormire, mangiare, parcheggiare, pisciare, cacare, ballare e sballare? Come li fai scendere a mare da lassù, come proteggi il dirupo, come fai arrivare elettricità, acqua, gas? E gli scarichi fognari dove li fai arrivare? Che fai? Metti in fila i sacchi a pelo e i cessi chimici? Li fai scendere con le funi sulle spiaggette?
Mi chiedo se c’è qualcuno a Vasto che si prenda la briga di studiare i dati sui movimenti turistici in Italia negli ultimi due o tre anni, ad es. i dati pubblicati dalla Banca d’Italia; se qualche pensatore vada qualche volta a controllare chi sono questi turisti, quando spendono, dove si fermano, da dove vengono, quali servizi prediligono, se viaggiano in auto o in aereo, se in compagnia della famiglia o da soli, se alloggiano in alberghi o da parenti o in villaggi turistici o in campeggi.
Invece il primo che si alza la mattina parla di turismo e se ne inventa una, o diventa il paladino della comunità, senza che nessuno lo abbia eletto a questo incarico.
Si chiede di sbaraccare le poche industrie che abbiamo, spaventando eventuali investitori, e al loro posto c’è chi vuole il presepe con pecore e pastorelli, chi un villaggio indiano con capanne, chi sogna il giardino dell’eden.
Piazzassimo un centro IKEA a Punta Penna potremmo stare sicuri che almeno 3-400 posti di lavoro li avremo ottenuti oltre ad un forte impulso sull’indotto logistico. E vuoi vedere che, acquistato il divano, i clienti si fermano per una giornata al mare?
Parliamo di rinvigorire gli orti dell’Angrella, in piena città; ne parliamo come se fosse chissà quale impresa virtuosa e non ci si chiede dove vadano poi a depositarsi le emissioni solide del traffico urbano residente, aggiunto a quello turistico. E dove se non sul terreno e sull’insalata degli orti?
Spariamo lo spettro del cancro a capocchia, appena vediamo la sigla ppm, mentre le giovani mamme attendono chiacchierando tra loro che il rosso scatti al verde, con il bimbo nel carrozzino che intanto fa i suffumigi con gli scarichi delle auto a pochi metri; forse ignorano che all’altezza del nasino le concentrazioni di ppm sono ancora più alte. A casa poi non sanno che friggendo scrippelle e fegatazzi respirano particelle quanto un saldatore in un cantiere navale.
D’estate poi, corso Garibaldi, grazie alle auto che la intasano tutto il giorno, è una formidabile centrale d’inquinamento e di quelle pericolose, ma chissenefrega, l’importante è salvare quel povero albero a simbolo di questa lotta ipocrita contro la modernità.
Ormai chiunque può parlare di tutto; tutti scienziati, tutti esperti ricercatori; basta avere un dr. un prof., meglio ancora un Ph.D., davanti al nome e sei un profeta; nessuno ti chiederà se hai competenze specifiche sulle cose di cui parli. Troppo semplice sarebbe che un fisico parli di fisica, un meteorologo di clima, un chimico di chimica, un medico di salute, ecc.; no, da noi anche il mago Otelma può parlare di biomasse. All’epoca del ripascimento avevamo, per la verità, anche una schiera di biologi marini.
Tra poco, grazie ai tuttologi, non potremo nemmeno accendere “la furnacèlle” per qualche peperone arrostito o aprirci le cozze con un fuocherello sulla spiaggetta di Vignola: il vicino potrebbe denunciarci per attentato alla salute pubblica.
Ma una soluzione c’è: diventare la prima comunità amish in Abruzzo così verranno i turisti giapponesi a guardarci vivere girando con i calessi e coltivando granoturco; ma facciamolo in fretta prima che i nostri giovani siano costretti a riprendere le vie dell’emigrazione già percorse dai loro bisnonni.
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