L'amico Felice Monteferrante da tempo mi chiede come mai a Vasto non si parla mai di Raffaele Mattioli. Nel "momento" in cui sale alla ribalta il "problema" Monte Paschi di Siena e in una giornata fredda che non invita ad uscire, invito a leggere quanto Felice mi ha scritto su Mattioli.
Dalla
legge amato del 1990 cioè con la privatizzazione del sistema bancario, il
cui residuo pubblico è rimasto nelle fondazioni bancarie, sono avvenute molte
fusioni ed acquisizioni . basti ricordare la nascita di intesa san paolo dalla
fusione di Banca Intesa e Sanpaolo IMI quella di capitalia con
UniCredit, la fallita scalata di unipol a b.n.l. ( fusasi in seguito con bnp
paribas),la recente acquisizione di fonsai da parte della stessa unipol e le
tante fusioni tra banche di credito cooperativo.
Si
diceva , giustamente, che le nostre banche erano troppo piccole per reggere la
concorrenza dei colossi europei e per
fare acquisizioni all’estero ed infatti ora soprattutto UniCredit ed intesa san
paolo sono presenti in molti paesi europei.
È
vero che dal fallimento di lehman brother’s che ha dato inizio alla crisi , prima
finanziaria e poi economica, nel nostro paese non ci sono state bolle ne
finanziarie ne immobiliari, come è accaduto in Irlanda o in Spagna, ne lo stato
è dovuto intervenire fino alla nazionalizzazione ( fatta eccezione del maxi
prestito di 3.9 mil. di euro a M.P.S.) di alcuni gruppi finanziari o
assicurativi, come è avvenuto alla britannica northern rock alla tedesca
commerz bank e più recentemente alla spagnola
Bankia
o al gruppo assicurativo franco-belga
Dexia.
Ciò
vuol dire che il nostro sistema bancario sa valutare bene a chi concedere
credito?
La
risposta solo in parte è affermativa, perché se è vero che le nuove regole di
Basilea (1,2,3,) costringono a continue ricapitalizzazioni e se l’ E.B.A.(
autority bancaria) è stata molto severa
con le nostre banche che detenevano titoli di stato, è pur sempre vero che
anche in un sistema interbancario bloccato e con lo spread alto, la B.C .E. ha iniettato liquidità
per 1000 miliardi di euro un terzo dei quali sono arrivate alle nostre banche.
Questa
liquidità però è servita per ricapitalizzazioni ed acquisto di titoli di stato,
forse un bene per il sistema paese ma meno per imprese e famiglie.
Infatti
è proprio questa mancanza di concessione di credito uno dei problemi che
costringono, anche le nostre imprese più solide che impiegano parte dei loro
utili in innovazione e ricerca e che
hanno il loro core business anche nei
mercati mondiali, a rinunciare a fare nuovi investimenti.
Forse
“ci vorrebbero più banchieri e meno bancari” intendendo che, il rapporto di
prossimità di direttori di filiali con i propri clienti sa fare valutare meglio le idee e non solo il
patrimonio che si deve dare in garanzia. Ma purtroppo ciò è prerogativa di
qualche Cassa rurale o di qualche Credito cooperativo.
Al
netto della crisi mondiale, forse è giunto il momento che la politica faccia
una seria riflessione su quelli che prima si diceva essere i poteri forti, oggi
sempre meno forti visto che la globalizzazione e l’assetto dell’U.E. ha
rosicchiato buona parte della sovranità dei singoli governi.
Però
se guardiamo, senza entrare nei particolari e nei nomi dei protagonisti, le
vicende che hanno riguardato Mediobanca e generali e le conseguenze che ciò può
portare all’informazione (R.C.S. e non solo) capiamo che i protagonisti, sia
persone che istituti bancari, sono sempre gli stessi.
hanno ratificato il primato della banca d'affari di
Piazzetta Cuccia nell'advisoring. Con 77 operazioni e 32.2 miliardi di dollari
movimentati. La banca milanese oltre a svettare al primo posto è anche l'unico
advisor italiano tra i primi dieci posti ed ha praticamente stradominato nell’energia e
nell’industria La mossa dell'Eni in
Belgio, con l'acquisizione da oltre 3 miliardi di Distrigaz, quella da 16
miliardi fatta da Terna sulla rete ad alto voltaggio di Enel e la maxi-fusione
da 1,4 miliardi di Iride-Enia, godevano della consulenza della banca guidata da
Alberto Nagel .Così come nelle Tlc la banca ha seguito Telecom Italia nella
vendita di Alice France, le attività di banda larga, al gruppo transalpino
Iliad. La singola più grande operazione in cui Mediobanca è stata coinvolta è
stata l'offensiva da 5 miliardi di Finmeccanica negli Stati Uniti sull'azienda
di Difesa Drs.
Il motivo di maggiore soddisfazione per la banca, in
un anno terribile per tutte le banche d'affari, è il buon posizionamento
all'estero: Mediobanca è il quarto advisor in Spagna e unica banca d'affari
italiana tra le prime 25 censite da Thomson nel Paese. L'istituto è alle spalle
di Ubs, Citi e Goldman, ma davanti a leader mondiali come Morgan Stanley, Hsbc
o JpMorgan, grazie anche ai big deal, da 8 miliardi, della cordata
Citi-Abertis-Atlantia che ha acquisito la concessionaria autostradale Itinere.
In Germania la banca d'affari presieduta da Cesare Geronzi si è posizionata
ottava, distanziando di tredici posizioni UniCredit (che nel Paese gode
dell'apporto della controllata Hvb) e di sedici Banca Leonardo. Sedicesima
posizione, infine, per Mediobanca in Francia, ma anche in questo caso la banca
può vantare di essere l'unico advisor italiano piazzatosi in classifica nel
Paese.
Oggi l’era Geronzi è finita ma Mediobanca controllando
Generali resta ancora la cassaforte d’Italia e sarà ancora decisiva nella
fusione Unipol Fonsai e nella utopica realizzazione di fondere UniCredit ed
Intesa San Paolo.
A questo punto conviene fare un escursus storico su
Mediobanca. Fondata nel 1946 e
soprattutto su uno dei suoi protagonisti, il nostro concittadino Raffaele
Mattioli, terzo figlio di una famiglia della piccola borghesia. Dopo aver
frequentato l’Istituto tecnico commerciale “Ferdinando Galiani” a Chieti,
nell’autunno 1912 si iscrive all’Istituto superiore di studi commerciali di
Genova. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, si arruola come volontario in
fanteria. Dopo la fine del conflitto presta servizio nell’ufficio
politico-militare del corpo d’occupazione interalleato di Fiume e in seguito si
aggrega come osservatore alle legioni di Gabriele D’Annunzio, per il quale
svolge mansioni di addetto all’ufficio stampa. Lasciato definitivamente
l’esercito nel gennaio del 1920, ritorna agli studi universitari, laureandosi
nel dicembre dello stesso anno con una tesi di Economia monetaria. Dal 1921 al
1925 lavora in qualità di assistente presso l’istituto di Economia politica
dell’Università “Bocconi” di Milano. Parallelamente ricopre la posizione di
segretario generale della Camera di commercio di Milano, dove cura in
particolare il potenziamento dell’ufficio studi: uno dei primi frutti di questo
impegno è l’inizio della pubblicazione regolare di statistiche sul commercio e
sull’andamento dei prezzi. L’attività svolta alla Camera di commercio richiama
l’attenzione dell’Amministratore delegato della Banca commerciale italiana,
Giuseppe Toeplitz che lo assume come proprio segretario di Gabinetto nel
novembre del 1925.
Accanto a Toepliz, alla
Banca commerciale Mattioli collabora alla stesura delle
relazioni annuali della Banca commerciale fin dall’esercizio 1925, contribuendo
a mettere in luce i principali problemi strutturali del sistema bancario
italiano: l’alto grado di concentrazione oligopolistica del settore creditizio,
la scarsità di capitali di rischio e il peso preponderante del modello della
banca mista, la cui funzione propulsiva del processo di sviluppo industriale
risulta ancora insufficiente. A partire dal 1926 la Banca commerciale inizia a
soffrire di una preoccupante situazione di immobilizzo dei crediti vantati nei
confronti di imprese industriali, mentre la crisi borsistica rende impossibile
il ricorso al mercato finanziario interno. Toeplitz decide pertanto di
ricorrere ai mercati esteri, trattando la concessione di prestiti con organismi
finanziari inglesi, olandesi e, soprattutto, americani. Il passo successivo è
un viaggio di Toeplitz negli Stati Uniti nel maggio 1928 – accompagnato da
Mattioli, che viene promosso Direttore addetto nell’ottobre dello stesso anno –
per rinsaldare i rapporti della banca con il mondo finanziario americano e
tentare il collocamento di azioni della Banca commerciale sul mercato
statunitense. In seguito alle perturbazioni internazionali dovute alla “grande
crisi” e alla svalutazione della sterlina, la Banca commerciale si trova costretta a chiedere
l’intervento dello Stato, per porre rimedio a una gravissima crisi di
liquidità.
La riforma
sotto l’Iri Mattioli, promosso
nel frattempo Direttore centrale, redige su incarico di Toeplitz nel settembre
del 1931 un memoriale per Mussolini – intitolato Per la regolamentazione dell’economia italiana – nel quale propone
di affidare i pacchetti azionari industriali posseduti dalle banche miste e il
coordinamento della politica industriale a un ente di natura tecnica, che vedrà
poi effettivamente la luce con la costituzione dell’Istituto per la
ricostruzione industriale (Iri), creato nel gennaio 1933 e presieduto da
Alberto Beneduce . Il 31 ottobre del 1931 viene infine stipulata la convenzione
per il salvataggio della Banca commerciale, con lo scorporo delle
partecipazioni industriali tramite la società finanziaria di smobilizzo
Sofindit.
Nel marzo 1934 la proprietà della Banca commerciale passa dal Consorzio mobiliare finanziario (controllato dalla banca stessa) all’Iri, e le azioni della banca in mano ai privati si riducono a una frazione trascurabile. Toeplitz è costretto a lasciare la guida della banca e, nell’assemblea del 25 marzo 1933, gli subentrano in qualità di nuovi amministratori delegati Michelangelo Facconi e lo stesso Mattioli. Questi ultimi, al fine di tutelare l’autonomia della Commerciale da possibili ingerenze del nuovo azionista pubblico, s’impegnano a realizzare in tempi brevi un sostanziale riequilibrio del bilancio e una rapida riforma dell’organizzazione interna. L’obiettivo è quello di aggiornare l’originario modello tedesco adottando – laddove possibile – le nuove soluzioni organizzative sviluppate dalle banche statunitensi nei primi decenni del Novecento: semplificazione dei servizi funzionali della Direzione centrale e abolizione delle gerarchie intermedie di funzionari; maggiore collegialità delle decisioni; avvio di nuove routines per migliorare i dati di controllo direzionale, l’erogazione dei crediti e l’attività di sviluppo commerciale; meccanizzazione della contabilità e conseguente riduzione del personale; selezione e cura delle risorse umane, vero fattore critico nella competizione tra le banche. «Il nazionalismo fu la sua prima “eresia”, al cospetto dell’establishment. Per esso il banchiere non deve avere una patria, la sua patria è il mondo. “Per Mattioli, invece,la Patria (con la maiuscola) è
l’Italia (…), è stato a Fiume con D’Annunzio”.
Nel marzo 1934 la proprietà della Banca commerciale passa dal Consorzio mobiliare finanziario (controllato dalla banca stessa) all’Iri, e le azioni della banca in mano ai privati si riducono a una frazione trascurabile. Toeplitz è costretto a lasciare la guida della banca e, nell’assemblea del 25 marzo 1933, gli subentrano in qualità di nuovi amministratori delegati Michelangelo Facconi e lo stesso Mattioli. Questi ultimi, al fine di tutelare l’autonomia della Commerciale da possibili ingerenze del nuovo azionista pubblico, s’impegnano a realizzare in tempi brevi un sostanziale riequilibrio del bilancio e una rapida riforma dell’organizzazione interna. L’obiettivo è quello di aggiornare l’originario modello tedesco adottando – laddove possibile – le nuove soluzioni organizzative sviluppate dalle banche statunitensi nei primi decenni del Novecento: semplificazione dei servizi funzionali della Direzione centrale e abolizione delle gerarchie intermedie di funzionari; maggiore collegialità delle decisioni; avvio di nuove routines per migliorare i dati di controllo direzionale, l’erogazione dei crediti e l’attività di sviluppo commerciale; meccanizzazione della contabilità e conseguente riduzione del personale; selezione e cura delle risorse umane, vero fattore critico nella competizione tra le banche. «Il nazionalismo fu la sua prima “eresia”, al cospetto dell’establishment. Per esso il banchiere non deve avere una patria, la sua patria è il mondo. “Per Mattioli, invece,
«Come crociano, Mattioli era liberale, ma seguiva in campo economico la scuola keynesiana, essendo favorevole all’intervento dello Stato nell’economia, una eresia per i
liberisti puri alla von Hayek o alla Milton Friedman. Cuccia in ciò lo ritiene
un liberale anomalo.
Nel febbraio del 1960 veniva eletto anche presidente
del Consiglio d'amministrazione della Banca.
Vice presidente della Banca Francese e Italiana per
l'America del Sud e della Banca della Svizzera Italiana, il M. fu capo di una
missione economica a Washington dal novembre 1944 al marzo del 1945, e, nel
marzo-aprile 1947, di una missione a Belgrado che concluse il primo trattato
commerciale con la
Iugoslavia.
ha favorito varie iniziative nel campo degli studî
umanistici
rivista La Cultura
creazione dell'Istituto italiano di studî storici in
Napoli, succedendo poi a B. Croce
collezione storico-letteraria La letteratura
italiana
rilevo la casa editrice Ricciardi
Stringe rapporti di sodale amicizia con letterati e
intellettuali quali Benedetto Croce, Carlo Emilio Gadda, Giacomo Manzù ed
Eugenio Montale.
Paga lui le spese di ricovero di Antonio Gramsci e,
dopo la morte dell’intellettuale sardo nel 1937, si adopererà per salvare i
suoi Quaderni del carcere, facendoli consegnare a Togliatti.
Della cultura ebbe una concezione
alta, prediligeva quella accademica. Ma sapeva riconoscere nei giovani il
talento, l’originalità, l’impegno. Manteneva rapporti con Piero Sraffa,
Benedetto Croce, Riccardo Bacchelli, Eugenio Montale, Gadda, Mario Praz, Arrigo
Cajumi, Luigi Einaudi, Palmiro Togliatti, Franco Rodano, ma aiutava negli studi
a Londra giovani come Eugenio Scalfari e Marcello De Cecco.
Giovanni Malagodi al grande
economista inglese, Lord John Maynard Keynes, che Mattioli conobbe tramite
Piero Sraffa, e all’industriale e politico tedesco Walter Rathenau,
intellettuale raffinatissimo, propugnatore di un’Economia Nuova, ministro della
Ricostruzione e degli Esteri nella Repubblica di Weimar, da cui Robert Musil
trasse ispirazione per un personaggio del suo romanzo “L’uomo senza qualità”».
«Sulla funzione della banca
Mattioli aveva idee precise. In una famosa lezione illustrò alla sua maniera
iperletteraria e immaginifica che la «banca è come la cantina di Auerbach dove
si può scegliere tra sciampagna, Tokai, Borgogna, Reno» e dove le imprese
andavano assistite nelle loro necessità di credito. Le banche, secondo
Mattioli, dovevano concedere fidi su valutazioni razionali, evitando il
«credito agevolato» («Chi reclama un taglio negli interessi da pagare, si
conferma ipso facto fuori del mercato»). La Comit da lui guidata per un quarantennio ha
sempre sostenuto le imprese capaci di realizzare il profitto («una funzione socialmente
necessaria») in un regime di concorrenzialità.
Era scettico verso la politica
degli incentivi per il Mezzogiorno,
Non aveva molta stima per gli
imprenditori «baroni delle rendite» senescenti minorenni, cui far indossare la toga virile»
È passato alla leggenda lo scambio
di opinioni tra Mattioli e Palmiro Togliatti, il segretario del PCI, che chiese
al banchiere: «Ma a che serve oggi una collana di classici?». E Mattioli: «Io
ho costruito un muro. Finché voi non avrete digerito i libri di questo muro,
non potrete fare neppure un saltino così». Il catalogo della collana, che ha
superato i novanta volumi, registra il Gotha della cultura letteraria e
filologica: Gianfranco Contini, Eugenio Garin, Mario Fubini, Giovanni Getto,
Raffaele Spongano, Antonio Viscardi, Francesco Flora, Giovanni Aquilecchia,
Romano Amerio, Attilio Momigliano, Carlo Muscetta, Norberto Bobbio, Ezio
Raimondi, Mario Bonfantini, Ettore Bonora, Giovanni Pozzi, Cesare Segre, Franca
Ageno, D’Arco Silvio Avalle, Carlo Salinari, Emilio Cecchi, Goffredo Bellonci,
don Giuseppe De Luca. A quest’ultimo, grande storico della pietà, Mattioli
affidò intorno al ’52 la cura di un volume dedicato agli scrittori di religione
del Trecento, che uscì nel ’54 e che Carlo Dionisotti definì una «lezione» per
«tutti noi strudiosi di letteratura italiana e non per noi soltanto». Mattioli
– ha scritto Alberto Vigevani, scrittore finissimo ed editore de Il Polifilo –
«sceglieva i testi con i curatori, li consigliava nel loro lavoro, se era il
caso li correggeva, leggeva manoscritti e bozze di stampa, scriveva,
telefonava, in continuo contatto con i collaboratori e la tipografia». Aveva
una capacità di lavoro mostruosa – in questo simile a Benedetto Croce e a
Gabriele d’Annunzio, che sono stati tra l’altro tre grandi editori italiani del
’900 – e aveva in uggia le ferie (soltanto una settimana nella sua casa toscana
di Nozzole, dove sostavano anche Croce e Carlo Emilio Gadda), di cui diceva:
«Solo la gente che non sa vivere discrimina fra lavoro e hobby. Nessuna ora e
tutte le ore sono subsecivae: l’ozio e il lavoro, a un certo livello, sono la
stessa cosa. La torta è la torta, e l’uomo è l’uomo, non si può dividere».
Francesco Cingano, che diverrà amministratore delegato della Comit, ha
raccontato in un’intervista i discorsi contorti a cui dovevavo ricorrere i
collaboratori diretti di Mattioli per annunciargli le ferie. Un russo bianco
poliglotta, fedelissimo di Mattioli, Valentino Bona, ex segretario di Cicerin,
ministro degli Esteri dell’URSS fino al ’29, dovette fingersi sordo per andare
in pensione dopo gli ottanta anni».
Di Sraffa, economista di fama
universale, Mattioli divenne amico e lo rimase per una vita al tempo in cui si
occupava della “Rivista bancaria”, per incarico di Attilio Cabiati, docente di
economia alla Bocconi di Milano. Sraffa era figlio di Angelo, rettore della
Bocconi, e Mattioli lo aiutò nella tesi di laurea. Da Sraffa ricevette i
“Quaderni del carcere”, che salvò nel caveau della Comit. L’episodio fu reso
noto soltanto dopo la morte di Raffaele Mattioli, che avvenne il 27 luglio
1973, un anno successivo alla sua defenestrazione per un colpo di mano
partitocratico di «quattro mediocri democristiani» (Marcello De Cecco). Gli era
subentrato Gaetano Stammati, che finirà iscritto alla Loggia massonica P2 di
Piero Gelli. Mario Melloni, il geniale corsivista che si firmava Fortebraccio
sull’«Unità», scrisse: «Entra nella Comit il grigio burocrate, l’opaco commis e
ne escono la fantasia e l’intelligenza». Quando Mattioli morì, ha scritto Gianfranco
Contini, «la sua fine parve storicamente tempestiva, sentimentalmente precoce».
Nel ’52, dopo la morte di Croce,
Mattioli assunse la direzione dell’Istituto per gli Studi Storici di Napoli,
salvando il grande patrimonio crociano.
Diverso il rapporto che ebbe con d’Annunzio. Lo seguì a
Fiume, entusiasta e un po’ catturato dall’eloquenza del Vate, con l’incarico
delicato di tenere i contatti tra il Comandante e Mussolini. Ma si stancò
presto del clima ribellistico e parolaio dell’avventura fiumana e abbandonò il
Poeta che lo lapidò con parole roventi: «Odio i ragionatori che hanno il
cervello incallito come il ginocchio del dromedario nel deserto». Ma il Vate,
tramite l’editore Treves, bussò spesso alla Comit per prestiti che non gli
furono negati».
Carlo Emilio Gadda, dal canto suo,
gli dedicò le “Novelle del Ducato”…
Ma, a distanza di anni dalla sua
scomparsa, le questioni da lui poste, come la formazione di una classe
dirigente, sono ancora in piedi, in un panorama profondamente cambiato.
In quegli anni l'ufficio studi
della Comit diventa una sorta di università "segreta" della classe
dirigente laica e antifascista, dove saranno accolti, tra gli altri, Ugo La Malfa , Giovanni Malagodi,
Guido Carli ed Enrico Cuccia, con cui costruì il progetto dell'IRI e di
Mediobanca.
Fu il primo banchiere italiano a sostenere Enrico Mattei, finanziando contro
ogni logica imprenditoriale la sopravvivenza dell'AGIP nei primi periodi di
amministrazione Mattei.
Nel 1972 rifiutò la carica di Presidente onorario della Comit, passata, secondo le
logiche della lottizzazione politica, al democristiano Gaetano Stammati, membro
della loggia massonica P2 di Licio Gelli.
Discepolo e amico di Benedetto
Croce, nel 1942 partecipa alla stesura del manifesto del Partito d'Azione, ma, allo
stesso tempo, lavora al salvataggio di casa Savoia
. cui restauro aveva contribuito
in modo munifico, si ritiene in ricordo di Guglielma la Boema , oggetto nel Medio Evo
di un culto disapprovato dalla Chiesa cattolica.
La casa natia di
Mattioli è stata donata dai figli alla cittadinanza di Vasto con destinazione
culturale, insieme a un fondo librario di oltre 3800 volumi, tra cui alcuni
autografi.
I libri di maggior
valore sono invece stati conferiti alla Fondazione Raffaele Mattioli per la
storia del pensiero economico, la cui biblioteca aveva sede a Milano nei locali
della Banca Commerciale Italiana e comprende anche l'archivio Verri.
La fondazione,
gestita dagli eredi di Mattioli e presieduta (al 2011) da Enrico Decleva, ha
arricchito la raccolta libraria vendendo alcuni libri di filosofia e
acquisendone altri di storia del pensiero economico; la raccolta risultante, di
circa 4000 volumi fra cui alcuni appartenuti ad Adam Smith, è stata donata nel
2011 all'Università degli Studi di Milano, nei cui locali era precedentemente
ospitata, andando a costituire la Biblioteca Raffaele
Mattioli per la storia del pensiero economico.
Nessun commento:
Posta un commento