giovedì 27 giugno 2013

Dedicato a ... (lo sanno loro).



Ho sognato mio nonno Peppino che, sorridendo, mi dava una amorevole pacca sulla spalla.
Mio nonno Peppino Laccetti fu uno di quei “capomastri” che dovevano per forza di cose conoscere bene il proprio “mestiere” se volevano lavorare.
Quando arrivarono le “nuove tecnologie costruttive” decise di tirarsi da parte poiché queste erano lontane anni luce dalla mente delle maestranze del settore edile dell’epoca.
Abituato com’era al mattone pieno, alle mattonelle in scaglie di marmo, agli intonaci a “rene e cemende”, pensò bene di dedicarsi al commercio dei “nuovi” prodotti come il mattone forato, le piastrelle in ceramica, le nuove apparecchiature sanitarie eccetera. Ciò avvenne, non perché non si ritenesse all’altezza, bensì perché aveva raggiunto uno status che gli permetteva quella  “sana pigrizia” atta a fargli dire: “mo avaste! Quasse je. Si li vù, essete li murte e piagnetele ti”.
Lui però era muratore per passione oltre che per mestiere e non lasciò mai la sua attività. Lo si trovava quasi ogni giorno all’opera nella manutenzione delle sue proprietà.
Io lo seguivo spesso e osservavo il suo modo di agire. Soprattutto studiavo il suo modo di porsi e risolvere i problemi.

Per la professione che svolgo, mi capita di trovarmi ad osservare e collaborare (non mi piace la parola dirigere) con le varie maestranze presenti sui cantieri. Capisco al volo le competenze ed il carattere di queste, siano esse abili, capaci, furbe, inadeguate eccetera, e cerco di fare del mio meglio per  non essere “inopportuno”. Se una cosa secondo me non va, pongo l’interlocutore (intelligente) nella posizione di capire e mi faccio “consigliare” da lui la soluzione che io stesso avrei proposto, ottenendo così il duplice risultato di “perfetta regola d’arte” e soddisfazione dell’operatore.
Il problema nasce quando mi trovo di fronte un “assoluto” imbecille, in aggiunta anche presuntuoso. Uno di quelli che dicono: “ dove ti presenti! Solo perché sei Architetto …”. Con questi non riesco a ragionare. Mi arrendo.

Ho letto da qualche parte una bella frase: L’abbondanza migliora lo stile di vita ma peggiora le competenze. Niente di più vero.

Stiamo attraversando un periodo in cui una persona, ritenendo di saper fare una cosa (quando la sa fare), crede di saper fare tutto. Questo, secondo me, a causa del periodo di grassa abbondanza che abbiamo attraversato (e che, aimè, volge al termine). In questo periodo, infatti, si sono formati tanti “specialisti” che, ritenendosi tali, pensano di poter applicare la loro “specializzazione” in ogni situazione, senza accorgersi che così non è. E si fanno anche chiamare “maestro”.

Faccio un esempio.

Un elettricista che è abituato a operare su pareti in mattone forato, pretende che il muratore esegua le tracce necessarie per il “suo” impianto anche su murature in pietra. Il muratore che non lavora a mano, esegue con i mezzi meccanici il lavoro (altrimenti a cosa servirebbe la tecnologia) fino a rendersi conto che l’operazione è troppo pesante se non impossibile (anche per questioni economiche o di tempo). Allora, richiuso quanto già operato (con spreco di materiali e tempo)  si opta per “la canalina esterna” (altrimenti a cosa servirebbe la tecnologia).
Ma dove la facciamo passare?
E già! Qui non arriva la tecnologia. Qui arriva il succo del mio ragionamento. Si pone la difficoltà maggiore. Quella delle competenze, dell’esperienza, della sensibilità, della capacità nel trovare la “soluzione ottimale”.
Ecco! La soluzione ottimale.
Ma se non ci si è mai trovati davanti ad un problema, come lo si risolve? Sforzandosi di pensare oppure chiedendo a chi in altre occasioni ne ha avuti di simili. Questo è il mio pensiero.
E invece no! Pensare è troppo “pesante” mentre chiedere ad altri significherebbe dare a costoro una (viva e vibrante) “soddisfazione” magari dovendo riconoscere di avere limiti. Questo è il pensiero di tanti.
Perché un altro dovrebbe saperne più di me. Perché un altro dovrebbe avere più esperienza, perché ….. Dopo tutto anche il Papa ha detto che siamo tutti uguali. Ma qualcuno avrà capito in che senso?
E poi, cosa importa cercare la “perfezione” sforzandosi di “pensare” quando il “cliente” paga e si accontenta. Inoltre, ammesso che qualcuno abbia qualcosa da ridire, si può sempre scaricare la colpa sugli “assenti”.

Io credo di aver capito il significato della pacca sulla spalla datami mio nonno in sogno: la presunzione dell’incompetente non porta da nessuna parte mentre con l’umiltà del competente si ottengono risultati “profondi” e questi, anche se non riconosciuti dagli altri, danno grande soddisfazione.

I pensieri delle “persone” che sanno di essere la fonte ispiratrice di questo articolo ne sono la dimostrazione.

… a proposito! Mio nonno è stato “cavaliere del lavoro” ma non lo ha mai detto a nessuno.

1 commento:

Alessandro ha detto...

Bell'articolo. Complimenti! Ci sono esperienza biografica e riflessioni più ampie che condivido. Hai ragione, in giro c'è troppa supponenza e poco senso della competenza. Siamo nella società del "tutto e subito". Si pensa che esistano scorciatoie per diventare esperti in un campo. Diversamente, acquisire una professionalità - nei più disparati settori- richiede anni e umiltà.