Ho sognato mio nonno Peppino che, sorridendo, mi dava una
amorevole pacca sulla spalla.
Mio nonno Peppino Laccetti fu uno
di quei “capomastri” che dovevano per forza di cose conoscere bene il proprio
“mestiere” se volevano lavorare.
Quando arrivarono le “nuove
tecnologie costruttive” decise di tirarsi da parte poiché queste erano lontane
anni luce dalla mente delle maestranze del settore edile dell’epoca.
Abituato com’era al mattone
pieno, alle mattonelle in scaglie di marmo, agli intonaci a “rene e cemende”,
pensò bene di dedicarsi al commercio dei “nuovi” prodotti come il mattone
forato, le piastrelle in ceramica, le nuove apparecchiature sanitarie eccetera.
Ciò avvenne, non perché non si ritenesse all’altezza, bensì perché aveva raggiunto
uno status che gli permetteva quella
“sana pigrizia” atta a fargli dire: “mo
avaste! Quasse je. Si li vù, essete li murte e piagnetele ti”.
Lui però era muratore per
passione oltre che per mestiere e non lasciò mai la sua attività. Lo si trovava
quasi ogni giorno all’opera nella manutenzione delle sue proprietà.
Io lo seguivo spesso e osservavo
il suo modo di agire. Soprattutto studiavo il suo modo di porsi e risolvere i
problemi.
Per la professione che svolgo, mi
capita di trovarmi ad osservare e collaborare (non mi piace la parola dirigere)
con le varie maestranze presenti sui cantieri. Capisco al volo le competenze ed
il carattere di queste, siano esse abili, capaci, furbe, inadeguate eccetera, e
cerco di fare del mio meglio per non
essere “inopportuno”. Se una cosa secondo me non va, pongo l’interlocutore
(intelligente) nella posizione di capire e mi faccio “consigliare” da lui la
soluzione che io stesso avrei proposto, ottenendo così il duplice risultato di
“perfetta regola d’arte” e soddisfazione dell’operatore.
Il problema nasce quando mi trovo
di fronte un “assoluto” imbecille, in aggiunta anche presuntuoso. Uno di quelli
che dicono: “ dove ti presenti! Solo
perché sei Architetto …”. Con questi non riesco a ragionare. Mi arrendo.
Ho letto da qualche parte una
bella frase: L’abbondanza migliora lo
stile di vita ma peggiora le competenze. Niente di più vero.
Stiamo attraversando un periodo
in cui una persona, ritenendo di saper fare una cosa (quando la sa fare), crede
di saper fare tutto. Questo, secondo me, a causa del periodo di grassa
abbondanza che abbiamo attraversato (e che, aimè, volge al termine). In questo
periodo, infatti, si sono formati tanti “specialisti” che, ritenendosi tali,
pensano di poter applicare la loro “specializzazione” in ogni situazione, senza
accorgersi che così non è. E si fanno anche chiamare “maestro”.
Faccio un esempio.
Un elettricista che è abituato a
operare su pareti in mattone forato, pretende che il muratore esegua le tracce
necessarie per il “suo” impianto anche su murature in pietra. Il muratore che
non lavora a mano, esegue con i mezzi meccanici il lavoro (altrimenti a cosa servirebbe la tecnologia) fino a rendersi conto
che l’operazione è troppo pesante se non impossibile (anche per questioni
economiche o di tempo). Allora, richiuso quanto già operato (con spreco di
materiali e tempo) si opta per “la
canalina esterna” (altrimenti a cosa
servirebbe la tecnologia).
Ma dove la facciamo passare?
E già! Qui non arriva la
tecnologia. Qui arriva il succo del mio ragionamento. Si pone la difficoltà
maggiore. Quella delle competenze, dell’esperienza, della sensibilità, della
capacità nel trovare la “soluzione ottimale”.
Ecco! La soluzione ottimale.
Ma se non ci si è mai trovati
davanti ad un problema, come lo si risolve? Sforzandosi di pensare oppure
chiedendo a chi in altre occasioni ne ha avuti di simili. Questo è il mio
pensiero.
E invece no! Pensare è troppo
“pesante” mentre chiedere ad altri significherebbe dare a costoro una (viva e
vibrante) “soddisfazione” magari dovendo riconoscere di avere limiti. Questo è
il pensiero di tanti.
Perché un altro dovrebbe saperne
più di me. Perché un altro dovrebbe avere più esperienza, perché ….. Dopo tutto
anche il Papa ha detto che siamo tutti uguali. Ma qualcuno avrà capito in che
senso?
E poi, cosa importa cercare la
“perfezione” sforzandosi di “pensare” quando il “cliente” paga e si accontenta.
Inoltre, ammesso che qualcuno abbia qualcosa da ridire, si può sempre scaricare
la colpa sugli “assenti”.
Io credo di aver capito il
significato della pacca sulla spalla datami mio nonno in sogno: la presunzione
dell’incompetente non porta da nessuna parte mentre con l’umiltà del competente
si ottengono risultati “profondi” e questi, anche se non riconosciuti dagli
altri, danno grande soddisfazione.
I pensieri delle “persone” che
sanno di essere la fonte ispiratrice di questo articolo ne sono la
dimostrazione.
… a proposito! Mio nonno è stato
“cavaliere del lavoro” ma non lo ha mai detto a nessuno.
1 commento:
Bell'articolo. Complimenti! Ci sono esperienza biografica e riflessioni più ampie che condivido. Hai ragione, in giro c'è troppa supponenza e poco senso della competenza. Siamo nella società del "tutto e subito". Si pensa che esistano scorciatoie per diventare esperti in un campo. Diversamente, acquisire una professionalità - nei più disparati settori- richiede anni e umiltà.
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