Certi oggetti vivono fuori del loro tempo pur rappresentandone l’espressione e il gusto e forse proprio per la loro capacità di testimoniare qualcosa che va oltre la loro funzione diventano ambite prede dei collezionisti. E’ questo il caso della produzione Brionvega.
Quanto sopra è tratto da un articolo trovato sul web che mi ha colpito molto poiché con gli “oggetti” Brionvega ho condiviso un lungo periodo, tra la seconda metà degli anni Sessanta e tutti gli anni Settanta. Questi oggetti sono stati fonte di ispirazione e di culto. Sono stati forse, insieme ai mattoncini Lego, il motivo della scelta di Architettura quale facoltà universitaria.
Trovare certi oggetti che, sia pure realizzati in plastica e di uso comune, resistono nelle case alla stregua degli antichi mobili di famiglia, significa che si può fare “arte” anche tramite la produzione industriale. Stimolo a seguire la strada della creatività. Non voglio scomodare William Morris o tutto il mondo del “design” ma solo far affiorare le sensazioni che un oggetto provoca in chi con quegli oggetti ha vissuto. La stessa sensazione che si prova osservando un quadro d’autore o un monumento. Il ricordo di una radio di plastica gialla che, al tramonto, suona tra gli abbaini di un palazzo romano nel 1969, rappresenta una immagine incancellabile per chi ha vissuto quell’esperienza. Quando si rivede uno di quegli oggetti, una sorta di grammatica segreta, una sintassi negli spazi effimeri, una interpunzione tra i tanti ricordi sgorga nel rivedere i colori, magari sbiaditi dall’età ma sempre vivi, nelle forme che vanno molto oltre l’attuale modernità, nell’abbinamento tra arte e cosa comune perso ormai da tempo.
A volte capita di ritrovare questi oggetti gelosamente custoditi negli armadi o accuratamente imballati e riposti nelle soffitte o nelle cantine. La prima sensazione che generano è quella di un malinconico sorriso. La seconda il gesto di chi vorrebbe liberarsene. Poi quella strana attrazione, una sorta di innamoramento, che ti porta, se non si trova una sistemazione migliore, a imballarlo di nuovo “con cura” e lasciarlo nel posto dove è stato sistemato, ancora in “attesa”. Non si sa mai … quell’oggetto possiede un certo non so che.
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