Quando, negli anni settanta, partivo per Roma col treno di mezzanotte da Pescara, mi veniva sempre da pensare agli emigranti che con quel tipo di treno con i sedili di legno, raggiungevano le loro mete in Belgio, in Germania, in Francia eccetera. A volte nei casi peggiori, mi veniva da pensare, in maniera fantozziana (e col dovuto rispetto), ai deportati nei campi di concentramento.
Era da tanto tempo che non provavo più quel tipo di sensazioni.
Mercoledì scorso, a mezzanotte, sono salito su un bus della Sangritana, uno di quelli usati di solito per gli spostamenti dei pendolari, per recarmi a Innsbruck.
Da Vasto a Fano è stato un susseguirsi di fermate per “caricare” persone che come me volevano visitare il Tirolo. Il problema però è iniziato da Ancona, dove sono salite due signore che avevano il posto assegnato nel sedile dietro il mio e in quello davanti. La prima mi ha chiesto gentilmente di non reclinare il mio schienale all’indietro, mentre la seconda, con un rapido gesto, ha “disteso” quanto più possibile il suo verso di me. Come se non bastasse un ragazzo altissimo, seduto sul sedile di fianco, non trovando altra posizione, considerata l’esiguità dello spazio, ha pensato bene di mettere le sue gambe di traverso nel corridoio, così che io non ho potuto nemmeno muovermi in quella direzione. Lui mi dava un calcetto e chiedeva scusa. Io una gomitata e chiedevo “pardon”, insomma: Buona notte!
Siamo arrivati alla destinazione il pomeriggio del giorno “dedicato alla Immacolata Concezione” alle ore 14 circa e, tra l’altro, avevo stampato sulle ginocchia la retina porta oggetti del sedile posto dinanzi al mio.
Poco male, il luogo che ci accoglieva meritava quel sacrificio.
Quanto ho raccontato potrebbe bastare per evidenziare le “difficoltà” di un viaggio, tuttavia, niente di quanto sopra può minimamente paragonarsi al viaggio … di ritorno.
Partenza da Merano. Più di quattro ore per fare meno di quaranta chilometri. La simpatia degli autisti, il film proposto sul pullman, la gioia di partecipanti al viaggio, i pensieri positivi per quanto visto in quei luoghi, nulla hanno potuto rispetto al problema più impellente: la pipì.
Non si poteva nemmeno ridere. Tutti immobili. Il volto tirato dei viaggiatori, lasciava trasparire tutta l’imbarazzante “sofferenza”. Forse ora capisco perché, da piccolo, nei viaggi di ritorno dai pellegrinaggi ai vari santuari, le donne “cantilenavano” dondolando sempre la stessa strofa di una canzone fino all’arrivo.
Al primo autogrill un fuggi fuggi dall’autobus, ma quanto succedeva nel nostro, succedeva anche in decine e decine di altri autobus e centinaia di autovetture. Il tutto si sommava ai già tanti camion parcheggiati in quel luogo, i cui autisti stazionavano nel bar, sui piazzali e nelle vicinanze dei servizi igienici, nell’attesa di riprendere il viaggio sospeso per la festività.
Scene raccapriccianti: smisurate file di vecchi, donne e bambini verso le porte dove campeggiava la scritta w.c. Sembrava l’immagine di coloro che (sempre con rispetto parlando) si recavano verso le camere a gas. Qualcuno già pronto per la “bisogna”. Lunghe file di uomini sui muretti, le reti di recinzione e dietro ogni tipo di pianta, magari cercando punti più o meno al buio. Donne che, fuggite dalle file davanti ai w.c, ignorando lo sguardo di tanti “curiosi” osservatori, si accoccolavano sui prati, ormai incuranti di tutto quello che nel mondo sarebbe potuto succedere in quel momento pur di liberarsi. Una ragazza, accovacciata dietro i bidoni dei rifiuti, mostrava le “ginocchia” verso “il pubblico” che mangiava il panino di fronte a lei. Una signora bionda, con accento settentrionale, mi ha detto: “scusi, posso approfittare della sua presenza, non ce la faccio più. Penseranno che lei sia mio marito e …” non ho capito il resto perché, molto imbarazzato, mi sono voltato per non guardarla. Poi l’ho vista sparire tra i tir verso il suo bus (senza nemmeno salutare, che maleducata!).
Ironia della sorte, appena ripartiti qualcuno ha deciso di proporre il film: “Non ci resta che piangere”, mentre alcuni viaggiatori litigavano con il “capogruppo”. Chissà perché!
Durante l’ultimo tratto del viaggio, quando ormai l’autobus era quasi vuoto ho cominciato a riflettere ed a tirare le somme su questa breve vacanza. Ho pensato che nonostante tutto questa “avventura” andava vissuta e sarebbe anche da rivivere. Soprattutto perché lì dove ero andato ho sentito l’aria, il calore e il profumo delle feste di Natale, mentre qui le feste sono ‘Na tale desolazione, ‘Na tale noia, ‘Na tale …. che ….
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