martedì 25 marzo 2014

Prosegue la discussione.

Comune il pianto alle Fosse Ardeatine. Ma di “Via Rasella” non c’è modo di vantarsene

Ieri non m’è parso vero di poter leggere da altri quello che era il mio personale pensiero... Nel suo blog, Francesco Paolo D’Adamo esplicitava direttamente o implicitamente l’interrogativo che a mio avviso è comunque da porsi, seppure collateralmente, nel ricordare con la dovuta amarezza e condanna civile e morale il feroce eccidio di 335 italiani, compiuto il 24 marzo del 1944, dai comandi militari tedeschi, sulla Via Ardeatina di Roma.
Nel post citato si ricorda che il politico comunista Giorgio Amendola, in un suo scritto del 1964, abbia dichiarato, sull’attentato partigiano del 23 marzo, in Via Rasella: Fui io a segnalare la colonna da colpire”! Per lui, immaginiamo, era un vanto ed è, in realtà, una responsabilità tremenda. Un’ideazione e volontà omicida incomprensibile, se non in termini di vendetta personale, per uno che aveva visto il padre (il liberale Giovanni) morire nel ’26 per le percosse patite dalle squadre fasciste. In termini generali, sono in molti ad essere convinti che quell’attentato alle truppe germaniche, operanti a Roma con funzione di gendarmeria, non fosse necessario e neppure decisivo per la “Liberazione”. La Capitale (dichiarata “città aperta), benchè occupata dai tedeschi a seguito dell’abbandono da parte del Re e del Governo italiano, non era affatto un “teatro di guerra” in cui operare con azioni militari o di resistenza armata.

Sfuggì ad Amendola, e ugualmente alla riflessione di molti altri, negli anni successivi:
a) che l’uccisione di 33 componenti (e molti altri feriti) di un Corpo di Polizia tedesca (Polizeiregiment Bozen) da parte dei “partigiani”, senza una vera necessità operativa, onestamente non può essere considerata, allora come ora, una “azione di guerra”, e ha significato un decretare a freddo la morte di uomini, seppur militari, non meno degni di rispetto che altri. Al punto che trovo inaccettabile – s’è vero - quanto attribuito ad A. De Gasperi, che alla notizia dell’attentato si sarebbe limitato ad esclamare, rivolgendosi ad altri politici: ... ”ne avete combinata un'altra delle vostre. Non state mai fermi voi comunisti. Una ne fate e cento ne pensate”. Parole superficiali e di scarsa sensibilità umana, nel caso, sorprendenti in un politico che fondava la sua azione su valori etico-sociali cristiani;
b) che l’eccidio per decimazione – orribile e inaccettabile, nelle motivazioni e nel modo con cui avvenne il rastrellamento e il pronto massacro di rappresaglia – fu diretta e prevedibile conseguenza dell’azione dinamitarda effettuata dai GAP comunisti, gratuita strategicamente e voluta come esercizio ‘simbolico’ (il 23 marzo era una ricorrenza celebrativa fascista) nella lotta comunista per la conquista e per l’esercizio del potere. Responsabilità (vorrei dire colpa) che non è stata mai sufficientemente denunciata e stigmatizzata moralmente.

In casi come questi si usa ripetere il motto francese: “A’ la guerre comme à la guerre”! Il significato è chiaro, e la volontà giustificativa pure, ma anche il guerreggiare ha le sue regole, il suo raziocinio... In ogni caso, un atto ‘propagandistico’ come quello dei GAP (una “strage cercata” è stata definita) richiese un cinismo comportamentale e un’incoscienza intellettuale che non può avere giustificazione di sorta e meno che mai “il vanto” mostrato, ancora successivamente, dal detto politico e dai suoi compagni di lotta partigiana per il Comunismo.

A settant’anni da quei fatti - l’uno e l’altro non cancellabili dalla memoria storica - mi permetto di poter pensare ancora che l’uccisione e la morte fosse anche dei “Caino” (mentre definire degli “SS” quelli della “Bozen” è falso e strumentale), grida ugualmente vendetta al cospetto di Dio. E anche dell’Uomo. Ancora oggi.


Giuseppe F. Pollutri 

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