Comune il pianto
alle Fosse Ardeatine. Ma di “Via Rasella” non c’è modo di vantarsene
Ieri non m’è parso vero di poter leggere da altri quello che era il mio personale
pensiero... Nel suo blog, Francesco Paolo D’Adamo esplicitava direttamente o implicitamente
l’interrogativo che a mio avviso è comunque da porsi, seppure collateralmente,
nel ricordare con la dovuta amarezza e condanna civile e morale il feroce eccidio
di 335 italiani, compiuto il 24 marzo del 1944, dai comandi militari tedeschi,
sulla Via Ardeatina di Roma.
Nel post citato si ricorda che il politico comunista Giorgio
Amendola, in un suo scritto del 1964,
abbia dichiarato, sull’attentato
partigiano del 23 marzo, in Via Rasella: “Fui io a segnalare la colonna da colpire”! Per lui, immaginiamo, era un vanto ed è, in
realtà, una responsabilità tremenda. Un’ideazione e volontà omicida incomprensibile,
se non in termini di vendetta personale, per uno che aveva visto il padre
(il liberale Giovanni) morire nel ’26 per le percosse patite dalle squadre
fasciste. In termini generali, sono in molti ad essere convinti
che quell’attentato alle truppe germaniche, operanti a Roma con funzione di
gendarmeria, non fosse necessario e neppure decisivo per la “Liberazione”.
La Capitale
(dichiarata “città aperta”), benchè occupata dai tedeschi
a seguito dell’abbandono da parte del Re e del Governo italiano, non era
affatto un “teatro di guerra” in cui operare con azioni militari o di
resistenza armata.
Sfuggì ad Amendola, e ugualmente alla
riflessione di molti altri, negli anni successivi:
a) che l’uccisione di 33 componenti (e
molti altri feriti) di un Corpo di Polizia tedesca (Polizeiregiment Bozen)
da parte dei “partigiani”, senza una vera necessità operativa, onestamente
non può essere considerata, allora come ora, una “azione di guerra”, e ha significato un decretare a freddo la morte di uomini, seppur
militari, non meno degni di rispetto che altri. Al punto che trovo inaccettabile
– s’è vero - quanto attribuito ad A. De Gasperi, che alla notizia dell’attentato
si sarebbe limitato ad esclamare, rivolgendosi ad altri politici: ... ”ne
avete combinata un'altra delle vostre. Non state mai fermi voi comunisti. Una
ne fate e cento ne pensate”. Parole superficiali e
di scarsa sensibilità umana, nel caso, sorprendenti in un politico che fondava
la sua azione su valori etico-sociali cristiani;
b) che l’eccidio per decimazione – orribile
e inaccettabile, nelle motivazioni e nel modo con cui avvenne il rastrellamento
e il pronto massacro di rappresaglia – fu diretta e prevedibile conseguenza dell’azione
dinamitarda effettuata dai GAP comunisti, gratuita strategicamente e voluta
come esercizio ‘simbolico’ (il 23 marzo era una ricorrenza celebrativa
fascista) nella lotta comunista per la conquista e per l’esercizio del potere. Responsabilità
(vorrei dire colpa) che non è stata mai sufficientemente denunciata e
stigmatizzata moralmente.
In casi come questi si usa ripetere il motto
francese: “A’ la guerre comme à la guerre”! Il significato è chiaro, e
la volontà giustificativa pure, ma anche il guerreggiare ha le sue regole, il
suo raziocinio... In ogni caso, un atto ‘propagandistico’ come quello dei
GAP (una “strage
cercata” è stata definita) richiese un cinismo
comportamentale e un’incoscienza intellettuale che non può avere giustificazione
di sorta e meno che mai “il vanto” mostrato, ancora successivamente, dal detto politico
e dai suoi compagni di lotta partigiana per il Comunismo.
A settant’anni da quei fatti - l’uno e l’altro
non cancellabili dalla memoria storica - mi permetto di poter pensare ancora che
l’uccisione e la morte fosse anche dei “Caino” (mentre definire degli “SS”
quelli della “Bozen” è falso e strumentale), grida ugualmente
vendetta al cospetto di Dio. E anche dell’Uomo. Ancora oggi.
Giuseppe F. Pollutri
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