Si tratta più precisamente della vecchia via della Casetta e la costruzione presente è quella dell’officina Palazzuolo. (Notizie tratte dal terzo volume “Dalla ricostruzione al boom economico”) dello stesso Beniamino Fiore che qui ringrazio per i bei ricordi messi a disposizione nostra e dei nostri figli.
Lo scrivente faceva parte del gruppo in copertina sul quarto volume…
A quanto pare sono arrivato troppo tardi per sperare di vincere. Questa foto, struggente direi, porta a qualche considerazione. Quella era una zona agricola con uliveti e vaste aree che si seminavano a grano. L'abbiamo destinata all'edilizia spianando ogni albero ed ogni arbusto. Ci abbiamo guadagnato? Ci abbiamo perso? Chi può dirlo! Quell'officina era lì proprio per le macchine agricole che si rompevano e a me, che ci passavo davanti tutti i giorni, capitava di vedere parcheggiati trattori, erpici, aratri, sarchiatrici, estirpatori, ecc., con 'Mbuà Giuvànne che usava mazze e fiamma ossidrica. Un po' alla volta quelle macchine sparirono e vennero sostituite da benne, ruspe, escavatori, ed altre macchine di movimento terra. Un po' alla volta, mano a mano che cemento e mattoni avanzavano. Un giorno lo vidi saldare un tratto di braccio di gru, direttamente sul cassone di un camion. Poi l'officina non ebbe più niente e il bravo Signor Giovanni poggiava la sua grande mole sul montante dell'ingresso e guardava la gente passare sempre più numerosa. Credo che quelli dell'ospedale gli abbiano offerto di tutto per ricomprargli quell'officina, ma lui resistette, testardo come un mulo; quasi un simbolo di resistenza all'irruenza del progresso. Diceva che quell'officina era molto di più del suo luogo di lavoro; il tornio, la fresatrice, il trapano a colonna e tutto il resto, erano i suoi famigliari e non li avrebbe mai abbandonati. Non ho mai visto un garzone lavorare con lui; era un solitario. Tuttalpiù erano i meccanici delle officine che gli portavano grosse parti da riparare che l'aiutavano nei lavori più pesanti. Ho assistito, affascinato, alla sostituzione del piano usurato di una benna con una lamiera di acciaio di 2 cm. Il cordone di saldatura sembrava la cornice di un quadro, per quanto era regolare. Quando seppe che frequentavo l'università cominciò a salutarmi con "ingegnè bongiorno!". E io "eh, màstre Giuvà! Ci na vò di strade!". "E chi ti corre apprèsse, fije mè? Piane piane arruvème tutte quende!" mi rispondeva.
Solo per quello che ho letto in qesto commento, specialmente nel finale, questo Mastre Giuvà, meriterebbe una targa ed un ricordo appropriato su dove fosse questa sua officina. Non ho conosciuto Vasto in maniera diversa da come può in qualche modo eserlo adesso, ne per l'età e ne per gli anni di residenza; ma ho visto le foto e sentito i racconti di mio padre per quanto riguada il suo paese, che per quanto è rimasto paese, ne ha subiti di cambiamenti... E' sempre bello tenere un occhio al passato ed uno al futuro, tenendo ben fermo il naso sul presente.
Ho letto con molto interesse questo ricordo di Cicco. Trovo affascinante la figura del sig. Giovanni, un uomo che ha difeso strenuamente i suoi luoghi. Noi invece non ci siamo riusciti.
Quando Ciccosan descrive certe "memorie" mi commuove (oggi forse è più facile del solito perche sono triste per la morte di una amica) Mi permetto di aggiungere però alla storia narralta il ricordo di una "giardinetta" color amaranto, simbolo di quella officina. Mi piacerebbe sapere poi se è vera la storia che questa auto fosse stata distrutta a Punta Penna a causa di un maldestro parcheggio sotto la gru di una nave che scaricava enormi tronchi d'albero.
7 commenti:
Via Ciccarone
Si tratta più precisamente della vecchia via della Casetta e la costruzione presente è quella dell’officina Palazzuolo.
(Notizie tratte dal terzo volume “Dalla ricostruzione al boom economico”) dello stesso Beniamino Fiore che qui ringrazio per i bei ricordi messi a disposizione nostra e dei nostri figli.
Lo scrivente faceva parte del gruppo in copertina sul quarto volume…
Inizio di Via Ciccarone. Adesso alle spalle dell'officina c'è l'Ospedale.
A quanto pare sono arrivato troppo tardi per sperare di vincere.
Questa foto, struggente direi, porta a qualche considerazione.
Quella era una zona agricola con uliveti e vaste aree che si seminavano a grano.
L'abbiamo destinata all'edilizia spianando ogni albero ed ogni arbusto.
Ci abbiamo guadagnato? Ci abbiamo perso? Chi può dirlo!
Quell'officina era lì proprio per le macchine agricole che si rompevano e a me, che ci passavo davanti tutti i giorni, capitava di vedere parcheggiati trattori, erpici, aratri, sarchiatrici, estirpatori, ecc., con 'Mbuà Giuvànne che usava mazze e fiamma ossidrica.
Un po' alla volta quelle macchine sparirono e vennero sostituite da benne, ruspe, escavatori, ed altre macchine di movimento terra.
Un po' alla volta, mano a mano che cemento e mattoni avanzavano.
Un giorno lo vidi saldare un tratto di braccio di gru, direttamente sul cassone di un camion.
Poi l'officina non ebbe più niente e il bravo Signor Giovanni poggiava la sua grande mole sul montante dell'ingresso e guardava la gente passare sempre più numerosa.
Credo che quelli dell'ospedale gli abbiano offerto di tutto per ricomprargli quell'officina, ma lui resistette, testardo come un mulo; quasi un simbolo di resistenza all'irruenza del progresso.
Diceva che quell'officina era molto di più del suo luogo di lavoro; il tornio, la fresatrice, il trapano a colonna e tutto il resto, erano i suoi famigliari e non li avrebbe mai abbandonati.
Non ho mai visto un garzone lavorare con lui; era un solitario. Tuttalpiù erano i meccanici delle officine che gli portavano grosse parti da riparare che l'aiutavano nei lavori più pesanti.
Ho assistito, affascinato, alla sostituzione del piano usurato di una benna con una lamiera di acciaio di 2 cm. Il cordone di saldatura sembrava la cornice di un quadro, per quanto era regolare.
Quando seppe che frequentavo l'università cominciò a salutarmi con "ingegnè bongiorno!". E io "eh, màstre Giuvà! Ci na vò di strade!". "E chi ti corre apprèsse, fije mè? Piane piane arruvème tutte quende!" mi rispondeva.
Solo per quello che ho letto in qesto commento, specialmente nel finale, questo Mastre Giuvà, meriterebbe una targa ed un ricordo appropriato su dove fosse questa sua officina.
Non ho conosciuto Vasto in maniera diversa da come può in qualche modo eserlo adesso, ne per l'età e ne per gli anni di residenza;
ma ho visto le foto e sentito i racconti di mio padre per quanto riguada il suo paese, che per quanto è rimasto paese, ne ha subiti di cambiamenti...
E' sempre bello tenere un occhio al passato ed uno al futuro, tenendo ben fermo il naso sul presente.
Ho letto con molto interesse questo ricordo di Cicco. Trovo affascinante la figura del sig. Giovanni, un uomo che ha difeso strenuamente i suoi luoghi. Noi invece non ci siamo riusciti.
Quando Ciccosan descrive certe "memorie" mi commuove (oggi forse è più facile del solito perche sono triste per la morte di una amica) Mi permetto di aggiungere però alla storia narralta il ricordo di una "giardinetta" color amaranto, simbolo di quella officina. Mi piacerebbe sapere poi se è vera la storia che questa auto fosse stata distrutta a Punta Penna a causa di un maldestro parcheggio sotto la gru di una nave che scaricava enormi tronchi d'albero.
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