Di Felice Monteferrante
Sulle dimissioni del Papa, (ma
sarebbe meglio chiamarla abdicazione visto il suo ruolo di Monarca assoluto
della Città del Vaticano) vaticanisti, giornalisti opinionisti di ogni genere e
gente comune, hanno giustamente, voluto dire la loro nelle trasmissioni televisive che si sono susseguite dopo la
notizia della volontà del Santo Padre di dare le dimissioni il 28 febbraio,
annunciate durante il Concistoro di lunedì scorso.
Così da “Otto e mezzo” a “Piazza
pulita” allo “Speciale porta a porta” e nei vari T.G. si sono ricordati tutti
gli ultimi scandali che hanno investito la
Santa Sede : l’intero Vatileaks (dalle
inchieste di Nuzzi, alla pedofilia, al caso Paolo Gabriele,alla corruzione e la
lotta intestina tra i diversi Cardinali), l’annullamento della scomunica dei
Lefebvriani o le dimissioni di Gotti Tedeschi
dallo I.O.R. (forse perché voleva fare applicare alla banca le normative
antiriciclaggio così come vuole l’U.E). Da venerdì scorso presidente dello
I.O.R. è il tedesco Ernest Von Freyberg.
Se non vogliamo anche dare la
patente di profeta a Nanni Moretti queste appaiono solo congetture fantasiose e
dietrologiche: lo stesso Pontefice, infatti, nel
libro-intervista “Luce del mondo non escludeva la possibilità di dimissioni,
previste, tra l’altro, dal Diritto Canonico.
Pochi però hanno affrontato il
problema partendo da quello che avrebbe potuto essere la vera svolta della
Chiesa Cattolica, cioè quel Concilio
Vaticano II (voluto da Papa Roncalli e conclusosi sotto il pontificato di Papa
Montini) di cui lo stesso Joseph Ratzinger ne fu protagonista.
Degli unici interventi su questo
tema ricordo solo quelli di Massimo
Cacciari, di Giuliano Ferrara, di Vito Mancuso e di pochi altri.
Già, quel Concilio che, dopo un
avvio di svolte progressiste sul ruolo delle donne nella Chiesa, sul celibato
dei preti e la morale sessuale, si concluse con una vittoria dei conservatori (come
non ricordare il lungo silenzio sull’uccisione del Monsignor Romero).
Un altro punto importante di cui
si è discusso è quello
dell’eccezionalità delle dimissioni di un Papa: infatti nella millenaria storia
della Cristianità solo altre due volte era accaduto:la prima fu quella di
Celestino V (vilipeso da Dante ed ammirato da Petrarca) la seconda quella di
Gregorio XII quando, nel 1309, la sede papale fu spostata da Roma in Provenza.
Però, a mio modesto parere, la
peculiarità di queste dimissioni risiedono nel fatto che, esse avvengono nel
pieno della Modernità cioè, nel pieno
della “Civiltà della Tecnica”. Senza scomodare la filosofia di Nietzsche o
Heidegger si possono menzionare le parole del filosofo Umberto Galimberti “se
io tolgo la parola Dio dal mondo, il mondo neanche se ne accorge ma se tolgo la
parola “tecnica” il mondo se ne accorge!” e sempre Galimberti nel suo ultimo
libro "Una religione dal cielo
vuoto" scritto con Vito Mancuso ricorda che «il cristianesimo ha desacralizzato
il sacro, sopprimendo la sua ambivalenza e assegnando tutto il bene
a Dio e tutto il male al suo avversario”. Tesi confutabili, che anch’io non
condivido in pieno, perché penso che esistano ancora molti che conservino
ancora lo stupore del Sacro e del Bello (Thauma) e nel loro quotidiano
pratichino il Bene.
Sulla stessa falsariga di
Galimberti si muove Marco Vannini sul “Manifesto” di cui riportiamo alcuni
passi: “Il vero dramma del papa riguarda
una cosa davvero essenziale: una fede che ha perduto le sue fondamenta
storiche. Ricordo che la fatica principale di Benedetto XVI in questi anni è
stata la redazione di una vita di Gesù, di cui nel Natale scorso è uscito
l'ultimo volume, quello dedicato all'infanzia di Gesù stesso. Molto
significativamente l'opera è stata presentata come uno studio scientifico, di
cui era autore il prof. Joseph Ratzinger, appunto, l'esperto di storia del
cristianesimo che dialoga con i dotti, prima ancora che il pontefice romano che
parla ex cathedra.
Io credo che un uomo colto come il papa, cui non sono ignoti i risultati della ricerca storica, non possa onestamente credere alle storie bibliche, ma sappia benissimo che sono invenzionila
Genesi , le storie dei patriarchi, l'Esodo, ecc. Più ancora:
costruzione mitica la storia della nascita di Gesù, il concepimento verginale,
così come leggendario buona parte del racconto evangelico, ivi compresa – forse – la stessa resurrezione. Ma il dramma
non è solo in questo, sta nel fatto che il papa conosce bene la profondità
spirituale del cristianesimo, la fede non come credenza in uno o più fatti
storici, ma come esperienza dello spirito. E dunque il vero dramma viene dalla
difficoltà di far comprendere che la verità del cristianesimo sussiste intatta
- anzi, viene davvero alla luce - anche senza quelle credenze tradizionali, cui
è stata affidata per due millenni. Far passare il cristianesimo da una fede
ingenua alla conoscenza dello spirito nello spirito, è in realtà un compito che
richiede secoli, probabilmente, e forze molto superiori a quelle di un vecchio
papa. Per questo le dimissioni di Benedetto XVI fanno venire alla mente l'«ultimo
papa» di cui parla davvero profeticamente Nietzsche nel suo Zarathustra: quel
vecchio papa ormai Ausser Dienst, collocato a riposo, appunto, perché il suo
Dio, «un Dio nascosto, pieno di mistero» è morto. È stato ucciso da quello
stesso amore di verità che ha fatto dire a un maestro «'Dio è spirito',
compiendo così il più grande passo verso l'incredulità: non è facile infatti
sulla terra portare rimedio a una tale parola». Ma Benedetto XVI conosce anche
altre parole di quel maestro: «È bene per voi che io me ne vada, perché se non
me ne vado, non verrà a voi lo spirito. Esso vi condurrà a tutta la verità».
Perciò ha preso congedo con dignità e umiltà commoventi, ma anche e soprattutto con grande serenità, frutto di una fede che non è credenza, ma sapere.”
Io credo che un uomo colto come il papa, cui non sono ignoti i risultati della ricerca storica, non possa onestamente credere alle storie bibliche, ma sappia benissimo che sono invenzioni
Perciò ha preso congedo con dignità e umiltà commoventi, ma anche e soprattutto con grande serenità, frutto di una fede che non è credenza, ma sapere.”
Io non credo che questa sia
un’analisi esatta in quanto, se fosse vero ciò che afferma Vannini il Santo
Padre avrebbe già dovuto lasciare nel periodo in cui era Prefetto della
congregazione per la Dottrina
della Fede.
Affrontiamo adesso un aspetto, solo
apparentemente distante dal tema che stiamo trattando: la rappresentazione di Cristo nella pittura: e per fare questo occorre
fare un breve excursus storico sulla storia dell’arte occidentale, dalle
sinopie di Pisanello fino ai giorni nostri tralasciando cioè, tutto il periodo
precedente dove, salvo rari casi, come nell’arte Copta, negli affreschi della
grotte in Cappadocia, la rappresentazione di Gesù erano allegoriche o
simboliche come il pesce (ichthys in
greco è l’acronimo di Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore) o il Buon
Pastore, o nel periodo del distacco della tradizione Cristiana da quella
Ebraica dove Gesù veniva raffigurato o come giovane imberbe o barbuto.
Se in Cimabue, ed in Simone
Martini c’era ancora la rappresentazione di un Cristo Pantocratore di
derivazione bizantina, in Giotto già apparivano nei volti l’espressione dei
sentimenti: così nel Rinascimento Cristo sulla Croce assumeva una dimensione
più realistica e più umana seppur nelle diverse declinazioni, dalla statica
ieraticità in Raffaello o Antonello da Messina, alla teatralità di Velàzquez o
al pathos di Grunewald.
Così il Cristo sarà rappresentato
anche nelle molte “Sacre Famiglie”, “Natività” insieme a Maria o nei molti dittici o trittici nei vari momenti
della sua Vita, Via Crucis o pagine tratte dai Testi Sacri.
Tutto ciò, come lo stesso Sgarbi
ha ricordato in un suo recente libro, termina nella seconda metà dell’ “800, quando
tutte le varie correnti artistiche si concentrano a rappresentare al meglio la
realtà (impressionismo, espressionismo, divisionismo) o il rapporto dell’uomo
con essa fino a rielaborarne e scomporne la forma (cubismo), o si cercava di
esprimere le pulsioni più profonde dell’uomo, grazie anche alla nascente
psicanalisi (secessione viennese).
Poi agli inizi del Ventesimo
secolo in tutte le avanguardie, almeno in quelle occidentali (futurismo,
vorticismo, action painting, arte concettuale, arte povera, ecc.) si dissolve, salvo
in poche eccezioni (come in alcuni esponenti della “Scuola Romana”,nella “Transavanguardia”,
nel “Realismo Sovietico” in Guttuso, nella poetica yiddish di Chagall o in
qualche artista d’oltreoceano come Hopper, Lichtenstein o Andy Warrol), la
stessa rappresentazione dell’uomo: Così Depero, Boccioni, Carrà, Burri, Fontana,
Manzoni, Vedova, da noi, Pollock, Ernst,
Malevic, Klee, Haring, Basquiat o nella ricerca sinestetica di Kandinsky nel
resto del mondo, tanto per citarne qualcuno, cercarono nuove strade: è più
importante sondare nuove dimensioni dello spazio e della materia che occuparsi dell’uomo
e di Dio: in alcuni casi, come in Dalì o in Ontani, sono gli stessi artisti a
diventare opere d’arte ed in Manzoni addirittura sono gli escrementi ad
assurgere a valenza estetica.
Così in tutto il ‘900 “Il Sacro”
riappare nella tragicità di “Guernica” o più recentemente nelle molteplici
provocazioni di Cattelan di Kendell
Geers nel suo “Crocifisso” o nel teatro blasfemo di Castellucci, censurato in
Italia.
Se questo discorso può apparire fuori luogo ricordiamoci che, sin dal
Medioevo l’alfabetizzazione religiosa è avvenuta soprattutto mediante la
rappresentazione del “Sacro” fatta dagli artisti e nel culto delle Reliquie:ed
ancora oggi in molti luoghi della nostra penisola molti riti religiosi si
rifanno a queste tradizioni.
Per tornare a questioni più propriamente Teologiche mi piace ricordare
due eminenti figure del Cattolicesimo: quella di Antonio Rosmini (beatificato solo nel 2007) soprattutto
quello profetico delle “5 piaghe della
Santa Chiesa”, ricordato spesso dallo stesso Ratzinge quando era ancora
Cardinale e quella di Carlo Maria Martini scomparso lo scorso agosto: già
Arcivescovo della Diocesi di Milano e fine biblista, è tornato in Italia solo
nel 2008, dopo un soggiorno in Terra-Santa dove ha potuto elaborare al meglio
la sua idea di Chiesa.
Martini cercò sempre un vero dialogo con le altre fedi, senza mai cadere
in derive sincretiste ed auspicava una Chiesa meno dottrinale e più apologetica
che sapesse meglio rispondere alle esigenze della contemporaneità.
Auguriamoci che il futuro Pontefice, indipendentemente dalla sua
provenienza geografica, sappia rispondere a queste sfide.
1 commento:
Sappiamo precisamente o quasi, a seconda appunto di quanto vogliamo essere o meno credenti e pieni di fede, chi elegge il Papa.
Ma chi elegge tutti questi personaggi citando i loro rispettivi libri, che siano ultimi o meno, recenti o meno recenti, a nuovi intellettuali?
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