Di Felice Monteferrante
Philippe Jullian, giornalista del
“Figaro Littéraire”, nelle prime pagine del volume “D‟Annunzio”, edito nel 1971 da Arthème Fayard,
insieme ai ringraziamenti a S. M. la regina Maria José, alla principessa
Bibesco e ad André Malraux, scrive:
«Spadolini, il celebre ballerino,
mi ha raccontato il soggiorno, fatto da giovanissimo, al Vittoriale».
Dopo aver perso un occhio nel corso
dell’ammaraggio vicino a Grado nel 1916, ad essere sfuggito
Ai bombardamenti di Fiume nel 1920,
D’annunzio trova il suo estremo rifugio
a Gardone Riviera sul lago di
Garda, nella tenuta di Cargnacco. I lavori di sistemazione di quello che
diventerà il Vittoriale degli Itaiani , emblema del “vivere inimitabile” di
D’annunzio, cominciano nel marzo del 1923
sotto la direzione dell’architetto Giancarlo Maroni e la supervisione
dello stesso D’annunzio.
Il Poeta ha una grande passione per
il corpo, femminile e maschile, e la sua residenza è ornata anche di disegni,
bronzi e riproduzioni di giovani, donne e uomini; in una nicchia della Stanza
della Cheli (sala da pranzo così chiamata dal nome greco della tartaruga che
troneggia in mezzo al tavolo) si ammira, ad esempio, il busto di Antinoo,
bellissimo giovane vissuto nel 130 d. C. amato dall’imperatore Adriano.
Jullian sostiene che Alberto
Spadolini (1907 – 1972) diventa il prediletto del Poeta alcuni mesi dopo il
“volo dell’Arcangelo”, ossia la misteriosa caduta dalla finestra del poeta del
13 agosto 1922 in
seguito alla quale rimane 12 giorni tra la vita e la morte.
Ma ecco il brano dello scrittore
francese:
«La testimonianza di un uomo nel
quale il ricordo di una grande bellezza e di un grande successo sulla scena non
è stato, come spesso accade, deformato o guastato dagli anni, precisa i
sospetti che nascono anche nella mente del visitatore meno prevenuto. Venuto
giovanissimo al Vittoriale nel 1924 allievo di un decoratore incaricato di
mettere in scena un’opera nel primo teatro all’aperto, il nostro testimone ci
dice che D’annunzio, a cui la vista si era molto abbassata, sarebbe stato
all’inizio attratto dalla sua voce e si direbbe attaccato a lui come un paggio
che lo avrebbe guidato nei giardini per dirgli tutto ciò che vedeva. Nacque
così un amicizia e il giovane fu invitato a restare
Al Vittoriale e poi trascorrervi
parecchi soggiorni.
D’annunzio confidava al suo
compagno tutto ciò che gli passava per la testa “ i visitatori sono importanti,
ma, come le mosche serali fanno parte della mia vita……tutto ciò che è felice è
per gli imbecilli, per noi la perfezione non è che nell’immaginazione…..la
maggior parte delle persone nonhanno bisogno che di cacare, il resto no conta”.
Gli citò più di una volta questa frase di Nietzsche: „Un uomo virtuoso (si
potrebbe dire normale) è un essere di specie inferiore per questa sola ragione:
che non è una persona poiché il suo valore consiste nell’essere conforme ad uno
schema di uomo fissato una volta per tutte”.
Comunque D’annunzio non
incoraggiava la familiarità “ chiamami Poeta e non più Maestro, ma non per nome
il mio nome è come una lacrima nella mia
anima”. Infine nel corso di una passeggiata, durante la quale aveva a lungo
parlato di bellezza delle statue greche, il Poeta ordinò al suo compagno di
spogliarsi: “ma……i giardinieri ….i giardinieri non vedranno quello che io vedo,
io solo conto. Guardami in faccia. Il peccato è guardare se ci guardano, poiché
in questo caso tu ti associ alla bassezza degli altri. Alza le braccia….che
bellezza!!!”.
«Quando il giovane decise di partire per
Parigi il Poeta gli diede una mandragola, che egli stesso aveva scolpito, e tre
lettere, una per Maurice Rostand e l‟altra
per Emilienne d‟Alençon,
„la più grande checca e la più grande puttana‟,
D‟Annunzio era certo che
se la sarebbe cavata.
Del terzo plico disse: „Non l‟aprire che quando sarai a
Parigi‟. Conteneva la
somma, allora considerevole, di quarantamila lire in biglietti nuovi.
Beninteso, questa avventura non permette affatto di dichiarare D’annunzio
pederasta, ma, come per Giove, l’eroe, dopo tante Lede, tante Danae, tante
Europe ha avuto anche qualche Ganimede.
“Non era un uomo da donne, era un
uomo d’amore” disse un giorno di lui miss Barney.
Jullian non conobbe D’annunzio e
la testimonianza dell’incontro riferitagli da Spadolini contiene alcune imprecisioni , ad esempio il poeta non fu mai
scultore, pur spacciandosi per tale con Mussolini al quale scrisse il 17 marzo
1924:
«Ti mando due segni che sono due
amuleti di sicura virtù. Escono da quel mio botteguzzo del Vittoriale, dove
lavora per me e con me [sic!] un orafo che a gioco io chiamo Mastro Paragon
Coppella»
Ma al Vittoriale non vi fu bottega
di orefice; il Poeta chiamò Mastro Paragon Coppella alcuni gioiellieri come il
milanese Mario Buccellati suo fornitore di piccoli oggetti preziosi da donare
agli amici e alle donne.
Le ricerche condotte a Gardone
Riviera negli archivi del Vittoriale non hanno rivelato altre notizie sulla
presenza del giovane Spadolini, per cui quanto scritto da Jullian non può
essere arricchito da ulteriori particolari.
Attilio Mazza, studioso della
vita del Poeta, autore di molte pubblicazioni, soprattutto relative alla dimora
gardonese ed alla superstizione ed alle pratiche esoteriche di Gabriele
D’annunzio ricorda che l’11 settembre 1927 viene rappresentata in una radura
del parco del Vittoriale ( ancora non era stato costruito l’attuale teatro) una
memorabile edizione della tragedia pastorale “La figlia di Iorio” con la regia
di Giovacchino Forzano che porta in scena 400 comparse e Maria Melato
protagonista.
Quando d‟Annunzio incontra Spadolini forse già pensa alla
rappresentazione e ciò giustificherebbe la richiesta di collaborazione
artistica. All‟epoca
Spadolini lavora nella bottega di Duilio Cambellotti, scenografo al Teatro
Reale di Roma e al Teatro Greco di Siracusa, e lo stesso vanta la messa in
scena nel 1908 della tragedia “La nave” di Gabriele d‟Annunzio allestita con la compagnia del Teatro
Stabile di Roma.
Si può ragionevolmente supporre
che, proprio grazie all‟aiuto
di Gabriele d‟Annunzio,
Spadolini sia successivamente entrato nelle grazie di Maurice Rostande con cui
collabora più volte, iniziando così la sua folgorante carriera nella Parigi
degli anni Trenta: decoratore, scenografo, pittore, scultore, restauratore,
danzatore, coreografo, attore, cantante, regista, giornalista … agente segreto.
Spadolini mantiene indelebile il
ricordo dell‟incontro
nel nascente Vittoriale e in un‟intervista
del 1933 esprime il desiderio di rendere omaggio a Gabriele d‟Annunzio danzando accanto
alla grande Ida Rubinstein il suo poema sacro “Le martyre de Saint Sébastien”,
musicato da Claude Debussy, pubblicato a Parigi nel marzo 1911 dall‟editore Calmann-Lévy. Dopo
poche settimane esordisce al Théâtre du Châtelet, grazie anche al finanziamento
della stessa protagonista Rubinstein; la stampa annuncia l‟evento con grande anticipo,
informa delle prove alle quali partecipano gli stessi autori, d‟Annunzio e Debussy,
suscitando grande attesa negli ambienti più raffinati; inoltre la corte russa
della Rubinstein ne racconta le meraviglie nei salotti parigini contribuendo al
successo.
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