domenica 26 maggio 2013

“SPADO’” l’artista eclettico che incantò d’Annunzio


Di Felice Monteferrante
Philippe Jullian, giornalista del “Figaro Littéraire”, nelle prime pagine del volume “DAnnunzio”, edito nel 1971 da Arthème Fayard, insieme ai ringraziamenti a S. M. la regina Maria José, alla principessa Bibesco e ad André Malraux, scrive:
«Spadolini, il celebre ballerino, mi ha raccontato il soggiorno, fatto da giovanissimo, al Vittoriale».
Dopo aver perso un occhio nel corso dell’ammaraggio vicino a Grado nel 1916, ad essere sfuggito
Ai bombardamenti di Fiume nel 1920, D’annunzio trova il suo estremo rifugio  a Gardone Riviera  sul lago di Garda, nella tenuta di Cargnacco. I lavori di sistemazione di quello che diventerà il Vittoriale degli Itaiani , emblema del “vivere inimitabile” di D’annunzio, cominciano nel marzo del 1923  sotto la direzione dell’architetto Giancarlo Maroni e la supervisione dello stesso D’annunzio.
Il Poeta ha una grande passione per il corpo, femminile e maschile, e la sua residenza è ornata anche di disegni, bronzi e riproduzioni di giovani, donne e uomini; in una nicchia della Stanza della Cheli (sala da pranzo così chiamata dal nome greco della tartaruga che troneggia in mezzo al tavolo) si ammira, ad esempio, il busto di Antinoo, bellissimo giovane vissuto nel 130 d. C. amato dall’imperatore Adriano.
Jullian sostiene che Alberto Spadolini (1907 – 1972) diventa il prediletto del Poeta alcuni mesi dopo il “volo dell’Arcangelo”, ossia la misteriosa caduta dalla finestra del poeta del 13 agosto 1922 in seguito alla quale rimane 12 giorni tra la vita e la morte.
Ma ecco il brano dello scrittore francese:
«La testimonianza di un uomo nel quale il ricordo di una grande bellezza e di un grande successo sulla scena non è stato, come spesso accade, deformato o guastato dagli anni, precisa i sospetti che nascono anche nella mente del visitatore meno prevenuto. Venuto giovanissimo al Vittoriale nel 1924 allievo di un decoratore incaricato di mettere in scena un’opera nel primo teatro all’aperto, il nostro testimone ci dice che D’annunzio, a cui la vista si era molto abbassata, sarebbe stato all’inizio attratto dalla sua voce e si direbbe attaccato a lui come un paggio che lo avrebbe guidato nei giardini per dirgli tutto ciò che vedeva. Nacque così un amicizia e il giovane fu invitato a restare
Al Vittoriale e poi trascorrervi parecchi soggiorni.
D’annunzio confidava al suo compagno tutto ciò che gli passava per la testa “ i visitatori sono importanti, ma, come le mosche serali fanno parte della mia vita……tutto ciò che è felice è per gli imbecilli, per noi la perfezione non è che nell’immaginazione…..la maggior parte delle persone nonhanno bisogno che di cacare, il resto no conta”. Gli citò più di una volta questa frase di Nietzsche: „Un uomo virtuoso (si potrebbe dire normale) è un essere di specie inferiore per questa sola ragione: che non è una persona poiché il suo valore consiste nell’essere conforme ad uno schema di uomo fissato una volta per tutte”.
Comunque D’annunzio non incoraggiava la familiarità “ chiamami Poeta e non più Maestro, ma non per nome il mio nome è come  una lacrima nella mia anima”. Infine nel corso di una passeggiata, durante la quale aveva a lungo parlato di bellezza delle statue greche, il Poeta ordinò al suo compagno di spogliarsi: “ma……i giardinieri ….i giardinieri non vedranno quello che io vedo, io solo conto. Guardami in faccia. Il peccato è guardare se ci guardano, poiché in questo caso tu ti associ alla bassezza degli altri. Alza le braccia….che bellezza!!!”.
 «Quando il giovane decise di partire per Parigi il Poeta gli diede una mandragola, che egli stesso aveva scolpito, e tre lettere, una per Maurice Rostand e laltra per Emilienne dAlençon, „la più grande checca e la più grande puttana, DAnnunzio era certo che se la sarebbe cavata.
Del terzo plico disse: „Non laprire che quando sarai a Parigi. Conteneva la somma, allora considerevole, di quarantamila lire in biglietti nuovi. Beninteso, questa avventura non permette affatto di dichiarare D’annunzio pederasta, ma, come per Giove, l’eroe, dopo tante Lede, tante Danae, tante Europe ha avuto anche qualche Ganimede.
“Non era un uomo da donne, era un uomo d’amore” disse un giorno di lui miss Barney.
Jullian non conobbe D’annunzio e la testimonianza dell’incontro riferitagli da Spadolini contiene alcune  imprecisioni , ad esempio il poeta non fu mai scultore, pur spacciandosi per tale con Mussolini al quale scrisse il 17 marzo 1924:
«Ti mando due segni che sono due amuleti di sicura virtù. Escono da quel mio botteguzzo del Vittoriale, dove lavora per me e con me [sic!] un orafo che a gioco io chiamo Mastro Paragon Coppella»
Ma al Vittoriale non vi fu bottega di orefice; il Poeta chiamò Mastro Paragon Coppella alcuni gioiellieri come il milanese Mario Buccellati suo fornitore di piccoli oggetti preziosi da donare agli amici e alle donne.
Le ricerche condotte a Gardone Riviera negli archivi del Vittoriale non hanno rivelato altre notizie sulla presenza del giovane Spadolini, per cui quanto scritto da Jullian non può essere arricchito da ulteriori particolari.
Attilio Mazza, studioso della vita del Poeta, autore di molte pubblicazioni, soprattutto relative alla dimora gardonese ed alla superstizione ed alle pratiche esoteriche di Gabriele D’annunzio ricorda che l’11 settembre 1927 viene rappresentata in una radura del parco del Vittoriale ( ancora non era stato costruito l’attuale teatro) una memorabile edizione della tragedia pastorale “La figlia di Iorio” con la regia di Giovacchino Forzano che porta in scena 400 comparse e Maria Melato protagonista.
Quando dAnnunzio incontra Spadolini forse già pensa alla rappresentazione e ciò giustificherebbe la richiesta di collaborazione artistica. Allepoca Spadolini lavora nella bottega di Duilio Cambellotti, scenografo al Teatro Reale di Roma e al Teatro Greco di Siracusa, e lo stesso vanta la messa in scena nel 1908 della tragedia “La nave” di Gabriele dAnnunzio allestita con la compagnia del Teatro Stabile di Roma.
Si può ragionevolmente supporre che, proprio grazie allaiuto di Gabriele dAnnunzio, Spadolini sia successivamente entrato nelle grazie di Maurice Rostande con cui collabora più volte, iniziando così la sua folgorante carriera nella Parigi degli anni Trenta: decoratore, scenografo, pittore, scultore, restauratore, danzatore, coreografo, attore, cantante, regista, giornalista … agente segreto.
Spadolini mantiene indelebile il ricordo dellincontro nel nascente Vittoriale e in unintervista del 1933 esprime il desiderio di rendere omaggio a Gabriele dAnnunzio danzando accanto alla grande Ida Rubinstein il suo poema sacro “Le martyre de Saint Sébastien”, musicato da Claude Debussy, pubblicato a Parigi nel marzo 1911 dalleditore Calmann-Lévy. Dopo poche settimane esordisce al Théâtre du Châtelet, grazie anche al finanziamento della stessa protagonista Rubinstein; la stampa annuncia levento con grande anticipo, informa delle prove alle quali partecipano gli stessi autori, dAnnunzio e Debussy, suscitando grande attesa negli ambienti più raffinati; inoltre la corte russa della Rubinstein ne racconta le meraviglie nei salotti parigini contribuendo al successo. 

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