giovedì 3 luglio 2014

Il cielo in una torre

Sono di Vasto, seppur ...periferico (della Marina), ma solo oggi, a sette decenni compiuti, mi è stata data la possibilità di guardare l’interno della “Torre Diomede del Moro”, monumento storico del mio paese-città, una gradita e impensabile possibilità data dall’attivismo dell’Associazione onlus Vigili del Fuoco in Congedo, con l’apporto tecnico e propositivo dell’arch. F. P. D’Adamo.
Una struttura edile (XV secolo) che – pur con la prima opera di ripulitura e risistemazione per una sufficiente agibilità, meritoria di per sé e nei propositi - mostra chiari segni del tempo ‘edace’ (che morde, per dirla alla latina) e la necessità di ulteriori e fondamentali interventi, a iniziare dalle falde della copertura.
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Eh già: il tetto. L’uomo, su questa terra, con frasca o tegola, sotto un anfratto o in una caverna, ha cercato da sempre un riparo dal sole e dal vento, dalla pioggia e dalla neve, oltre che, con delle mura attorno, protezione dalla violenza e depredazione dalle bestie e non meno dai propri simili. Eppure, in questa circostanza, guardando quegli squarci negli spioventi dello storico manufatto edile, quelle travi e cantinelle, tarlate e marcite, a malapena puntellate dal basso, seguendo la linea flessa e talora spezzata dei legni, ho come avvertito una sorta di ‘voglia’ intromissiva, ma per nulla ostile, del cielo di penetrare in quello storico e resistente rifugio-riparo. Non a caso – da quel che mi si dice – l’ultima vecchia dimorante ha convissuto a lungo con quelle aperture, esposta sì a pioggia e freddo, all’aria, al vento, ma non meno a vivificanti spicchi di luce del sole, come al via vai dei volatili che ne condividevano il luogo-riparo, per quel che era, per quel che poteva essere e conservarsi senza mezzi di fortuna e provvidenze. 
Se fossi io l’architetto addetto al funzionale restauro, conserverei visivamente quelle luminose bocche, ponendo negli squarci non ostruttivi nuovi legni e coppi ma lucernai, sorta di beau window, per permettere al sovrastante cielo di restarci, pur senza arrecare danno, lì ancora.
Fantasie? Forse sì, o magari un segno-sogno di memoria dedicato alla tenace e
ultima sua abitante, Rosina.

Giuseppe F. Pollutri

2 commenti:

maria ha detto...

Mi dispiace di non aver conosciuto di persona Giusfra... almeno nella circostanza dell'inaugurazione della Torre Diomede del Moro.
Ho provato anch'io grandi emozioni al vedere quegli "scorci di cielo"...

giusfra ha detto...

...che occasione persa (per me)! Alla vista di quelle tue unghie rosso fuoco..., sai che altra emozione! Già di per sé una donna è ...uno scorcio di cielo (...quando non una dannazione).
Grazie per l'implicito apprezzamento per quel che vado parolando-scrivendo.
Alla prossima, Maria.