Di Felice Monteferrante
Una testimonianza inedita.
Il 28 febbraio del 1914, Gabriele
D'Annunzio, intervistato dal «Corriere della Sera», prese a discorrere di
cinematografo. "Or è parecchi anni - dichiarò - a Milano, fui attratto
dalla nuova invenzione che mi pareva potesse promuovere una nuova estetica del
movimento. Passai più ore in una fabbrica di film per studiare la tecnica e
specie per rendermi conto del partito che avrei potuto trarre da quegli
accorgimenti che la gente del mestiere chiama "trucchi". Pensavo che
dal cinematografo potesse nascere un'arte piacevole il cui elemento essenziale
fosse il «meraviglioso» ". Il poeta colse, anzi, l'occasione, per
annunziare che una casa torinese, diretta da "un uomo colto ed energico",
Giovanni Pastrone, aveva ricavato un film da un suo soggetto inedito. "Si
tratta - aggiunse - d'un disegno di romanzo storico, delineato parecchi anni fa
e ritrovato fra le mie innumerevoli carte"1.
Cabiria, a cui egli alludeva, sarebbe stato proiettato, in tutta
Italia, il successivo 18 aprile. Il quotidiano milanese, nel darne - cosa, fino
ad allora, mai successa ad un film - la cronaca della "prima", usò un
tono divertito, in cui erano presenti ironia e scetticismo. "Tentato dal
nuovo gioco -scrisse - il Poeta si mette perfino a congegnare uno scenario per
cinematografo aizzato da un'offerta che potrebbe sembrare pazzesca, ed ecco che
subito la ditta cinematografica spende un capitale per mettere in scena la «visione
storica» - si parla di un milione, di mezzo milione, a scelta – e tappezza
tutte le vie delle grandi città di manifesti colossali e diffonde opuscoli
stampati con un lusso sbalorditivo. Poi si prendono in affitto grandi teatri,
si completa la cinematografia con orchestre numerose, con coristi; ci si
mettono dentro anche delle sinfonie originali. E si fanno perfino le prove
generali. Le immaginate le prove generali di una pellicola di cinematografo?
Ebbene: si sono fatte venerdì. E alla prima rappresentazione - ma non sentite
che anche noi siamo
presi dall'ingranaggio e chiamiamo
prima rappresentazione una proiezionedi film? - alla prima si mettono dei
prezzi da grande teatro e il pubblico accorre, dandole veramente l'importanza
di una prima teatrale; e che fervore di commenti e di discussioni. A una
proiezione di cinematografo! Ah, quel d'Annunzio! E i giornali ne parlano: si
tratta di lui"2. In realtà, l'anonimo estensore della nota, la quale occupava
circa tre 159 quarti
di una colonna del giornale, sembrava intuire che Cabiria ,
"visione storica del III secolo a. C", con le sue tre ore di durata,
le scene spettacolari, gli accorgimenti tecnici e la capacità di riunire
personalità eccellenti in arti diverse3, rappresentava una svolta nella produzione cinematografica,
ma non riusciva a coglierne, fino in fondo, il significato. Lo spettacolo gli
appariva un evento pittoresco, senza dignità creativa, al punto da fargli
scartare l'ipotesi, pur balenatagli, che, in un futuro, più o meno vicino,
potesse nascere "un nuovo genere di critico: il critico delle
pellicole"4.
La proiezione aveva visto, comunque, un
grande concorso di pubblico, attirato, anche, dal nome del poeta, che aveva
contribuito non poco a farla conoscere. Lo stesso D'Annunzio ne rimase
impressionato, tanto da teorizzare una nuova arte "di
trasfigurazione", che affiancasse il teatro e lo liberasse dalla
"ignobile decadenza", in cui era, a suo dire, caduto, fino a permettergli
di rigenerarsi5. Tom
Antongini, segretario ed amico, sostenne, molti anni più tardi, che egli, in
realtà, non aveva scritto il soggetto del film, ma si era limitato a rivestire
di forma letteraria i personaggi inventati da Pastrone ed a collegare alcune
scene, già girate. "Naturalmente - sostenne - come quei padri che sanno
che uno dei loro figli non è opera loro, ma di un amico premuroso che veniva
spesso a pranzo e che accompagnava qualche volta la moglie al «dancing», e non
riescono malgrado ogni lodevole sforzo a trattare quel figlio come gli altri
benché il poverino non abbia alcuna colpa. d'Annunzio non amò mai «Cabiria» ed
evitò sempre di vederla"6. Noi oggi sappiamo, attraverso la corrispondenza scambiata
tra il produttore - regista ed il poeta, che le cose non stavano così e che la
fantasia dell'"immaginifico", sollecitata da un sostanzioso corrispettivo,
contribuì in maniera essenziale a determinare la storia ed i personaggi. Il
film, inoltre, venne girato solo dopo che la sceneggiatura era stata definita
in maniera scrupolosa ed erano stati ultimati i preparativi più minuziosi.
Nessun particolare venne lasciato al caso: tanto meno, furono abborracciate,
tra di esse, sequenze casuali, con altre, girate apposta per fungere da
raccordo7. L'unica
verità, che sembra possibile condividere, dello scritto di Antongini, é il
sostanziale discredito che D'Annunzio nutrì verso il cinema, da lui
considerato, ancora, "en enfance" ed incapace, quindi, di restituire,
agli spettatori, le emozioni complesse di forme d'arte raffinate. Va precisato che
tale giudizio era comune - salvo casi rari8 - ai letterati italiani dell'epoca. Basti pensare al
Pirandello dei Quaderni di Serafino Gubbio
operatore, il quale, proprio nel 1915, scriveva
che il cinema, in quanto "meccanismo", non poteva essere, nel
contempo, "vita" ed "arte'"*.
Note
1 «Corriere
della Sera», 28 febbraio 1914.
2 La " Cabiria " di D'Annunzio al
cinematografo, ivi, 19 aprile 1914.
'La musica di commento del film era
stata commissionata, dopo lunghe trattative, ad
Ildebrando Pizzetti, il quale, però,
compose solamente la "Sinfonia del Fuoco". 4
La
"Cabiria " di
D'Annunzio al cinematografo, cit.
'Gabriele D'Annunzio, Del cinematografo
considerato come strumento di
liberazione e come arte di trasfigurazione, in
Giovanni Pastrone, Gli anni d'oro del cinema a
Torino, a
cura di Paolo Chierchi Usai, Torino, 1986, pp. 115 - 22.
"Tom Antongini, Vita segreta di Gabriele D'Annunzio , Verona,
1957, p. 183.
7 Giovanni
Pastrone, op. cit. , p.
64.
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