Il Palazzo “de Nardis-Ciccarone è ubicato in corso del Plebiscito 34. Il nome della strada fu cambiato dopo l'unità d'Italia, essendosi svolte in questa via, in un basso edificio non più esistente di fronte al Palazzo, le operazioni di voto per l'annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d' Italia. Il vecchio nome della strada e del quartiere adiacente era via San Giovanni, da una chiesa di tale nome, che si trovava nei paraggi, nei pressi dell’incrocio con l’attuale corso Dante, più o meno dove fino ad alcuni decenni fa, come ricordano i vastesi diversamente giovani, esisteva una farmacia che era originariamente Farmacia d’Ettorre, essendo stata stata successivamente, dopo la morte del titolare, acquistata dal dottor Leone, venuto a Vasto dal Molise e più precisamente da Guglionesi, era diventata Farmacia Leone. In quella zona di Vasto vi erano allora vari luoghi di culto, specialmente conventi: vi era quello di Santo Spirito, ubicato dove si trovano attualmente il Teatro Gabriele Rossetti ed il nuovo parcheggio di via Aimone, che occupa quello che era il chiostro del monastero, il convento del Carmine, dove per un certo periodo operò un liceo, istituito per interessamento dei d'Avalos e tenuto dai Padri Lucchesi; esso fu chiuso poi con la soppressione degli ordini religiosi sotto Gioacchino Murat, il monastero dei frati ospitalieri di san Giovanni da Gerusalemme, ordine dedito alla cura dei malati ed all’accoglienza di eventuale pellegrini, passato poi ai domenicani, trasformato successivamente in Palazzo dai Rulli con l’annessa chiesa, dedicata attualmente a Santa Filomena, ma chiamata dai Vastesi Genova-Rulli, il convento di Sant' Antonio di cui fu Priore un de Nardis, componente della famiglia che costruì il palazzo de Nardis-Ciccarone; egli decorò la chiesa, unica parte del monastero ancora esistente, con dei riquadri in stucco che si possono tuttora osservare; il convento annesso, fu poi trasformato ed adibito prima a Sottoprefettura, successivamente fu sede dell'Istituto Tecnico Commerciale, tale edificio occupava il sito dove si possono ora visitare le Terme Romane. Il quartiere occupa la parte centrale dell'antica Histonium; tipicamente romano è l'impianto urbanistico con strade ampie e diritte gli incroci ortogonali delle strade, resti di “opus reticolatum” sono visibili verso la fine di via Anelli, posta a sinistra di chi osserva la facciata del palazzo ed in varie altre parti del quartiere. Di fronte al palazzo, al di là di alcuni bassi edifici, correvano le mura della Vasto medievale, fatte costruite da Giacomo Caldora, allineate, verso Nord, lungo la linea che va dalla torre Damante a quella di Santo Spirito ed a Sud verso il castello.
Sotto il piano stradale di corso
Plebiscito, davanti al palazzo e subito al di qua delle mura, vi erano dei
magazzini dove veniva conservato il frumento
ed altri generi di prima necessità,
venivano per questo chiamate fosse del grano; queste furono adibite
successivamente a cantine dai proprietari dei palazzi situati all’altro lato
della strada. Quando il comune costruì la rete idrica, una semplice conduttura
di piombo che passava al centro della strada sopra tali fosse, il tubo sospeso
nel vuoto si ruppe, allagando tali locali ed imbibendo le fondamenta del
palazzo, mettendo così a repentaglio la staticità dell’edificio che dovette
essere puntellato. Successivamente il Comune, condannato per i danni provocati,
si accordò per pagare le spese per i
lavori necessari a riparare lo stabile dai danni provocati.
Il
palazzo venne costruito nel Settecento dai De Nardis appartenenti ad una ricca
famiglia, originaria di Barete nell’Aquilano, e si era qui trasferita assieme a
dei loro parenti i Trecco, essi acquistarono anche verso l’Incoronata dei
terreni nella contrada che da loro prende il nome di Villa De Nardis.
Come scrive nelle sue memorie Francesco Ciccarone, la nostra famiglia e, specificatamente Francesco Paolo
Ciccarone, sicuramente non si sarebbe mossa da da Scerni, se non ve lo avessero
spinto dissapori familiari con alcuni cugini e tristi fatti che insanguinarono
la sua casa, quando due suoi germani Cassiodoro e Giuseppe furono uccisi dai
fratelli Prassede ed egli stesso corse tale rischio. Il duplice omicidio fu
eseguito su commissione dei Marchesi d’Avalos, nel fallito tentativo di
impossessarsi di alcuni documenti
inerenti una causa che li vedeva contrapposti al comune di Scerni per la
proprietà di alcuni terreni. Questi fratelli avevano già trucidato il notaio
Boschetti di Cupello, presso la cui abitazione in un primo momento pensavano si
trovasse il documento. Questo in realtà era nelle mani della nostra famiglia e
venne poi consegnato al prefetto di Chieti, cosìcchè la lite, che tanti lutti
aveva provocato, si chiuse felicemente per il comune di Scerni.
L'intenzione di non muoversi da Scerni è avvalorata d’altro canto dalla decisione
presa poco tempo prima di tali avvenimenti, da parte Francesco Paolo Ciccarone,
di acquistare lì, proprio dai d’Avalos, il palazzo-castello marchesale ancora
esistente e riconoscibile da una torre angolare con un bel balcone in ferro
battuto; i marenghi necessari all'acquisto, avvolti in un rotolo, erano stati
rinchiusi in cassaforte da don Cassiodoro prima di andare a dormire. Sentendo
poi nella notte dal piano sottostante dei rumori , egli si mosse dalla camera
da letto e si trovò così di fronte uno dei Prassede, che nascosto aveva
osservato dal di fuori le mosse del sacerdote, il malvivente lo freddò; dopo
averlo ucciso essi si impadronirono delle monete d'oro, ma non riuscirono a
trovare le carte che cercavano.
Trasferitosi Francesco Paolo a Vasto, non ebbero fine le persecuzioni da parte
dei Prassede, che più volte cercarono di
aggredirlo, una volta addirittura a Roma, dove uno di essi lo aveva seguito.
Due dei fratelli furono alla fine arrestati e giustiziati a Chieti, dove erano
stati rinchiusi: I parenti degli uccisi furono invitati all'esecuzione; al
contrario della vedova del Boschetti che seguì il triste spettacolo da una
finestra, il nostro trisavolo non volle andarvi.
L'ultimo dei fratelli Prassede fu
ucciso dal superstite fratello, Francesco Paolo che, informato del fatto che
l'assassino si aggirava a Vasto nella zona di Santa Lucia, allora piena
campagna, vi si avviò, accompagnato da Isidoro
Barbarotta, esimio cacciatore. Arrivarono verso il luogo dove l’assassino era
stato avvistato, e si appostarono a poca distanza l'uno dall'altro. Avvistarono
il Prassede, nascosto con la sua arma dietro un albero; partirono, quasi
simultaneamente tre colpi, due dei quali andarono a segno, uccidendo
l'assassino.
Si stabilì quindi a Vasto,
lasciando affidata la cura dei propri interessi a Scerni al fratello superstite
Antonio Maria; Francesco Paolo, che aveva nel frattempo sposato Michelina Volpe
di Calascio, prese casa dapprima a Palazzo d’Avalos nel mezzanino sopra
l’attuale museo, occupato fino ad alcuni decenni fa dai Di Michele,
successivamente vicino a piazza Caprioli al Palazzo Celano poi Pantini,
successivamente a palazzo Barbarotta nell'omonima via. Vissero per un certo
periodo anche in via Vittorio Veneto in un edificio all’angolo con via
Giulia, dove nel 1821 venne alla luce il
primo Ciccarone nato a Vasto, mio bisnonno Silvio. Questa casa venne poi ceduta
da nonno Francesco che vendette in seguito anche alcuni terreni lì intorno,
lungo via delle Croci.
Finalmente
nel 1823 fu acquistata gran parte della casa in via Plebiscito da Antonia de
Nardis, ultima componente di tale famiglia; l'edificio era allora molto diverso
da come si presenta attualmente, il secondo piano era molto più basso; come
ancora si può vedere in via San Francesco, non sopravanzava la linea di
grondaia ancora visibile al di sopra della chiesa di San Teodoro; osservando
attentamente la parete si scorge come accanto alle finestre del secondo piano
il muro sia stato scalpellato per buttar giù la vecchia grondaia e sopraelevare
il secondo piano; guardando da una certa distanza la facciata si può poi
osservare come sopra la parte centrale ci sia un soppalco fatto eseguire da Francesco
Paolo Ciccarone per costruire un grande salone con una volta molto più alta di
quella delle altre camere. Tali lavori furono realizzati una ventina di anni
dopo l’acquisto e furono completati con la sostituzione della scalinata,
precedentemente più semplice e posta vicino al portone d’ingresso, con quella
attuale più imponente e scenografica; tale modifica portò alla necessità di
realizzare delle scale al di là dei portoncini di ingresso del primo piano ed
il sacrificio degli stucchi che decoravano le volte. Tali lavori dovevano
conferire all’edificio un aspetto di solennità che fosse un segno tangibile
della posizione economico-sociale raggiunta dalla famiglia.
Francesco Paolo ospitò lì per vari
anni il nipote Pompeo Conti Ciccarone, futuro sindaco di Vasto, rimasto orfano
della madre Giustina Felicia, morta di parto, e del padre, un Conti originario
di Carunchio; egli si addottorò all’Aquila e svolse poi la professione di
avvocato.
Nonno Francesco nelle sue memorie
racconta come, prima di tali lavori,
quasi tutta la parte che occupa attualmente il secondo piano erano veri e
propri soffitti, adibiti addirittura a pollaio e deposito di cose vecchie ed
ingombranti, salvo una piccola parte dove esisteva anche una stanza, adibita
attualmente a biblioteca, che costituiva la camera da letto dell'arcidiacono de
Nardis. Si racconta che, nella notte che precedette la sua morte, queste
camere, dove egli era rimasto solo, venissero svaligiate da alcuni vicini di
casa che riuscirono a penetrare dai tetti.
Francesco Paolo Ciccarone, noto carbonaro, che aveva partecipato anche agli ordini di Ettore Carafa, alla difesa della Repubblica Partenopea alla fortezza di Pescara, per le sue risapute idee liberali era tenuto d’occhio dalla Polizia borbonica che più volte visitò, in seguito alla delazione di personale di servizio, il Palazzo alla ricerca di documenti compromettenti, ivi custoditi, che fortunatamente non furono mai ritrovati. Egli partecipava alle riunione segrete che si tenevano nella rivendita, come venivano chiamate le sedi carbonare, che a Vasto era ubicata nei vicoli di Santa Maria, alla presenza degli affiliati di Vasto e dintorni. Egli era stato anche condannato al confinio all’isola di Lipari, da cui lo salvò l’amnistia con cui Ferdinando II volle iniziare il proprio regno dopo la morte di Francesco I.
La casa
divenne in seguito con il figlio Silvio, iscritto alla Giovane Italia, una
delle sedi dei convegni segreti dei patrioti della Provincia; di lì si mossero
quei Vastesi che, alla notizia che Garibaldi si avviava a grandi passi verso
Napoli, superando le esitazioni e le paure che frenavano i liberali degli altri
centri della regione che non ritenevano
prudente muoversi, prima che la situazione non si fosse stabilizzata.
Giunti alla sede della sottoprefettura essi la occuparono, abbatterono le
insegne borboniche e chiamaromo da Paglieta a dirigere la sottoprefettura
Decoroso Sigismondi. Vasto fu cosi la prima città abruzzese ad insorgere nel
nome di Vittorio Emanuele II e Garibaldi, Silvio Ciccarone venne nominato
prodittatore, come venivano chiamati i rappresentanti di Garibaldi nei governi
provvisori locali.
Fu
allora, con l’unità d’Italia che il Palazzo assunse a sede di molti dei più
importanti avvenimenti della storia cittadina, accogliendo personalità
protagoniste della politica nazionale. Tra i primi ci fu il marchese diVillamarina, plenipotenziario di Vittorio Emanuele II per il Regno di Napoli, dove, nel Palazzo
Reale rimase, per controllare la situazione durante i primi tempi dopo l’annessione,
mantenendo i rapporti con Cavour e dirigendo la
vita politico-amministrativa nelle regioni occupate. Dovendo tornare a
Napoli; dopo un abboccamento con il Re il Villamarina passò per Vasto, dove fu
accolto in casa dalla mia bisnonna Maria Cardone e dalle sue cognate, essendo
il marito assente, impegnato come maggiore della Guardia Nazionale negli
scontri con le bande di briganti che, finanziate ed aiutate dai Borboni e da
Pio IX infestavano, taglieggiando, compiendo stragi e provocando disordini il Vastese, come tutto
il Meridione. Nell’archivio di famiglia c’è una lettera di nonna Maria che
racconta, in una lettera al marito, delle calorose accoglienze riservate
all’illustre ospite e, di come il Villamarina, acclamato a gran voce dal
pubblico raccolto davanti casa, si mostrò ad esso dal balcone sopra il portone
per parlare alla folla lì raccolta; molti dei presenti portavano sui
cappelli la scritta SI, che era il
simbolo che bisognava votare da parte di coloro che erano favorevoli
all’annessione al Regno d’Italia. In quel periodo la casa divenne un importante
punto d’incontro; vennero ospiti il generale Alfonso Lamarmora, comandante in
più occasioni dell’esercito piemontese e presidente del consiglio prima del
Regno di Sardegna e successivamente del Regno d’Italia, Ruggero Bonghi, parente
della padrona di casa Maria Cardone, scrittore, giornalista e politico, autore
della più conosciuta traduzione delle opere di Platone, professore
universitario di Storia, Latino, Greco e di filosofia e futuro ministro della
Pubblica Istruzione. La presenza più assidua comunque, fu senz’altro quella di
Silvio Spaventa, amico fraterno di Silvio Ciccarone e venerato dal figlio
Francesco e da tutti i familiari. Sono
raccolte nell’archivio di famiglia, e sono state più volte pubblicate, le
numerose lettere che i due Silvi si scambiarono lungo un lungo arco di tempo,
lettere nelle quali si parla, oltre che dei problemi politici di quel tempo,
sia locali che nazionali, anche di tutti quegli argomenti di cui due amici comunemente
discutono, come malanni, preoccupazioni
e vicende familiari. Non essendo ancora
a quel tempo i partiti organizzati con sedi ed organigrammi, le riunioni
politiche si svolgevano nelle case dei personaggi più autorevoli, nel caso di
Vasto e del vastese in casa nostra, dove i liberali locali erano orgogliosi
fare la conoscenza e di un personaggio
del calibro di Silvio Spaventa per far posto al quale mio bisnonno aveva
rinunciato a candidarsi di persona.
Si
trovava a casa, fino a quando venne sciolta il comando della Guardia Nazionale,
che occupava tra uffici ed armeria tre grandi camere al primo piano poste tra
corso Plebiscito e via Anelli.
Altro
ospite di riguardo negli anni successivi, fu Leopoldo Franchetti,
fermatosi a Vasto per parlare con mio
bisnonno Silvio, nell’ottobre del 1873, nel corso di uno dei suoi lunghi
viaggi-inchiesta sulla situazione delle provincie meridionali o, come si diceva
allora, napoletane.
Si
conservano nell’archivio importanti documenti riguardanti gli avvenimenti politici
di Vasto, anche di quando Silvio Ciccarone, avanti con gli anni, stanco ed
amareggiato della situazione politica locale e nazionale decise di passare il
testimone al figlio Francesco.
La situazione nel ‘900 era comunque cambiata e la gran parte dell’attività pubblica, soprattutto dopo la sua elezione al parlamento, si svolgeva a Roma, dove con la moglie Rosa Marcantonio e tutta la famiglia si era trasferito e dove nacquero mio padre ed alcuni dei suoi fratelli e sorelle. Oltre che a casa nostra poi, molte riunione si cominciarono a svolgere nelle case delle famiglie più autorevoli dei paesi del collegi elettorale. La casa si riempiva poi di gente quando mio nonno tornava periodicamente da Roma, dove si era trasferito per partecipare ai lavori del paramento. La calca era tale, mi raccontavano che oltre che per le scale molte persone dovevano prima aspettare nel cortile e per strada. Mio nonno li riceveva nel suo studio in una stanza che noi chiamavamo la loggetta per la presenza di un piccolo terrazzo esposto a SUD. Varie camere della casa avevano il loro nomi, c’erano così: la camera della carezza che deve il suo nome per un sogno in cui mio zio disse di aver visto uno sconosciuto che lo accarezzò e gli disse la data della sua morte che lui dimenticò subito, la galleria dove si svolgevano cerimonie ed avvenimenti importanti, la camera Pompeiana, il salottino verde e così via.
Mio
nonno Francesco ampliò notevolmente la biblioteca, ricca ora di circa ventimila volumi, alcuni rari, che ci
venivano a volte richiesti per motivi di studio, molti in edizione originale,
incunaboli e manoscritti, fascicoli di
quotidiani e riviste di epoca, dedicando ad essa due ampie camere. Per
l’arredamento di tali locali, con mobili fatti su misura da artigiani appositamente
venuti dalla zona di Pescara, mio nonno si ispirò alla biblioteca del castello
di Miramare a Trieste. La casa, dopo che mio nonno decise abbandonare la vita
parlamentare, rimaneva vuota per lunghi periodi. Durante gli studi mio
padre, mio nonno, i miei zii e
zie vissero lunghi periodi a Napoli e
successivamente a Bologna durante gli anni universitari. Durante la seconda guerra mio padre, che era stato
riformato alla visita di leva per una pregressa osteomielite ad un piede e
quindi non era partito per la guerra, fu convinto dal prefetto a fare il
podestà, nonostante fosse stato, dopo essere stato segretario, estromesso,
all’inizio degli anni 30 dal partito,
per contrasti con i gerarchi locali (per lui, prima che al partito, bisognava
rispondere alla propria coscienza). Veniva spesso a casa in quel periodo il
tardo pomeriggio a far visita Romualdo Pantini il quale, quando gli fu riferito
che da alcune ore era nato mio fratello Bruno volle vedere il neonato e con il
suo facile verseggiare compose lì per lì una poesia per l’evento. Gli ultimi
mesi dell’occupazione tedesca papà rimase solo in casa, essendosi il resto
della famiglia trasferita in una casa di campagna a Scerni, insieme alle
famiglie Nasci, Cardone ed alcuni parenti
di Spataro, che rimasero poi con noi anche dopo il ritorno a Vasto. In
quel periodo mio padre pranzava a casa dei Del Frà dove c’erano solo i fratelli
Giovanni e mastro Peppe, essendo stata anche la loro famiglia allontanata da
Vasto. Quasi tutti i giorni si incontrava con Don Felice Piccirilli, iniziò così allora
quel rapporto prima di reciproca stima e poi di amicizia che li legherà per
tutta la vita.
Da casa
mio padre quando si capi che i tedeschi si stavano ritirando, si mosse con
molti altri cittadini vastesi per andare incontro alle truppe alleate riuscendo
a convincerle che Vasto era stata evacuata ed evitando così il bombardamento
che stava per avere inizio. Durante l’occupazione alleata la nostra casa, come
molte altre a Vasto e come la nostra villa in contrda Palombari, fu in
gran parte requisita per ospitare le truppe alleate, con la quale la mia
famiglia ed i parenti ospitati dovettero condividere il palazzo. I militari si
aggiravano per la casa senza nessun
riguardo ed attenzione e procurarono numerosi danni ai mobili, alle
tappezzerie, i rivestimenti ed oggetti di valore.
Nel
secondo dopoguerra, si svolsero in casa molte delle riunioni e discussioni
politiche tra mio padre riguardo ai problemi amministrativi come la
costituzione del consorzio di bonifica. Anche mia zia Giulia, allora delegata
regionale dell’azione cattolica, che era praticamente allora con i comitati
civici una succursale della Democrazia Cristiana. Le riunioni divennero
giornaliere con l’elezione a sindaco di mio padre, soprattutto dopo la
creazione dell’associazione civica “il Faro”, che costituì con il PCI la prima
amministrazione di centro-sinistra a Vasto.
Io ero
in quel periodo a Macerata in collegio,
ma ricordo nei periodi in cui tornavo a Vasto la casa era sempre piena di
gente: ricordo tra i più assidui Ettore Del Lupo, Don Vincenzo Pomponio, il
professor Angelo Matassa, il dottor Leone de Liberato e molti altri amici e sostenitori. Fu in quel periodo che
venne in casa, invitato a pranzo l’onorevole Giovanni Leone, qualche mese prima
della sua elezione a Presidente della Repubblica, venuto a Vasto come avvocato
difensore di un consigliere comunale Leone De Liberato. Tale venuta a Vasto di
Leone e l’invito a pranzo in casa nostra non fu priva di polemiche nell’ambito
cittadino, assieme al fatto che fosse uno dei massimi esponenti della
Democrazia Cristiana a difendere un rappresentante del Faro allora, a livello
locale, acerrimo nemico del partito di maggioranza. Le polemiche, che al nostro
giorno potrebbero sembrare strane, possono ben comprenderle le persone che di
quegli avvenimenti furono autori o spettatori.
Nel
Palazzo, ci sono, oltre alla biblioteca e fotografie di importanti avvenimenti ed all’archivio
storico, catalogato e vincolato, cimeli
vari, alcuni dei quali al momento in deposito a Pescara al Museo delle genti
d’Abruzzo, armadi pieni di numerosissimi
fascicoli contenenti documenti ancora da
visionare, ordinare e catalogare relativi ai periodi in cui mio padre fu
sindaco e quello in cui fondò e diresse
il Consorzio di Bonifica prima della nomina di Ettore del Lupo.
Il
palazzo si compone di un piano terreno, un primo ed un secondo piano al di
sopra del quale vi è un altro piano più piccolo, non visibile dalla strada
sovrastato da una torretta, abbastanza comune nei vecchi palazzi vastesi, con
il pavimento formato da lungo tavoloni di legno, che serviva per conservare
frutta, formaggi, salumi conserve ed altra roba. Nell’ambito dell’edificio c’è
una chiesa, fatta costruire dai De Nardis, essa era dedicata ad uno sconosciuto
martire delle persecuzioni al tempo dell’imperatore Diocleziano, a cui fu dato
il nome di Teodoro (dono di Dio) e vi era sopra l’altare maggiore un urna con
il suo corpo, ora trasferito alla chiesa del Carmine. Esso fu per alcuni
anni prima d San Michele il protettore
di Vasto per tale motivo il suo nome era a Vasto discretamente diffuso. Negli
anni sessanta mio padre assieme ai fratelli e le sorelle decise di acquistare
una parte del palazzo comprendente varie stanze di proprietà della curia, per
l’occasione furono fatti lavori per rendere eleganti ed accoglienti tali
locali.
Mio
padre verso la fine del secondo mandato sindacale decise di ristrutturare il
villino Cardone in contrada Palombari per trasferirvisi con la propria
famiglia. Fino ci trascorrevamo solo l’estate per tornare al Palazzo ad autunno
inoltrato. Rimanevano lì le mie zie, zio Antonio, e quando venivano a Vasto zia
Maria e più frequentemente zio Peppino con la sua famiglia. Durante gli ultimi
tempi della malattia di zio Antonio di tanto in tanto venivano a trovarlo i
colleghi della facoltà di Agraria di Bari, specialmente quelli dell’Istituto di
Patologia Vegetale che egli aveva istituito ed elevato a grande prestigio,
specialmente per quanto riguardava le colture tipiche mediterranee. Venivano
anche a trovare le mie zie, specialmente
zia Giulia, oltre che i numerosi nipoti, i colleghi della scuola magistrale di
Pescara ed i ragazzi con cui si riuniva per organizzare le numerose attività
dell’oratorio della Parrocchia Chiesa della Resurrezione di Nostro Signore Gesù
Cristo di San Salvo Marina. Nei nostri discorsi dicevamo Vasto, quando ci
volevamo riferire al Palazzo in corso Plebiscito ed il Barone Cardone quando ci
si riferiva al Villino di contrada Palombari.
Il
palazzo rimaneva comunque la sede, la nostra vera casa; lì eravamo nati, lì
eravamo cresciuti ed aperti al mondo. Del resto era al Palazzo che si tornava
nelle solennità a Natale, A Pasqua nelle solennità e nelle occasioni liete e tristi che tutte le
famiglie sogliono attraversare. Ricordo li ci riunivamo per le festività natalizie,
eravamo a volte quaranta e più persone, c’erano sempre con noi oltre che i
fratelli di papà anche alcuni parenti di mamma, tra cui i Desiati con zio Piero
e zia Liliana, a Natale ad una certa ora veniva a farci visita la famiglia
Nasci. In uno dei saloni del palazzo fu allestita la camera ardente per la
morte di mia madre e di zio Antonio con un continuo andirivieni di gruppi di
persone. L’ultimo dei figli a risiedere li sono stato io che vi trascorsi con
mia moglie i miei due primi anni dopo il
matrimonio.
La manutenzione del palazzo è attualmente molto onerosa e poco funzionale per una famiglia attuale; abbiamo varie volte accennato alle autorità comunali la prospettiva dell’acquisizione del palazzo che di tante vicende della vita cittadina è stata testimone; avrebbe inoltre la possibilità di conservare, dove attualmente sono custoditi, una biblioteca di circa ventimila volumi, di cui moltissimi rari, quando non unici, l’archivio attualmente esistente e da ampliare con i moltissimi importanti documenti lasciati da papà. Chi vivrà, vedrà.