venerdì 27 novembre 2020

PALAZZO DE NARDIS-CICCARONE TRA STORIA E RICORDI DI FAMIGLIA


 (di Maurizio Ciccarone)

Il Palazzo “de Nardis-Ciccarone è ubicato in corso del Plebiscito 34. Il nome della strada fu cambiato dopo l'unità d'Italia, essendosi svolte in questa via, in un basso edificio non più esistente di fronte al Palazzo,  le operazioni di voto per l'annessione  del Regno delle Due Sicilie al Regno d' Italia. Il vecchio nome della strada e del quartiere adiacente era via San Giovanni, da una chiesa di tale nome, che si trovava nei paraggi, nei pressi dell’incrocio con l’attuale corso Dante, più o meno dove fino ad alcuni decenni fa, come ricordano i vastesi diversamente giovani, esisteva una farmacia che era originariamente Farmacia d’Ettorre, essendo stata stata successivamente, dopo la morte del titolare, acquistata dal dottor Leone, venuto a Vasto dal Molise e più precisamente da Guglionesi,  era  diventata Farmacia Leone. In quella zona di Vasto vi erano allora vari luoghi di culto, specialmente conventi: vi era quello di Santo Spirito, ubicato dove si trovano attualmente il Teatro Gabriele Rossetti ed il nuovo parcheggio di via Aimone, che occupa quello che era il chiostro del monastero, il convento del Carmine, dove per un certo periodo operò un liceo, istituito per interessamento dei d'Avalos e tenuto dai Padri Lucchesi; esso fu chiuso poi con la soppressione degli ordini religiosi sotto Gioacchino Murat, il monastero dei frati ospitalieri di san Giovanni da Gerusalemme, ordine dedito alla cura dei malati ed all’accoglienza di eventuale pellegrini, passato poi ai domenicani, trasformato successivamente in Palazzo dai Rulli con l’annessa chiesa, dedicata attualmente a Santa Filomena, ma chiamata dai Vastesi Genova-Rulli, il convento di Sant' Antonio di cui fu Priore un de Nardis, componente della famiglia che costruì il palazzo de Nardis-Ciccarone; egli decorò la chiesa, unica parte del monastero ancora esistente, con dei riquadri in stucco che si possono tuttora osservare; il convento annesso, fu poi trasformato ed adibito  prima a Sottoprefettura, successivamente fu sede dell'Istituto Tecnico Commerciale, tale edificio occupava il sito dove si possono ora visitare le Terme Romane. Il quartiere occupa la parte centrale dell'antica Histonium; tipicamente romano è l'impianto urbanistico  con strade ampie e diritte gli incroci ortogonali delle strade, resti di “opus reticolatum” sono visibili verso la fine di via Anelli, posta a sinistra di chi osserva la facciata del palazzo ed in varie altre parti del quartiere. Di fronte al palazzo, al di là di alcuni bassi edifici, correvano le mura  della Vasto medievale, fatte costruite da Giacomo Caldora, allineate, verso Nord, lungo la linea che va dalla torre Damante a quella di Santo Spirito ed a Sud verso il castello.

  Sotto il piano stradale di corso Plebiscito, davanti al palazzo e subito al di qua delle mura, vi erano dei magazzini dove veniva conservato il frumento  ed altri generi di prima necessità,  venivano per questo chiamate fosse del grano; queste furono adibite successivamente a cantine dai proprietari dei palazzi situati all’altro lato della strada. Quando il comune costruì la rete idrica, una semplice conduttura di piombo che passava al centro della strada sopra tali fosse, il tubo sospeso nel vuoto si ruppe, allagando tali locali ed imbibendo le fondamenta del palazzo, mettendo così a repentaglio la staticità dell’edificio che dovette essere puntellato. Successivamente il Comune, condannato per i danni provocati, si  accordò per pagare le spese per i lavori necessari a riparare lo stabile dai danni provocati.

 Il palazzo venne costruito nel Settecento dai De Nardis appartenenti ad una ricca famiglia, originaria di Barete nell’Aquilano, e si era qui trasferita assieme a dei loro parenti i Trecco, essi acquistarono anche verso l’Incoronata dei terreni nella contrada che da loro prende il nome di Villa De Nardis.

  Come scrive nelle sue memorie Francesco Ciccarone, la nostra famiglia e, specificatamente Francesco Paolo Ciccarone, sicuramente non si sarebbe mossa da da Scerni, se non ve lo avessero spinto dissapori familiari con alcuni cugini e tristi fatti che insanguinarono la sua casa, quando due suoi germani Cassiodoro e Giuseppe furono uccisi dai fratelli Prassede ed egli stesso corse tale rischio. Il duplice omicidio fu eseguito su commissione dei Marchesi d’Avalos, nel fallito tentativo di impossessarsi  di alcuni documenti inerenti una causa che li vedeva contrapposti al comune di Scerni per la proprietà di alcuni terreni. Questi fratelli avevano già trucidato il notaio Boschetti di Cupello, presso la cui abitazione in un primo momento pensavano si trovasse il documento. Questo in realtà era nelle mani della nostra famiglia e venne poi consegnato al prefetto di Chieti, cosìcchè la lite, che tanti lutti aveva provocato, si chiuse felicemente per il comune di Scerni. 

  L'intenzione  di non muoversi da Scerni  è avvalorata d’altro canto dalla decisione presa poco tempo prima di tali avvenimenti, da parte Francesco Paolo Ciccarone, di acquistare lì, proprio dai d’Avalos, il palazzo-castello marchesale ancora esistente e riconoscibile da una torre angolare con un bel balcone in ferro battuto; i marenghi necessari all'acquisto, avvolti in un rotolo, erano stati rinchiusi in cassaforte da don Cassiodoro prima di andare a dormire. Sentendo poi nella notte dal piano sottostante dei rumori , egli si mosse dalla camera da letto e si trovò così di fronte uno dei Prassede, che nascosto aveva osservato dal di fuori le mosse del sacerdote, il malvivente lo freddò; dopo averlo ucciso essi si impadronirono delle monete d'oro, ma non riuscirono a trovare le carte che cercavano.

  Trasferitosi  Francesco Paolo a Vasto, non ebbero fine le persecuzioni da parte dei  Prassede, che più volte cercarono di aggredirlo, una volta addirittura a Roma, dove uno di essi lo aveva seguito. Due dei fratelli furono alla fine arrestati e giustiziati a Chieti, dove erano stati rinchiusi: I parenti degli uccisi furono invitati all'esecuzione; al contrario della vedova del Boschetti che seguì il triste spettacolo da una finestra, il nostro trisavolo non volle andarvi.

  L'ultimo dei fratelli Prassede fu ucciso dal superstite fratello, Francesco Paolo che, informato del fatto che l'assassino si aggirava a Vasto nella zona di Santa Lucia, allora piena campagna, vi si avviò, accompagnato da  Isidoro Barbarotta, esimio cacciatore. Arrivarono verso il luogo dove l’assassino era stato avvistato, e si appostarono a poca distanza l'uno dall'altro. Avvistarono il Prassede, nascosto con la sua arma dietro un albero; partirono, quasi simultaneamente tre colpi, due dei quali andarono a segno, uccidendo l'assassino.

  Si stabilì quindi a Vasto, lasciando affidata la cura dei propri interessi a Scerni al fratello superstite Antonio Maria; Francesco Paolo, che aveva nel frattempo sposato Michelina Volpe di Calascio, prese casa dapprima a Palazzo d’Avalos nel mezzanino sopra l’attuale museo, occupato fino ad alcuni decenni fa dai Di Michele, successivamente vicino a piazza Caprioli al Palazzo Celano poi Pantini, successivamente a palazzo Barbarotta nell'omonima via. Vissero per un certo periodo anche in via Vittorio Veneto in un edificio all’angolo con via Giulia,  dove nel 1821 venne alla luce il primo Ciccarone nato a Vasto, mio bisnonno Silvio. Questa casa venne poi ceduta da nonno Francesco che vendette in seguito anche alcuni terreni lì intorno, lungo via delle Croci.

 Finalmente nel 1823 fu acquistata gran parte della casa in via Plebiscito da Antonia de Nardis, ultima componente di tale famiglia; l'edificio era allora molto diverso da come si presenta attualmente, il secondo piano era molto più basso; come ancora si può vedere in via San Francesco, non sopravanzava la linea di grondaia ancora visibile al di sopra della chiesa di San Teodoro; osservando attentamente la parete si scorge come accanto alle finestre del secondo piano il muro sia stato scalpellato per buttar giù la vecchia grondaia e sopraelevare il secondo piano; guardando da una certa distanza la facciata si può poi osservare come sopra la parte centrale ci sia un soppalco fatto eseguire da Francesco Paolo Ciccarone per costruire un grande salone con una volta molto più alta di quella delle altre camere. Tali lavori furono realizzati una ventina di anni dopo l’acquisto e furono completati con la sostituzione della scalinata, precedentemente più semplice e posta vicino al portone d’ingresso, con quella attuale più imponente e scenografica; tale modifica portò alla necessità di realizzare delle scale al di là dei portoncini di ingresso del primo piano ed il sacrificio degli stucchi che decoravano le volte. Tali lavori dovevano conferire all’edificio un aspetto di solennità che fosse un segno tangibile della posizione economico-sociale raggiunta dalla famiglia.

  Francesco Paolo ospitò lì per vari anni il nipote Pompeo Conti Ciccarone, futuro sindaco di Vasto, rimasto orfano della madre Giustina Felicia, morta di parto, e del padre, un Conti originario di Carunchio; egli si addottorò all’Aquila e svolse poi la professione di avvocato.

  Nonno Francesco nelle sue memorie racconta  come, prima di tali lavori, quasi tutta la parte che occupa attualmente il secondo piano erano veri e propri soffitti, adibiti addirittura a pollaio e deposito di cose vecchie ed ingombranti, salvo una piccola parte dove esisteva anche una stanza, adibita attualmente a biblioteca, che costituiva la camera da letto dell'arcidiacono de Nardis. Si racconta che, nella notte che precedette la sua morte, queste camere, dove egli era rimasto solo, venissero svaligiate da alcuni vicini di casa che riuscirono a penetrare dai tetti.

 Francesco Paolo Ciccarone, noto carbonaro, che aveva partecipato anche agli ordini di Ettore Carafa, alla difesa della Repubblica Partenopea alla fortezza di Pescara, per le sue risapute idee liberali era tenuto d’occhio dalla Polizia borbonica che più volte visitò, in seguito alla delazione di personale di servizio, il Palazzo alla ricerca di documenti compromettenti, ivi custoditi,  che fortunatamente non furono mai ritrovati. Egli partecipava alle riunione segrete che si tenevano nella rivendita, come venivano chiamate le sedi  carbonare, che a Vasto era  ubicata nei vicoli di Santa Maria, alla presenza degli affiliati di Vasto e dintorni. Egli era stato anche condannato al confinio all’isola di Lipari, da cui lo salvò l’amnistia con cui Ferdinando II volle iniziare il proprio regno dopo la morte di Francesco I.

 La casa divenne in seguito con il figlio Silvio, iscritto alla Giovane Italia, una delle sedi dei convegni segreti dei patrioti della Provincia; di lì si mossero quei Vastesi che, alla notizia che Garibaldi si avviava a grandi passi verso Napoli, superando le esitazioni e le paure che frenavano i liberali degli altri centri della regione che non ritenevano  prudente muoversi, prima che la situazione non si fosse stabilizzata. Giunti alla sede della sottoprefettura essi la occuparono, abbatterono le insegne borboniche e chiamaromo da Paglieta a dirigere la sottoprefettura Decoroso Sigismondi. Vasto fu cosi la prima città abruzzese ad insorgere nel nome di Vittorio Emanuele II e Garibaldi, Silvio Ciccarone venne nominato prodittatore, come venivano chiamati i rappresentanti di Garibaldi nei governi provvisori locali.

 Fu allora, con l’unità d’Italia che il Palazzo assunse a sede di molti dei più importanti avvenimenti della storia cittadina, accogliendo personalità protagoniste della politica nazionale. Tra i primi ci fu il marchese diVillamarina, plenipotenziario di Vittorio Emanuele II  per il Regno di Napoli, dove, nel Palazzo Reale rimase, per controllare la situazione durante i primi tempi dopo l’annessione, mantenendo i rapporti con Cavour e dirigendo la  vita politico-amministrativa nelle regioni occupate. Dovendo tornare a Napoli; dopo un abboccamento con il Re il Villamarina passò per Vasto, dove fu accolto in casa dalla mia bisnonna Maria Cardone e dalle sue cognate, essendo il marito assente, impegnato come maggiore della Guardia Nazionale negli scontri con le bande di briganti che, finanziate ed aiutate dai Borboni e da Pio IX infestavano, taglieggiando, compiendo stragi  e provocando disordini il Vastese, come tutto il Meridione. Nell’archivio di famiglia c’è una lettera di nonna Maria che racconta, in una lettera al marito, delle calorose accoglienze riservate all’illustre ospite e, di come il Villamarina, acclamato a gran voce dal pubblico raccolto davanti casa, si mostrò ad esso dal balcone sopra il portone per parlare alla folla lì raccolta; molti dei presenti portavano sui cappelli  la scritta SI, che era il simbolo che bisognava votare da parte di coloro che erano favorevoli all’annessione al Regno d’Italia. In quel periodo la casa divenne un importante punto d’incontro; vennero ospiti il generale Alfonso Lamarmora, comandante in più occasioni dell’esercito piemontese e presidente del consiglio prima del Regno di Sardegna e successivamente del Regno d’Italia, Ruggero Bonghi, parente della padrona di casa Maria Cardone, scrittore, giornalista e politico, autore della più conosciuta traduzione delle opere di Platone, professore universitario di Storia, Latino, Greco e di filosofia e futuro ministro della Pubblica Istruzione. La presenza più assidua comunque, fu senz’altro quella di Silvio Spaventa, amico fraterno di Silvio Ciccarone e venerato dal figlio Francesco  e da tutti i familiari. Sono raccolte nell’archivio di famiglia, e sono state più volte pubblicate, le numerose lettere che i due Silvi si scambiarono lungo un lungo arco di tempo, lettere nelle quali si parla, oltre che dei problemi politici di quel tempo, sia locali che nazionali, anche di tutti quegli argomenti di cui due amici comunemente discutono, come malanni,  preoccupazioni e vicende familiari.   Non essendo ancora a quel tempo i partiti organizzati con sedi ed organigrammi, le riunioni politiche si svolgevano nelle case dei personaggi più autorevoli, nel caso di Vasto e del vastese in casa nostra, dove i liberali locali erano orgogliosi fare la conoscenza e di  un personaggio del calibro di Silvio Spaventa per far posto al quale mio bisnonno aveva rinunciato a candidarsi di persona.

 Si trovava a casa, fino a quando venne sciolta il comando della Guardia Nazionale, che occupava tra uffici ed armeria tre grandi camere al primo piano poste tra corso Plebiscito e via Anelli.

 Altro ospite di riguardo negli anni successivi, fu Leopoldo Franchetti, fermatosi  a Vasto per parlare con mio bisnonno Silvio, nell’ottobre del 1873, nel corso di uno dei suoi lunghi viaggi-inchiesta sulla situazione delle provincie meridionali o, come si diceva allora, napoletane.

 Si conservano nell’archivio importanti documenti riguardanti gli avvenimenti politici di Vasto, anche di quando Silvio Ciccarone, avanti con gli anni, stanco ed amareggiato della situazione politica locale e nazionale decise di passare il testimone al figlio Francesco.

 La situazione nel ‘900 era comunque cambiata e la gran parte dell’attività pubblica, soprattutto dopo la sua elezione al parlamento, si svolgeva a Roma, dove con la moglie Rosa Marcantonio e tutta la famiglia si era trasferito e dove nacquero mio padre ed alcuni dei suoi fratelli e sorelle. Oltre che a casa nostra poi, molte riunione si cominciarono a svolgere nelle case delle famiglie più autorevoli dei paesi del collegi elettorale. La casa si riempiva poi di gente quando mio nonno tornava periodicamente da Roma, dove si era trasferito per partecipare ai lavori del paramento. La calca era tale, mi raccontavano che oltre che per le scale molte persone  dovevano prima aspettare nel cortile e per strada. Mio nonno li riceveva nel suo studio in una stanza che noi chiamavamo la loggetta per la presenza di un piccolo terrazzo esposto a SUD. Varie camere della casa avevano  il loro nomi, c’erano così: la camera della carezza che deve il suo nome per un sogno in cui mio zio disse di aver visto uno sconosciuto che lo accarezzò e gli disse la data della sua morte che lui dimenticò subito, la galleria dove si svolgevano cerimonie ed avvenimenti importanti, la camera Pompeiana, il salottino verde e così via.

 Mio nonno Francesco ampliò notevolmente la biblioteca, ricca ora di  circa ventimila volumi, alcuni rari, che ci venivano a volte richiesti per motivi di studio, molti in edizione originale, incunaboli e manoscritti,  fascicoli di quotidiani e riviste di epoca, dedicando ad essa due ampie camere. Per l’arredamento di tali locali, con mobili fatti su misura da artigiani appositamente venuti dalla zona di Pescara, mio nonno si ispirò alla biblioteca del castello di Miramare a Trieste. La casa, dopo che mio nonno decise abbandonare la vita parlamentare, rimaneva vuota per lunghi periodi. Durante gli studi mio padre,  mio nonno, i miei  zii  e zie  vissero lunghi periodi a Napoli e successivamente a Bologna durante gli anni universitari. Durante la seconda guerra mio padre, che era stato riformato alla visita di leva per una pregressa osteomielite ad un piede e quindi non era partito per la guerra, fu convinto dal prefetto a fare il podestà, nonostante fosse stato, dopo essere stato segretario, estromesso, all’inizio degli anni 30 dal  partito, per contrasti con i gerarchi locali (per lui, prima che al partito, bisognava rispondere alla propria coscienza). Veniva spesso a casa in quel periodo il tardo pomeriggio a far visita Romualdo Pantini il quale, quando gli fu riferito che da alcune ore era nato mio fratello Bruno volle vedere il neonato e con il suo facile verseggiare compose lì per lì una poesia per l’evento. Gli ultimi mesi dell’occupazione tedesca papà rimase solo in casa, essendosi il resto della famiglia trasferita in una casa di campagna a Scerni, insieme alle famiglie Nasci, Cardone ed alcuni parenti  di Spataro, che rimasero poi con noi anche dopo il ritorno a Vasto. In quel periodo mio padre pranzava a casa dei Del Frà dove c’erano solo i fratelli Giovanni e mastro Peppe, essendo stata anche la loro famiglia allontanata da Vasto. Quasi tutti i giorni si incontrava con Don Felice Piccirilli, iniziò così allora quel rapporto prima di reciproca stima e poi di amicizia che li legherà per tutta la vita.

 Da casa mio padre quando si capi che i tedeschi si stavano ritirando, si mosse con molti altri cittadini vastesi per andare incontro alle truppe alleate riuscendo a convincerle che Vasto era stata evacuata ed evitando così il bombardamento che stava per avere inizio. Durante l’occupazione alleata la nostra casa, come molte altre a Vasto e come la nostra villa in contrda Palombari,  fu  in gran parte requisita per ospitare le truppe alleate, con la quale la mia famiglia ed i parenti ospitati dovettero condividere il palazzo. I militari si aggiravano per la casa  senza nessun riguardo ed attenzione e procurarono numerosi danni ai mobili, alle tappezzerie, i rivestimenti ed oggetti di valore.

 Nel secondo dopoguerra, si svolsero in casa molte delle riunioni e discussioni politiche tra mio padre riguardo ai problemi amministrativi come la costituzione del consorzio di bonifica. Anche mia zia Giulia, allora delegata regionale dell’azione cattolica, che era praticamente allora con i comitati civici una succursale della Democrazia Cristiana. Le riunioni divennero giornaliere con l’elezione a sindaco di mio padre, soprattutto dopo la creazione dell’associazione civica “il Faro”, che costituì con il PCI la prima amministrazione di centro-sinistra a Vasto.

 Io ero in quel periodo  a Macerata in collegio, ma ricordo nei periodi in cui tornavo a Vasto la casa era sempre piena di gente: ricordo tra i più assidui Ettore Del Lupo, Don Vincenzo Pomponio, il professor Angelo Matassa, il dottor Leone de Liberato e molti altri  amici e sostenitori. Fu in quel periodo che venne in casa, invitato a pranzo l’onorevole Giovanni Leone, qualche mese prima della sua elezione a Presidente della Repubblica, venuto a Vasto come avvocato difensore di un consigliere comunale Leone De Liberato. Tale venuta a Vasto di Leone e l’invito a pranzo in casa nostra non fu priva di polemiche nell’ambito cittadino, assieme al fatto che fosse uno dei massimi esponenti della Democrazia Cristiana a difendere un rappresentante del Faro allora, a livello locale, acerrimo nemico del partito di maggioranza. Le polemiche, che al nostro giorno potrebbero sembrare strane, possono ben comprenderle le persone che di quegli avvenimenti furono autori o spettatori.

 Nel Palazzo, ci sono, oltre alla biblioteca e fotografie  di importanti avvenimenti ed all’archivio storico,  catalogato e vincolato, cimeli vari, alcuni dei quali al momento in deposito a Pescara al Museo delle genti d’Abruzzo,  armadi pieni di numerosissimi fascicoli  contenenti documenti ancora da visionare, ordinare e catalogare relativi ai periodi in cui mio padre fu sindaco e quello in cui fondò e  diresse il Consorzio di Bonifica prima della nomina di Ettore del Lupo.

 Il palazzo si compone di un piano terreno, un primo ed un secondo piano al di sopra del quale vi è un altro piano più piccolo, non visibile dalla strada sovrastato da una torretta, abbastanza comune nei vecchi palazzi vastesi, con il pavimento formato da lungo tavoloni di legno, che serviva per conservare frutta, formaggi, salumi conserve ed altra roba. Nell’ambito dell’edificio c’è una chiesa, fatta costruire dai De Nardis, essa era dedicata ad uno sconosciuto martire delle persecuzioni al tempo dell’imperatore Diocleziano, a cui fu dato il nome di Teodoro (dono di Dio) e vi era sopra l’altare maggiore un urna con il suo corpo, ora trasferito alla chiesa del Carmine. Esso fu per alcuni anni  prima d San Michele il protettore di Vasto per tale motivo il suo nome era a Vasto discretamente diffuso. Negli anni sessanta mio padre assieme ai fratelli e le sorelle decise di acquistare una parte del palazzo comprendente varie stanze di proprietà della curia, per l’occasione furono fatti lavori per rendere eleganti ed accoglienti tali locali.

 Mio padre verso la fine del secondo mandato sindacale decise di ristrutturare il villino Cardone in contrada Palombari per trasferirvisi con la propria famiglia. Fino ci trascorrevamo solo l’estate per tornare al Palazzo ad autunno inoltrato. Rimanevano lì le mie zie, zio Antonio, e quando venivano a Vasto zia Maria e più frequentemente zio Peppino con la sua famiglia. Durante gli ultimi tempi della malattia di zio Antonio di tanto in tanto venivano a trovarlo i colleghi della facoltà di Agraria di Bari, specialmente quelli dell’Istituto di Patologia Vegetale che egli aveva istituito ed elevato a grande prestigio, specialmente per quanto riguardava le colture tipiche mediterranee. Venivano anche a trovare le mie zie,  specialmente zia Giulia, oltre che i numerosi nipoti, i colleghi della scuola magistrale di Pescara ed i ragazzi con cui si riuniva per organizzare le numerose attività dell’oratorio della Parrocchia Chiesa della Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo di San Salvo Marina. Nei nostri discorsi dicevamo Vasto, quando ci volevamo riferire al Palazzo in corso Plebiscito ed il Barone Cardone quando ci si riferiva al Villino di contrada Palombari.

 Il palazzo rimaneva comunque la sede, la nostra vera casa; lì eravamo nati, lì eravamo cresciuti ed aperti al mondo. Del resto era al Palazzo che si tornava nelle solennità a Natale, A Pasqua nelle solennità  e nelle occasioni liete e tristi che tutte le famiglie sogliono attraversare. Ricordo li ci riunivamo per le festività natalizie, eravamo a volte quaranta e più persone, c’erano sempre con noi oltre che i fratelli di papà anche alcuni parenti di mamma, tra cui i Desiati con zio Piero e zia Liliana, a Natale ad una certa ora veniva a farci visita la famiglia Nasci. In uno dei saloni del palazzo fu allestita la camera ardente per la morte di mia madre e di zio Antonio con un continuo andirivieni di gruppi di persone. L’ultimo dei figli a risiedere li sono stato io che vi trascorsi con mia moglie i miei due primi anni dopo il  matrimonio.

La manutenzione del palazzo è attualmente molto onerosa e poco funzionale per una famiglia attuale; abbiamo varie volte accennato alle autorità comunali la prospettiva dell’acquisizione del palazzo che di tante vicende della vita cittadina è stata testimone; avrebbe inoltre la possibilità di conservare, dove attualmente sono custoditi, una biblioteca di circa ventimila volumi, di cui moltissimi rari, quando non unici, l’archivio attualmente esistente e da ampliare con i moltissimi importanti documenti lasciati da papà. Chi vivrà, vedrà.

Nessun commento: