La metamorfosi alla quale siamo noi tutti abituati è quella
che porta dal bruco, un essere non dotato di particolari doti estetiche, alla
farfalla, che tutti apprezziamo per la particolare bellezza. Gli uomini pure,
quando inseguono il vero ed il bello, sono capaci di creare dei capolavori
indiscutibili, ma quando dichiarano di perseguire fini nobili ed invece
agiscono per il tornaconto personale o di parte, creano mostri di indicibile
bruttezza. Questo sta avvenendo nel corso degli ultimi anni alla Costa dei
Trabocchi, grazie al discutibile operato della Provincia, con la bozza di
regolamento della via verde, e della Regione, con le conseguenze della legge
regionale del 10 giugno 2019, n. 7. Soffermiamoci su uno di questi esiti. La
Regione Abruzzo ha sancito per legge che i trabocchi sono “edifici”, ma un
edificio deve essere dichiarato “agibile” per essere utilizzato e l’agibilità
si ottiene con un “certificato di collaudo”. Nessun tecnico potrà mai firmare
in scienza e coscienza il certificato di collaudo per un trabocco, perché si
tratta di una struttura costruita in maniera empirica e con materiali
diversificati (ferro e legno), su basi instabili, tra l’altro sottoposti
dall’acqua marina ad un processo di accelerazione del degrado, e soggetta alle
sollecitazioni talora spaventose dei marosi. In teoria, quindi, i trabocchi
sono “edifici” che non potrebbero essere utilizzati, visto che non possono
essere “agibili”, in quanto non collaudabili.
Il fine della legislazione sugli edifici è quello di
“tutelare la pubblica incolumità” e dobbiamo riflettere su questo concetto,
perché oggi siamo sempre più portati a considera l’iter progettuale e costruttivo come un insieme di pratiche
amministrative da produrre. Non è così e ce lo ricordano in ogni momento le
tragedie che hanno sempre come causa la volontà di “profitto a tutti i costi”
che sfida le leggi della natura, cioè della fisica.
È evidente che la legislazione regionale ha nel tempo
svilito i trabocchi, definendoli beni culturali e paesaggistici nel 1994, mentre
oggi negli atti ne parla e ne scrive come se di fatto fossero dei ristoranti,
dotati di sala ampia fino a 160 mq calpestabili, di servizi (cucina, bagni e
rispostigli) fino al 50 mq e capienza massima di sessanta persone, personale ed
ospiti compresi. Chiamiamoli allora “ristotrabocchi”, per non confonderli con
quelli che ancora sono i veri trabocchi. Ad ogni modo, anche se per i
ristotrabocchi fosse riconosciuta una superficie ampia anche un quinto di
quanto stabilito dalla legge regionale n. 7 del 2019, siamo ben al di là dei
massimi dimensionali dei trabocchi tradizionali, quelli che hanno dato vita al
marchio “Costa dei Trabocchi”. Non potrà più chiamarsi Costa dei Trabocchi
quando, in un futuro molto vicino a noi, la maggior parte dei trabocchi sarà sostituita
dai ristotrabocchi, che non sono, ripetiamo, trabocchi. È evidente che la messa
in atto di questa metamorfosi, legittimata da una legislazione regionale che ha
voluto favorire uno sparuto gruppetto di operatori della ristorazione, a
svantaggio anche degli operatori della terraferma, ci lascerà un marchio
svilito e – cosa ancor più grave - un
paesaggio del tutto degradato, incapace di rappresentare in modo genuino e
verace il suo territorio di riferimento e di attirare l’attenzione dei
viaggiatori. Insomma, una costa sempre più povera e degradata.
Vasto, 11 febbraio 2021
Italia Nostra del Vastese
ARCI – Vasto
Associazione civica Porta Nuova
Forum Civico Ecologista
Gruppo Fratino
Vasto
WWF Zona Frentana e Costa Teatina