venerdì 9 dicembre 2022

De Sica, il vino, il web e i permalosi.


Certo è che le polemiche sul trailer del film di De Sica mi hanno ancora più convinto che i social ci distorcono il cervello.

Da una battuta estrapolata da un contesto di cui ancora non si comprendono né il principio né il seguito e nemmeno si conosce la psicologia del personaggio che la recita, si è sollevato un putiferio.
Tutti a difendere il vino d'Abruzzo. Scomodando addirittura la sua storia millenaria.
Secondo me l'Abruzzo esce perdente dalla reazione che ha avuto contro questa "battuta".
Ma dove è finita l'ironia? Anche l'abruzzese "forte e gentile" è diventato permaloso?
L'Attore nemmeno ha detto che il vino abruzzese "è una merda". Ha detto che quel vino (abruzzese) che nella scena sta bevendo è "na merda". Sappiamo perché lo ha detto? Sappiamo se il suo stato d'animo era (nel film) predisposto a dare "giusti" giudizi? Magari in quel momento il protagonista del film doveva fare uscire questa parola per evidenziare il suo personaggio. Questo e altro non conosciamo.
C'era bisogno di muovere addirittura la "corte celeste" d'Abruzzo?
Sarei disposto a "dialogare" in merito a questo argomento che non è certo una difesa di De Sica (che non ne ha certo bisogno) ma il fatto che, come le bevande alcoliche, i social fanno male se non usati in maniera "consapevole".
... e se vogliamo questa reazione degli "abruzzesi" ha fatto anche pubblicità al film.

mercoledì 30 novembre 2022

Armocromia ed altre difficili parole.

 


Se solo si provassero ad applicare i principi della armocromia agli interventi che si stanno eseguendo sul territorio della nostra città, ci si renderebbe conto di quanto lo stiamo maltrattando in nome di uno sviluppo futuro. Certo è difficile immaginare e proporre una corretta pianificazione e programmazione, specialmente se schiacciati da veto-players da una parte e Short terminism dall’altra. Se almeno in mezzo a questi fossero ascoltate teste pensanti e non i soliti raccomandati, la massa, apparentemente afasica, capirebbe e si farebbe un’opinione giustificata su quello che si vuole porre in essere, quindi potrebbe manifestare la sua opinione.

Non mi si accusi di preterizione.

Gli aranceti e gli uliveti che ricoprivano la collina dalla Marina al Vasto sono stati sostituiti da edifici di ogni foggia e dimensione mentre presto ci si accapiglierà per un impianto eolico che disturberà, secondo alcuni, la visuale dell’ azzurro mare. Ci si distrae per alcune difformità, definite aggressivamente abusi, magari in un parco che finalmente stava prendendo una qualità degna del luogo, senza rendersi conto che affacciandosi dai belvedere cittadini, a causa della vegetazione incolta, non si vede più il panorama e piuttosto ci si schifa da ogni tipo d’immondizia lasciata in loco dai fruitori delle bellezze cittadine.

Ma l’armocromia, una disciplina che semplifica la vita e permette di sottolineare la propria bellezza, forse non è applicabile alla “meraviglia” della città poiché chi dovrebbe adottare questa disciplina la applica prima su di se guardandosi allo specchio.  Questo soggetto, infatti, ritenendosi bello, senza comparazioni o adeguate consulenze, e con una pletora di benevoli compagni che assecondano le scelte come spesso i mariti annoiati fanno pur di non spendere tempo o perché non sono in grado di dare giudizi, applica lo stesso criterio sul paesaggio e sull’uso di questo, non accorgendosi che il suo è un giudizio personale è la scelta è peggiorativa dello Status Quo.

Andrebbe studiato con calma l’ambiente e valutate con attenzione le eventuali scelte. Purtroppo lo Short terminism vuole risolvere al più presto la questione (le elezioni sono sempre dietro l’angolo e la speculazione deve produrre rapidamente) e i veto-players che, pur di fermare il cambiamento, non si accorgono di fare il gioco dei primi. Si ottiene così un qualcosa di ibrido che quasi sempre è peggio dello Status Quo. Vedi Casarza.

Chi ricorda Casarza prima dell’eliminazione della ferrovia e soprattutto prima della realizzazione di un comodo ma orrendo parcheggio? Era un Paradiso. Ora è un posto come un altro.

Si potrebbe utilizzare l’armocromia anche per la toponomastica? Io penso di si, se democraticamente si utilizzasse la maniera giusta. Chiudete gli occhi e immaginate La Canale o Vignola o San Nicola. Che colori vedete? Ora chiudeteli e immaginate Parco San Benedetto … è la stessa cosa?

La toponomastica è una cosa seria poiché questa materia racchiude in se storia e civiltà. Anche con riferimento a questa bisognerebbe avere tanta cultura. Cultura è una parola che nasce da “coltivazione e cura” e non dall’improvvisazione del momento. Invece … ma di questo parleremo in altre occasioni.



PS Il gabbiano in foto, non sa che bevendo quell'acqua (dolce) potrebbe morire.

mercoledì 16 novembre 2022

Ninnì

 


Una piccola cameretta con accesso da Corso Plebiscito tinteggiata di un vago colore verdino. Una mensola con un barattolo contenente due enormi granchi, che da noi si chiamano pelosi, sotto spirito. Di fianco a questo barattolo c’erano una cornice con la foto e l’autografo di Gianni Rivera e, attaccato al muro, lo stemma del Milan. Queste furono le cose che notai, entrando per la prima volta nella bottega di un barbiere. Fino a quel giorno il barbiere veniva a casa mia. Era un tipo dai capelli rossi che mi metteva seduto su una seggiolina posta su un tavolo e, mentre mi tagliava i capelli, mi raccontava le favole.

Finalmente mia madre ritenne che ormai fossi cresciuto abbastanza da recarmi io dal barbiere e zio Paolo si offrì di accompagnarmi. Per giungere da “lui” da Corso Garibaldi, si scendevano le scalette di “Cicilelle” e, attraversato vico storto del passero, si salivano quelle di Angiolina. Giunti in una piazzetta, attraverso un vicoletto stretto, si usciva su corso Plebiscito. A sinistra “Lu Furnarille”, di fronte il maestoso palazzo Ciccarone, a destra la barberia. Fuori da questa era sempre parcheggiata una “moto a Volkswagen”, cosi detta perché aveva il parafango anteriore che copriva la ruota fino alla metà di questa. Era la moto del barbiere.

Le chiacchiere ad alta voce sulla Pro Vasto, sul campionato di calcio, sulla passatella al bar Nord o nelle varie cantine della zona, assieme ad altre amenità, facevano rimbombare il piccolo ambiente. A lavorare erano in tre: il titolare, il padre del titolare e Fernando, il ragazzo di bottega. Dopo breve attesa mi sedettero su un cavalluccio di metallo argentato con la seduta di similpelle verdone e mi avvolsero in una tovaglia che mi lasciava libera solo la testa.

“Alla Umberto?” Chiese il padre del titolare a mio zio. “Certo, alla Umberto, e faglieli bene altrimenti chi la vuole sentire sua madre!”. Cominciai a sentire il movimento e il tocco di forbici e pettine ma soprattutto lo “gnikgnic” della macchietta sul collo, dietro le orecchie e sulle basette. Questa sensazione ormai non si prova più giacché quella macchinetta è stata sostituita da altra elettrica che emette un rumore assai diverso. Sono cambiati anche i rasoi e nemmeno si usa più quella fascia di cuoio appesa al muro da cui scaturiva quel veloce “ciaff ciaf” mentre il barbiere affilava il rasoio su di essa.

In quella stanzetta per la prima volta il rasoio passò sulla mia faccia.

“Dai tagliagli quei brutti peli sotto il naso” disse un giorno mio zio al “barbiere” e quest’ultimo mi chiese: “sei sicuro? Poi dovrai raderti sempre!”. Io mi sentii grande e acconsentii. Mi viene da sorridere perché ancora adesso mi taglio di rado la barba.

Il tempo passava, l’amministrazione comunale di allora decise di allargare il vicoletto che conduceva a Piazzetta d’Amante a scapito della Bottega del Barbiere che fu abbattuta. Il barbiere si trasferì in via Crispi, poco più sopra del negozio di zia “trisina a fore la porte”, verso il Belvedere Romani. Qui il Salone, finalmente si poteva chiamare così, era luminoso e ben arredato. Sul fondo spiccava un riquadro realizzato con carta da parati che riproduceva geroglifici egizi e davanti a questo un “moderno” divanetto rosso. Poltroncine nuove, attrezzature nuove, non ho memoria se ci fosse ancora la sedia a cavalluccio, già da allora era un ricordo, ma c’era ancora l’angolino dedicato ai Pelosi e al Milan. Non c’erano più i pacchi di schedine del Totocalcio, che si usavano nella vecchia bottega per pulire i rasoi dalla schiuma da barba. Tutto più moderno, tutto più funzionale.

“Tradii” quel luogo per colpa di un torneo di calcio: il famoso trofeo barbieri. Il mio salone non partecipava ed io per entrare in una squadra fui “costretto” a farmi “servire” in un altro salone. Ricordo ancora Fernando che sugli spalti, vedendomi, indicava al suo “principale”, rigorosamente in dialetto: “Elle vì addò stà, elle vì! Joche 'nghi la squadre di LT”.

Partii per l’università e quando tornavo frequentavo gli “acconciatori” (all’epoca cominciavano a chiamarsi così) dove capitava.  

Tornai in quel salone, che nel frattempo si era ancora trasferito, questa volta di fianco a “Portanova”, per accompagnare mio zio ormai molto malato. Lui si che non aveva mai tradito quel suo amico barbiere, quel suo unico “vero” amico si chiamava Ninnì.

Chiedo scusa a chi mi rimprovererà di aver raccontato una mia storia invece di quella Ninnì, ma lui assieme a mio zio sono un pezzo del mio cuore e come si fa a staccare un pezzo di cuore senza esserne protagonista?

 


(La foto è di repertorio, scaricata da internet)

martedì 8 novembre 2022

Alla luce del poi ... che scemo!


Ho ritrovato questi articoli del 2008 e mi chiedo fino a che punto essere "idealisti" paghi. All'epoca ci credevo. Oggi invece ...


La cosa bella poi è che gli argomenti trattati negli articoli sono ancora all'ordine del giorno. Vogliamo ridere? Ridiamoci su che è meglio.


 

venerdì 4 novembre 2022

A Gabriele Rossetti il busto al Pincio ... il banchetto agli invitati.


Inutile aggiungere parole (tranne che la foto l'ho scaricata da qualche parte nel web, mentre l'articolo l'ho scovato nella immensa emeroteca Ciccarone). Era il 4 novembre 1911 e ...


 

lunedì 31 ottobre 2022

Il ricordo di chi non c'è più


 La Signorina Ester Stella, parafrasando la vecchia battuta, non trova il suo nome tra i defunti.

E' una vecchia foto, dovrei dire vintage o, meglio ancora, antica. Da quando ha chiuso il suo negozio in Corso De Parma non ho più avuto sue notizie ma continuo a conservare questa foto perchè della Signorina ho un ricordo incancellabile: è stato l'ultimo baluardo di quella Vasto denominata l'Atene degli Abruzzi.

In questi giorni in cui in tanti si recano al cimitero, anch'io lo faccio (ognuno ll'adda fa' chesta crianza, ognuno adda tené chistu penziero) ma non solo per adornare di fiori il loculo marmoreo dei parenti e aimè di tanti amici e conoscenti.

Ci vado a rivedere anche le tombe dei "Signori" che, pensando di fare cose buone, hanno dedicato la loro vita alla grandezza della Città del Vasto. 

Dovrei farne l'elenco ma cosa servirebbe? 

Non sento rumori di chi si rivolta nella tomba forse perchè anche "Loro" hanno perso la speranza "ultima Dea"  e si sono tristemente rilassati nel sonno eterno, accettando ... la sconfitta.


giovedì 20 ottobre 2022

Ci chiamavamo rigorosamente per cognome ...


Era l'anno scolastico 1969/70 avevo 14 anni. Era il 10 ottobre quando, timidamente entrai in classe, iscritto al primo liceo scientifico del collegio San Gabriele di viale Parioli a Roma. 
E' stato il 10 ottobre 2022 e ho partecipato ad una cena con molti dei miei "compagni" di scuola di allora.

Ritrovarmi in un ambiente che, aspetto fisico a parte, è rimasto identico ai tempi del liceo, con quello spirito "goliardico", che si ritrova in chi si è visto appena il giorno prima mentre invece sono passati 50 anni, è stata una sensazione fantastica, avvertita anche da tutti i presenti.  

Le strade si dividono ma visto che tutte le strade portano a Roma a volte, come in questo caso, ci si ritrova. Così vieni a sapere che lui è ... l'altro è ... tu dici che sei ... e così via ma a nessuno credo interessasse sapere cosa fossimo diventati piuttosto chi eravamo stati. E io che sono un collezionista di ricordi, con la mia tuta ginnica rigorosamente dell'epoca e una serie di notiziari carichi di foto, di nomi e di ricordi, mi sono ritrovato immerso, almeno per una sera, in una "epoca" impossibile da rivivere.

Un'epoca in cui ci chiamavamo rigorosamente per cognome, in un luogo che trasudava di storia. 

Mi fermo, altrimenti, preso dalla nostalgia, comincerei a parlare della storia di "quell'Istituto" frequentato da "nomi" importanti che a partire dai figli di Edda e Galeazzo fino al Premio Nobel Giorgio Parisi e poi ancora ...

... però se vogliamo parlare delle zie di Negrini che venivano a prenderlo il sabato dal vicino Piper, delle minigonne di Marina Ripa di Meana (all'epoca non si chiamava così), delle "donnine allegre" di via Taro, dei tramonti dietro il Cupolone ammirati dall'abbaino della mia camera, delle partite a ping pong con Roberto Giontella, degli scarpini di Guidi sul prato di Valle Giulia, delle ripetizioni di matematica assieme Giovanni Maucione e di tanti "nomi" e di tanto altro, si può fare. 

martedì 4 ottobre 2022

Anche Sua Eccellenza Bruno Forte si è accorto che ...


 Vasto città "pulita" non c'è che dire. Mi fermo altrimenti mi toccherà rimarcare che nel centro storico si puliscono le strade solo se in esse si trovano le case di assessori o ... mi fermo, mi fermo: 

giovedì 22 settembre 2022

Il sorbo di Salamastra

 




La vettura saliva le scalette di Zia Rachele, stando molto attenta a dove metteva i piedi. Se trovava un buco, di qualsiasi dimensione fosse, si fermava finche nonno Paolo non lo riempiva. Aveva molta cura di se la vettura.

Una mattina di fine ottobre, ancora insonnolito, nonno Paolo mi caricò sul dorso della vettura e lentamente si incammino con essa verso contrada Salamastra, per raggiungere l’uliveto di famiglia. Questo era un posto speciale per la qualità dell’olio. Olio che si sarebbe ottenuto dalla mistura di olive, raccolte dalle diverse varietà di piante, sapientemente interrate nei secoli precedenti e ancora curate dai miei nonni con pazienza e memoria, proprio per ottenere un preciso e unico sapore. “Quass’è l’uje di Stobbene. S’aricanosce!” Avrebbero detto al frantoio e mio nonno se n’aripriave.

Erano da poco passate le quattro, era ancora notte e una fitta foschia ci avvolgeva. Mi distesi tra la sella e i baonzi e mi riaddormentai cullato dall’ancheggiare e dal lento scalpito degli zoccoli di Rosina.

Rosina era l’affettuoso nome che mio nonno aveva dato alla sua asina. In paese gli asini venivano definiti vetture o peggio, con disprezzo, ciucci. Mio nonno invece riteneva il suo animale come una compagna di lavoro e, se vogliamo, anche di viaggio nella vita. Non era raro sentirlo parlare con Rosina di storia o filosofia, dei “drammi” da Mario e Silla fino a Cadorna passando per Rosmini o addirittura Lombroso. E se qualcuno lo sfotteva dicendogli: “che ffì’, pèrle ‘nghi ll’asene?”  lui fieramente rispondeva: “almene àsse mmi’ sta à ssendè! Ti ni’mmi’ sìnde e ni’mmi’ ‘ndinde”.

Mi svegliai che albeggiava. Intorno, l’erba autunnale era coperta da un qualcosa di bianco, simile a grosse ragnatele. Dicevano fosse “la manna”, ma io non lo so, per certi versi mi faceva impressione. Non scesi a terra fino all’arrivo.

Raggiungemmo il luogo e già dopo un primo sguardo rivolto agli alberi, sul volto di mio nonno si accese un ampio sorriso. Cominciò il suo lavoro canticchiando canzoncine militari, di quelle che si cantavano nelle caserme, che lui aveva imparato durante i suoi due anni di leva a Palermo. Perfino era stato Caporale e se ne vantava. “L’unico periodo in cui sono stato rispettato”, diceva, “fu durante il servizio militare a Palermo”. Qui nonostante l’età, rimango sempre Pauluccio di Stobbene.

Intanto le ore passavano. Arrivati intorno alle dieci del mattino, almeno così diceva lui regolandosi col sole, decise che si doveva fare colazione. Aprì un fagottino con pane, formaggio, salame acqua e vino e preparò dei panini.

Avevo diffidenza a mangiare il formaggio perché avevo visto mia nonna mungere una pecora, con la testa, protetta da un grezzo foulard, appoggiata al sedere di questa e gli spruzzi di latte che riempivano un secchio di alluminio. Però, sarà stata la fame, da quel giorno sono diventato un appassionato estimatore di formaggio di pecora. Conservo gelosamente una serie di canestrelli di paglia che si usavano come formine, mi sono sempre riproposto di provare a fare il formaggio ma non ho mai cominciato e purtroppo dubito che lo farò.

Ripreso il lavoro, il sole aveva riscaldato l’aria e il bianco che ricopriva l’erba era sparito, m’intrattenevo con Rosina che, libera da ogni legaccio, aveva raggiunto un albero di fichi il quale era cresciuto spontaneo e sceglieva i fichi migliori. Ogni tanto mi guardava e con i suoi occhi sembrava che mi prendesse in giro. Aveva uno sguardo sorridente e appagato. Mio nonno intanto, vedendomi incuriosito, cominciò a parlarmi di una parabola del vangelo che parlava di un fico, di un padrone che voleva tagliarlo e di un servo che lo invitò a non farlo. All’epoca mi sembrò una favola poi crescendo ho riflettuto molto su quella parabola.

Quando il sole si era fatto caldo, si senti il suono di campane. Mi domandai come facesse ad arrivare fino a noi quel suono, giacché eravamo così lontani dal centro abitato, ma la curiosità svanì, dispersa nel profumo che proveniva da un tegame di terracotta che conteneva il cacioeovo che mia nonna aveva preparato la sera prima. Il rito dell’apertura dei fagotti, il movimento delle dita atte a sciogliere i nodi della tovaglietta sapientemente usata per proteggere i tegami e il profumo del loro contenuto, mi ha sempre affascinato. 

Mangiammo veloce poiché si doveva completare il lavoro e il sole correva veloce. Mio nonno era contento per l’interesse che mostravo a guardarlo ma era ancora più contento se, disinteressandomi di lui, mi dedicavo ad altro. “La vita del contadino è una vitaccia; Fatica, sudore e nessun rispetto”, ripeteva spesso, ma in quella occasione ero troppo piccolo per capire perché mi distraesse se mostravo interesse per li suo lavoro. Pensavo che mi ritenesse incapace e mi dispiaceva.

Passarono ancora un paio d’ore. “Dai che è tardi! Dobbiamo riavviarci”. “Ma, Nonno Pa’, è ancora presto!”. “Qui il sole si copre dietro la collina di fronte e fa notte subito. Noi dobbiamo tornare a casa. I Vecchi dormivano qui ma noi …”

Prima di ripartire, aprì un fazzoletto molto colorato di quelli che si usano per asciugare il sudore. Dentro c’erano dei semi. Mi disse che erano semi di sorbo e aggiunse: “piantali. Ci vorranno anni ma vedrai che ogni volta che passerai da queste parti, guardando la pianta che crescerà, ti ricorderai di questa giornata.

Completata l’operazione, dopo una scrollata alla terra rimasta sulle ginocchia, accompagnata dalle prime ombre della sera la vettura, guidata con maestria da mio nonno, s’incamminò lentamente verso casa.

All’imbrunire arrivammo alle scalette di zia Rachele. Mio nonno scese da sella dicendomi: “ce la fai a guidarlo da solo e raggiungere la casa?” Io entusiasta risposi di si. Lui si fidò.

 Vincenzo e Nicola, due monelli della contrada detta “Li Filanzire”, stavano giocando, lanciandosi in discesa, a forte velocità, con la loro carrozzella di legno montata su ruote a sfera ma vedendomi arrivare e conoscendo l’abitudine dell’asino, scavarono una buchetta sulla strada e puntualmente la vettura si fermò. I due ridevano ma io, senza scompormi, richiusi il buco. “Rosina andiamo!” esclamai. L’asino riprese il cammino e, col muso rivolto ai due ragazzacci, cominciò a ragliare. Sembrava che li rimproverasse. I due si arresero e si dedicarono ad altro.

Arrivati a casa fui accolto dal solito sorriso di mia nonna che, avvertita dal ragliare di Rosina era già pronta con una grande tinozza piena d’acqua … il pieno per la vettura.

La serata cominciava a essere umida e le abitanti della strada avevano già riposto i lavori di merletto e i lavori a maglia che nel pomeriggio avevano realizzato, sedute davanti all’uscio delle loro case, chiacchierando tra loro e godendo dei raggi del sole che fino a quell’ora aveva riempito la strada. Da via Vesuvio allora si vedeva il mare e mentre l’asino beveva, io fissavo quell’immensa distesa di acqua che, nonostante fosse autunno, mi attraeva.

Da quella visione mi distraevano unicamente le domande di nonna Carmela sul come era andata la giornata. In quella occasione glie ne feci io una: “ma come fa Nonno Paolo a conoscere tutte le storie che racconta?”

Quando tornava zio Paolo Barone dai suoi viaggi – rispose mia nonna – passavano tanto tempo assieme, a volte nottate intere, seduti sugli scalini della chiesa della Madonna delle Grazie a raccontarsi storie; a volte si fermavano anche i passanti ad ascoltare. Ora nonno coglie ogni occasione per raccontare a te quelle storie.

Solo ai tempi del liceo capii cosa leggesse zio Paolo Barone, imbarcato sulle navi tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, durante le sue crociere commerciali, nientemeno che fino in Corea e in Giappone. L’ultimo libro che lesse fu: Paradise Lost di John Milton.

Oltre a questo testo conservava sotto il suo letto, centinaia di libri in diverse lingue. Questa collezione resistette alla sua morte ma non a quella di sua moglie, zia Rachele, quella delle scalette. I libri e tanti ricordi di una vita passata navigando nel mondo furono bruciati perché un prete aveva “invitato” a non leggere quelle opere poiché erano frutto del diavolo e portavano al peccato. Io all’epoca non c’ero né avrei potuto fare nulla per salvare qualcosa. Come avrei potuto vincere contro quel tipo d’ignoranza?

Piano piano, Filomena, Grazia, Carmela, Concetta, Lidia, Spina … ci hanno lasciato e nessuno le ha rimpiazzate più in quella strada. Un palazzo costruito di recente, con la sua ombra rende tutto buio, dalla strada non si vede più il mare e nemmeno dai balconcini delle piccole case. Via Vesuvio, un “Paradise Lost” che niente ha a che vedere con quello di John Milton ma che a me, ogni volta che scivolo in quel ricordo, pare una veggenza.

Da molti anni anche l’uliveto è rimasto abbandonato. La vita moderna poco si adatta alla fatica e al sudore. I rovi hanno avvolto e coperto gli antichi alberi di olivo; i vicini passano negli spazi praticabili con i loro mezzi senza rispetto per la proprietà altrui; la fauna selvaggia si è appropriata del luogo e quest’ultima è la cosa che mi dispiace di meno.

Alcuni giorni addietro, la nostalgia mi ha invitato a passare da quelle parti e con la mia attuale vettura. Con questa per raggiungere l’uliveto bastano pochi minuti non ore come all’epoca, altro che Rosina! E poi, la strada è ora è asfaltata e ha un nome segnalato da un cartello: Via Vilignina.

Ho visto il sorbo. Mi è apparso gigantesco. Gigantesco come la montagna di storie, di ricordi, di tradizioni, di esperienze, di cultura, di persone che in sessanta anni abbiamo completamente cancellato. Mi è tornata in mente “quella giornata”. Ho pianto.

 

martedì 12 aprile 2022

giovedì 17 febbraio 2022

lunedì 31 gennaio 2022

La Vasto di Michele Monina


Mi sto gustando in questi giorni un libro che parla di Vasto ma del quale i "vastesi" difficilmente ne conoscono l'esistenza, almeno fino ad oggi. 
"Guida Psicogeografica oer autostoppisti" è il titolo del libro scritto a Michele Monina, scrittore di Ancona e, come dice lui, in esilio a Milano.
Di sicuro non mi metterò a narrare del contenuto del libro ma mi piace evidenziare che, in maniera molto veritiera, anche se con diverse imprecisioni non dovute all'autore ma a chi gli ha fornito le notizie, Micchiiiile (chiamerò sempre così l'autore, dopo aver letto il suo libro) ha saputo leggere e descrivere, oltre che la "Città", i suoi abitanti.
Il bello, a mio modo di vedere, di questo libro sta nel fatto che viene descritta una Vasto poco osservata, una Vasto alla fine della sua epoca "Vastarola" e all'inizio di quella "Vastese". Non mi dilungo nella spiegazione di questo mio pensiero e lascio agli "eventuali" lettori comprendere questa distinzione.
Dallo scrittore (Micchiiiile) vorrei solo sapere, qualora si trovasse a leggere questo post e avesse voglia di rispondermi, cosa intende per "intellettuale" e se considera positivo o negativo l'aggettivo "eccentrico". Inoltre lo vorrei informare che la sua opera mi è stata segnalata da un "cugino di alto grado".

P.S. Ho scelto la foto perchè ... magari in un incontro estivo ne potremmo parlare.

sabato 15 gennaio 2022

Da Variante uno a Variante 16


Queste considerazioni in merito alla proposta Variante della Statale 16 Adriatica, scritte dal "concittadino" Francesco Paolo Spadaccini, mi sembrano assai appropriate.

 Non saprei dire esattamente da quando se ne discute, ma posso testimoniare che ho letto un documento di programmazione che contiene questo argomento e che portava la data del 2009;  firmato dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e dal Presidente Regione Abruzzo, Gianni Chiodi. A sua volta il documento cita precedenti atti amministrativi risalenti al 2003 e 2006; questo del 2006 era stato presentato al Ministro Antonio Di Pietro.

Nessuno ha mai avuto dubbi sulla necessità di quest'opera; nessuno ha tirato in ballo questioni paesaggistiche, ferite all'ecosistema, problemi di espropri, attività agricole massacrate: tutti d'accordo a sostenere che ci serve. E fingiamo di non sapere che una strada è portatrice di molti sconvolgimenti, oppure lo sappiamo ma vogliamo credere che i vantaggi siano superiori agli svantaggi.

Prima di ogni altra considerazione, mettiamo bene in chiaro che il traffico tra Vasto e Vasto Marina non ha nulla a che spartire con il raddoppio: è una questione a sè stante.

La motivazione più ricorrente  è che il raddoppio della SS16 devierà buona parte del traffico che oggi intasa la tratta vastese. Quindi stiamo pensando di deviare un flusso in transito, non di accumulo. Cioè stiamo dicendo che buona parte dei veicoli che oggi ci assillano non si fermano da noi, ma vanno oltre, verso sud o viceversa, e che devono per forza passare da noi perchè non hanno alternative. E questa alternativa la offrirà proprio il raddoppio. E il traffico sulla autostrada come lo consideriamo? Facciamo finta che non esista?

Il traffico da Vasto marina a marina di San Salvo, non è traffico di transito, altrimenti proseguirebbe oltre questi due punti. E' invece traffico stanziale, locale, di sosta, casa e lavoro, passeggiata in spiaggia, pizza al fresco, casa al mare ... che non avrà nè motivo nè convenienza ad usare il raddoppio. Tornando all'idraulica è come l'acqua che si accumula in un serbatoio. Questo serbatoio è proprio l'area turistica, dalla Bagnante alla marina di San Salvo; il traffico è come una massa di pesci che sguazza in un acquario: si riduce per 10 mesi all'anno e si incrementa per il resto; ma l'acquario è sempre delle stesse dimensioni. E il perchè di queste dimensioni merita un discorso a parte.

Se assumiamo che il traffico verso Vasto sia VA e quello che prosegue oltre sia VB, allora il raddoppio fungerebbe da tangenziale, ma giustificabile solo nel caso che VB sia nettamente superiore a VA. Come dire che per 1 veicolo che entra in Vasto, almeno 3 o 4 veicoli/camion devino sul raddoppio. Pensate che questa sia l'attuale situazione? Esistono rilevamenti attendibili in tal senso? Io credo di no; ci saranno solo ipotesi e tutte a sostegno del raddoppio, ci si può scommettere. Il traffico verso sud o verso nord, ha già la sua autostrada e con un traffico direi esiguo se paragonato a tratti più a nord.

Per rendere verosimile questa esigenza di raddoppio, tra le altre storielle, si continua ad illudersi che avremo un futuro dove il traffico industriale e turistico esploderà? Queste erano le motivazione di 15,  20 anni fa; qualcuna si è avverata? Anzi, abbiamo una comunità che ostacola ogni nuovo insediamento industriale, motivando con la salvaguardia del nostro ecosistema eppoi finge di non sapere quale scempio comporta una strada proprio a quell'ecosistema che si pretende di difendere. Osservando le industrie nelle due aree, Punta Penna e San Salvo, vi sembrano esplose negli ultimi 15 anni? E il turismo, vi sembra raddoppiato nello stesso periodo? Notate che ci siano programmi dell'amministrazione che vanno in questa direzione? O, al contrario, movimenti di opinione che bloccano ogni nuovo insediamento?

Incremento del turismo. Ma qualcuno pensa quando parla? Per incrmentare le presenze occorre creare nuovi posti letto, quindi altri alberghi, case vacanza, parcheggi, aree di divertimento, strade interne; quindi altro traffico stanziale, altro traffico commerciale interno, altri orti e uliveti sbancati, ecc. ecc.  ... e l'acquario è sempre quello!!

Ma l'alternativa al raddoppio già c'è. Vediamolo.

Leggo che per il raddoppio si parla di circa 70 milioni, mentre per una uscita A14 a San Lorenzo (Vasto Ovest) ne basterebbero 10.

Realizzare un nuovo casello a Vasto Ovest, sarebbe la decisione più intelligente, più economica e meno invasiva, ed è la risposta al raddoppio che tanto cerchiamo.

La tangenziale di Milano, come quelle di altre grandi città, ha dei tratti gratuiti ed altri, per intervalli più lunghi, con pedaggio, proprio per smaltire traffico in città. Proviamo a fare dei calcoli.

Supponiamo che si faccia una convenzione con il gestore A14 riconoscendo 1 euro per ogni veicolo che entri a Vasto Nord ed esca a Vasto Ovest o Vasto Sud, e viceversa. Con quei 60 milioni risparmiati non facendo il raddoppio, potremmo far transitare gratuitamente 60 milioni di veicoli. E supponendo ne transitassero 10.000 al giorno, fanno 3.650.000 in un anno. Cioè quei 60 milioni pagherebbero il transito gratuito, Vasto Nord, Ovest, Sud e viceversa, a 10.000 veicoli per 16 anni. Sembrano calcoli empirici, e lo sono, ma sono quelli che si fanno quando si devono scegliere soluzioni ai problemi.

Tutto questo senza segare nessun albero o tagliare in due un orto. Questo è solo un esempio indicativo di quali possano essere le alternative alla realizzazione di una strada che comporta, da quello che si legge, addirittura una sopraelevata o un tunnel.

Ma se osserviamo bene, il traffico che tanto ci preoccupa è quello lungo il litorale dalla nostra  marina a quella di San Salvo. Aver costruito alberghi e residenze anche sul lato strada verso l'interno, oltre a raddoppiare il transito dei residenti, ha creato le tante occasioni di pericolo per gli attraversamenti. Se si fosse costruito solo sul lato mare avremmo avuto metà del traffico residente e nessun pericolo di attraversamento. Ma tant'è e dobbiamo prenderne atto.

Allora potremmo raddoppiare solo questo tratto, con un percorso che passi all'interno delle campagne e  oltre la linea delle costruzioni esistenti, riservando invece l'attuale percorso solo ai residenti e deviando sul raddoppio tutti gli altri, cioè tutti quelli che da Vasto, devono andare a San Salvo o Termoli, per lavoro o altro. Eppoi ci sono tutte quelle strade che usiamo poco perchè abitudinari con le più trafficate; con parte di quei milioni potremmo ristrutturarle e renderle vere e proprie alternative.

Concludo sostenendo che il raddoppio della SS16 è opera inutile e se si realizzasse sarebbe deserta. I fondi disponibili, ammesso che ci siano ancora dopo quanto sta succedendo alla nostra economia nazionale, , potrebbero essere diversamente e più proficuamente impiegati.

lunedì 3 gennaio 2022

Umberto Palazzo - Qui ... il nuovo anno si apre bene.


Non ho chiesto a Umberto il permesso di pubblicare su questo blog il suo brano ma, oltre alla bellissima canzone, ho rivisto nel video tante persone che ho coosciuto e in modo particolare ho rivisto Roberto Laccetti.

Non aggiungo atro. ... a cosa servirebbe.