venerdì 28 febbraio 2020

Vastaroli illustri dimenticati (1): LUIGI NASCI



LUIGI NASCI
di Maurizio Ciccarone

Luigi Nasci nacque a Vasto il 31 Marzo 1854 da Carlo, fervido patriota e Tenente della guardia nazionale nel 1860, e Maria Antonia Cardone, figlia del Barone Luigi Cardone, energico combattente delle battaglie contro i Borbone nella fortezza di Pescara nel 1799 e ad Antrodoco contro gli Austriaci nel 1821 a capo delle milizie vastesi. Primo di cinque figli egli ebbe quattro sorelle: Anna che sposerà Alfonso Spataro, da loro nascerà Giuseppe Spataro, Ernestina che sposerà Tommaso Berardi di Ortona, Beniamina che sposera Beniamino dei conti Mayo e Rosa che, sposata con Alfonso Cauli, andò ad abitare in un bel palazzetto, rimasto intatto, a Policorvo una frazione di Carpineto Sinello, in aperta campagna, dove per vari mesi era difficile andare e venire; qui stremata dalle gravidanze ed isolata da parenti ed amici, morì quasi pazza; sorte non migliore fu quella del marito, che messosi in affari, fondò una società elettrica Zecca-Cauli&C. con Odoardo Zecca ed Angelo Biondi; in tale società entrarono successivamente altri soci tra cui i De Cecco; la Zecca Cauli &C., costruì a Fara San Martino varie centrali elettriche in corrispondenza di alcuni salti del fiume Verde poi altre centrali in altri comuni, alcune delle quali tuttora esistenti, fu anche incoraggiato in tale attività dall’onorevole Francesco Ciccarone e dal cugino Emilio Giampietro. Essendo successivamente venuto in causa con il socio ed essendosi purtroppo il processo risolto a suo sfavore, fu costretto a rivendere parte del suo ingente patrimonio. Morì a Roma. Un giorno passeggiando e rimuginando, come continuamente faceva, sulle sue disavventure finanziarie, non si accorse dell’arrivo di un tram che lo investì.

La famiglia Nasci, di origine calabrese e più precisamente, il nonno Giuseppe, ingegnere, essendo stato incaricato dal governo di redigere il catasto di Vasto, si era qui trasferita dalla Calabria durante il periodo murattiano, prendendo residenza in un’abitazione posta tra via Lago e corso Dante. In seguito, attratto dalla bellezza del luogo e dalla dolcezza del clima, egli decideva di stabilirvisi. Era Allora Vasto un centro attrattivo, contava in quel periodo e, più precisamente nel 1809, 7.859 abitanti, continuerà a crescere fino a raggiungere quasi 12.000 al momento dell’annessione nel 1861. Già da più di due secoli famiglie milanesi, veneziane e genovesi, si erano qui trasferiti praticando il commercio, mettendo su attività artigiane, come cristallerie, coltellerie e stamperie. Alcune di queste attività assursero a grande vivacità, specialmente per quanto riguarda il commercio; da Vasto partivano navi che trasportavano olio, grano, vino ed il pregiato aceto bianco di Vasto che, arrivato a Venezia, veniva di lì trasportato a Vienna ed a tutto il Nord-europa; per quanto riguarda la fabbricazione di coltellerie e lame, queste attività si andarono via via concentrando verso Campobasso e soprattutto a Frosolone, dove tale attività continua tuttora. I figli di tali famiglie si uniranno in matrimonio con persone del luogo, finendo così col confondersi con la popolazione locale e vastesizzandosi. Col passare del tempo, giungeranno anche famiglie abruzzesi e del contiguo Molise come i Rulli provenienti da Monteroduni ed i de Benedictis originari di Guglionesi per quanto riguarda il Molise, poi i Ciccarone di Scerni, i Cardone di Atessa, i d’Ettorre di Chieti, i baroni Anelli di Salle e sempre del Pescarese i de Pompeys, originari di Torre dei Passeri, poi i Trecco ed i De Nardis di Barete nell’Aquilano, i Pantini di Bergamo, venuti a Vasto per il restauro del campanile di San Giuseppe (non so se allora ancora dedicata a Sant’Agostino) ed addirittura, provenienti dalla Svezia i Cordella, qui giunti, come ingegneri della ferrovia, quando tale importante infrastruttura arrivò qui da noi; essi italianizzeranno poi il cognome Cordell in Cordella.

I Nasci, approfittando della soppressione e della vendita dei beni degli ordini religiosi, acquistarono a Vasto alcuni terreni nella zona denominata allora San Martino ed ora chiamata dai vastesi Villa Nasci e parecchi ettari di terra a San Salvo Marina, allora in gran parte paludosa, che inizieranno a bonificare a proprie spese.
Dopo i primi anni dei corsi elementari a Vasto, Luigi fu dal padre condotto, tra gli Abruzzesi primo di una lunga schiera, in Toscana a Prato al famoso Collegio Cicognini, allora praticamente sconosciuto nella nostra regione. Qui primeggiò per la sua preparazione e la sua vivace intelligenza, lasciando tanto vivo ricordo che Gabriele D’Annunzio, anche lui allievo alcuni anni più tardi dello stesso collegio, rincontrandolo in Abruzzo esclamò. “Ecco Nasci, la gloria del Cicognini!”
Luigi Nasci avrebbe sicuramente potuto aspirare ad incarichi di prestigio, se l’amore per la sua terra ed il suo carattere insofferente dei maneggi elettorali, di sotterfugi e di bassi, e spesso disonesti compromessi, non lo avessero convinto a rinunciare alle attrattive della vita parlamentare.

Il desiderio di riorganizzare le sue terre e di migliorare le antiquate tecniche agricole dei nostri circondari, contrassegnati dalla mancanza di impegno da parte dei proprietari nel modernizzare obsoleti metodi agricoli, difetto comune nei territorio meridionale; erano, rimasti infatti pressoché immutati, i vecchi problemi rilevati da Leopoldo Franchetti e dagli altri meridionalisti nei loro viaggi nel nostro Mezzogiorno, lo spinsero ad iscriversi alla Facoltà di Agraria, prima a Pisa dove frequentò il salotto culturale-letterario della scrittrice Caterina Franceschi- Ferrucci. Di qui passò poi alla scuola di Portici. Anche durante gli studi Universitari brillò per la sua preparazione, tanto che fu invitato da numerosi suoi insegnanti a rimanere al loro fianco come proprio collaboratore.
Come detto l’amore per la sua terra natale, resa ancora più cara per il ritorno, sempre dalla Toscana dopo l’educazione nel Collegio della Santa Annunziata di Firenze, della cugina Michelina Ciccarone, suo primo ed unico amore, lo indusse a tornare a Vasto.
Qui non si lasciò completamente assorbire dalle cure del proprio patrimonio personale, dagli affetti familiari e dalla politica nel partito liberale, dove il padre ed il suocero avevano militato nel culto di Silvio Spaventa; gran parte del suo tempo e della sua attività, fu infatti dedicata al progresso dell’agricoltura, delle condizioni economiche ed alla elevazione culturale di tutto il suo territorio.
Fu così che molti giovani agricoltori, attratti dall’entusiasmo con cui li istruiva ed il suo amore per la terra, iniziarono con notevoli vantaggi, a seguire i suoi consigli; alcuni di essi ricevettero riconoscimenti dal Ministero dell’Agricoltura ed una croce al merito. I rapporti con i suoi contadini poi, erano improntati a vero attaccamento e, quando necessario, non negava mai a loro il suo aiuto. Conservo a casa foto di gruppo che lo ritraggono nei suoi terreni in compagnia della sua famiglia e dei suoi operai.
Non mancò nell’espletamento dei vari incarichi amministrativi di allargare il più possibile la base sociale rappresentativa, affiancando ai componenti delle solite vecchie famiglie, artigiani, operai ed agricoltori, e molta cura apportò all’attività di quella che era stata la prima organizzazione sorta a Vasto dopo l’Unità d’Italia ”la Società Operaia”, costituita a Vasto per opera del suocero Silvio Ciccarone, istituendovi corsi e dotandola di una piccola biblioteca.
Per la stima che i professori conservavano di lui, fu chiamato a far parte del Consiglio Superiore dell’Agricoltura presso il Ministero a Roma, ed a lui si dovette a Vasto la fondazione del Comizio Agrario che fece funzionare a sue spese, poi la ricostituzione del Legato Romani, depredato durante gli anni di governo comunale della sinistra, con la creazione della cattedra ambulante dell’Agricoltura al quale dedicò il suo tempo ed anche qui, sue personali risorse finanziarie, rimanendo in contatto con i più prestigiosi professori del tempo. Fu anche vicepresidente dell’Istituto Agrario di Scerni, svolgendo in realtà le funzioni di presidente.
Egli portò avanti l’opera di bonifica e miglioramenti intrapresi dal nonno Giuseppe e dal padre Carlo. Contrariamente alla maggior parte dei proprietari che affidavano a fattori o cedevano in affitto i propri terreni, vendendo ogni tanto qualche appezzamento per debiti contratti al gioco o in altri divertimenti, egli si occupava personalmente della conduzione della sua azienda. Le spese per i lavori intrapresi erano a volte ingenti. I miei zii mi raccontavano di quando andando a casa Nasci a trovare zia Michelina lo trovavano la sera, tornato dai suoi campi, immerso nelle carte della contabilità che egli controllava con competenza ed oculatezza.

Il 1880 fu un anno particolarmente felice per lui, dopo accurati preparativi a cura della madre, Maria Antonia e della zia di Michelina, Enrichetta, riconciliate per l’occasione dopo lunga inimicizia, finalmente nel mese di Maggio i due giovani convolavano a nozze. Il salone del Palazzo Ciccarone , chiamata dai proprietari la Galleria, era riccamente addobbata; sarà l’ultima importante cerimonia solenne lì svolta; numerosissime candele illuminavano la sala, spandendo la loro luce dal grande lampadario centrale, dai candelabri applicati al muro e quelli di bronzo dorato sopra i ripiani di marmo delle consolle, e facevano risplendere il raso rosso dei divani e delle poltrone, le cristallerie, le argenterie, i vasi di limoges, i vetri e le cornici di oro zecchino dei quadri e dei grandi specchi. Dopo solenni festeggiamenti, durante i quali vari invitati ed il padre della sposa si esibirono, leggendo ed improvvisando versi di sapore arcadico, i due giovani partirono alla volta di Vienna. Il dispiacere dei familiari per l’assenza di Michelina, veniva l’anno dopo superata dalla nascita, nella loro villa di San Martino, del figlio Giuseppe
La grande casa dei Nasci e d’estate la loro villa divenne il salotto dove i più influenti personaggi, non solo di Vasto, si riunivano. I vasti saloni con grandi divani, la tappezzeria di raso giallo-oro, si riempivano spesso di signori e signore che ambivano ad intervenire ai ricevimenti ed alle feste che i Nasci organizzavano. Donna Michelina, educata al più prestigioso ed esclusivo collegio italiano, era considerata la più elegante signora della provincia, ed a lei ci si recava in occasione di matrimoni ed altre importanti cerimonie , per avere suggerimenti sulle acconciature e sugli abbigliamenti adatti. Lei sceglieva consultando cataloghi provenienti direttamente da Parigi, la capitale allora della moda. Grande cura dedicò la madre al figlio Giuseppe, favorendo anche relazioni con le famiglie più importanti e benestanti della regione anche in prospettive matrimoniali; dopo l’iscrizione di questo al liceo, la madre si trasferì con lui a Chieti; affittò un grande appartamento al centro, frequentò le case delle persone più in vista, partecipò a cerimonie, e spettacoli al teatro Marrucino. In realtà Peppino, come era chiamato in famiglia, era interessato dalle ragazze in maniera inversamente proporzionale al pensiero del matrimonio. Attratto anche lui dalla politica, con grande sforzo finanziario, e, mettendo a repentaglio il patrimonio famigliare, egli, assieme al cugino Giuseppe Spataro ed altri vastesi, dopo un primo fallito tentativo di essere eletto alla camera con il partito liberale, fonderà nel 1921 il partito popolare di Vasto, presentandosi, di nuovo senza successo, con tale partito; nel secondo dopoguerra sarà eletto sindaco di Vasto e presidente della Provincia di Chieti; nonostante le insistenze dei suoi amici e sostenitori, rifiuterà di candidarsi al senato.
Dopo oltre venti anni, con il ritorno al governo della città del Partito Liberale, Luigi Nasci, dopo avere per qualche mese assunta la carica di commissario prefettizio, nel Marzo del 1887, fu eletto a larghissima maggioranza Sindaco di Vasto. Erano i rappresentanti delle famiglie più in vista ad occuparsi della vita cittadina, sempre gratuitamente, anzi rimettendoci in genere del loro. Era con vero spirito di servizio che essi, ritenendosi dalla sorte privilegiati, si dedicavano con impegno e rettitudine alle cariche pubbliche, ritenendo giusto ricambiare in tal modo il loro benessere.
Prime sue cure furono quelle di ricostituire la finanza comunale, dissestata da anni di malgoverno, riorganizzare i pubblici servizi, restituire serietà e sincerità ai bilanci e riaccendere nell’animo degli amministrati la fiducia verso i propri amministratori.
Nel giro di pochi anni, ricondusse così in pareggio il bilancio e rimise in ordine la macchina amministrativa grazie all’abilità ed a conoscenze giuridico-economiche inaspettate in un personaggio che non aveva fatto studi specifici. Egli cercava, come altri in quei tempi, dovendo coprire incarichi amministrativi, di acquisire tali abilità con uno studio assiduo e meticoloso e scegliendo validi collaboratori, non ammettendo nella sua azione di governo incompetenza e pressapochismo.
Fu anche suo merito l’istituzione della banca Popolare a Vasto, di cui commercianti, agricoltori e piccoli imprenditori avvertivano la necessità e ne fu anche primo presidente.
Possiamo citare tra le opere della sua amministrazione: l’impianto comunale di illuminazione elettrica, primo tra i centri non capoluogo d Provincia, la costruzione del mattatoio, quella del Nuovo corso de Parma (la Corsea, come era allora chiamata), poi l’attuale corso Cavour, il restauro e l’abbellimento del Teatro Rossetti, aperto dal nonno, il Barone Luigi Cardone, sindaco alcuni decenni prima, la costruzione della strada per Vasto Marina con il sottopassaggio per la ferrovia, la bonifica del fosso Marino di altre zone malsane lungo la costa vastese e la realizzazione della strada litoranea verso la stazione di San Salvo, utilizzando per i lavori una strada che egli aveva costruito a proprie spese. Provvide a dotare l’Ospedale di macchinari, mobili e curò la distribuzione gratuita di farmaci ai poveri (per il locale nosocomio lascerà nel testamento un lascito in denaro); istituì varie scuole nelle zone rurali prima di dare incarico all’ingegnere Luigi Pietrocola del progetto per il primo Palazzo Scolastico, la cui costruzione purtroppo, a causa degli eventi bellici subì forti ritardi, e vedrà la luce solo dopo la Grande Guerra, stessa sorte subirà un’altra opera da lui avviata, il nuovo acquedotto, mediante un Consorzio tra Vasto ed i comuni vicini che, subì gravi ritardi anche perché vi si dovette poi includere Casalbordino, che aveva in precedenza avviata per proprio conto tale opera, attingendo però a sorgenti raccogliticce e poco adatte ad uso potabile. Per quanto riguarda la cultura, provvide a far riordinare il Museo cittadino che si trovava in uno stato di totale abbandono, mediante la collaborazione del Professor Luigi Anelli, che fu nominato direttore di tale importante istituzione, aprì poi una sottoscrizione per il monumento a Gabriele Rossetti, affidandone l’esecuzione allo scultore Commendator Filippo Cifariello. Purtroppo come non poté bere l’acqua del nuovo acquedotto, così non poté vedere l’innalzamento del monumento al Poeta, essendo egli in quel momento a Roma malato e, solo il Cifariello, al momento delle celebrazione, si ricordò di fare il suo nome.
Nonostante ripetuti sforzi, non si riuscì ad ottenere l’Istituzione del tribunale che vedrà la luce solo nel secondo dopoguerra grazie all’impegno del cugino Silvio Ciccarone.
Solo per il colpevole disinteresse del successore suo e di quello del cognato l’onorevole Francesco Ciccarone, che con lui collaborava, non si riuscì a realizzare il porto e la costruzione della Ferrovia Vasto - Agnone, opera progettata, approvata e finanziata e, solo per lo scoppio della guerra, rimandata a tempi migliori. Si conservano ancora nel Palazzo Ciccarone il progetto della ferrovia ed altri relativi incartamenti.
In politica, non fu solo sindaco di Vasto ma anche vicepresidente e poi presidente della Provincia di Chieti, incarichi che ricoprì per vario tempo; qui, ancor giovane, meravigliava, per il suo acume giuridico e la sua chiara visione amministrativa colleghi anziani come il Finamore e l’Auriti.
Venuta la guerra 15-18, fu costretto purtroppo ad interrompere le opere da lui ideate e progettate ed ormai prossime alla realizzazione e si dette quindi tutto all’assistenza ed al conforto della popolazione vastese, provvedendo, nei limiti del possibile che mai nulla del necessario mancasse.
Finita la guerra, purtroppo la salute e le forze progressivamente lo abbandonavano; un morbo di Banti, forse; dovuto probabilmente a pregresse infezioni malariche, contratte durante la bonifica delle sue terre e di alcune zone di Vasto Marina e della costa, si aggravava sempre più.
Nella notte tra il 21 ed il 22 del Luglio 1930 ,assistito dall’amata Michelina, dimenticato da tutti, quando addirittura non fatto segno segno di malevoli accuse, da chi voleva attribuirsi il merito di tutto quello che in tanti anni di lavoro era riuscito a realizzare, di tante opere portate a termine e di altre già ben avviate, dopo tre anni di martirio, egli si spegneva nella sua casa romana in via Cola di Rienzo, senza potere aver potuto vedere il monumento al Rossetti, né bere l’acqua di quell’Acquedotto per la cui costruzione tanto aveva combattuto. Dal suo letto di dolore mai lo aveva abbandonato il pensiero alla sua Vasto, le cui vicende, anche se assente, attentamente seguiva.


La salma, dopo le prime onoranze a Roma nella chiesa di San Giovacchino, veniva trasportata a Vasto. Qui giunta, alla stazione si formò un corteo di automobili e carri coperti da corone, all’ingresso nella città gli vennero incontro i suoi amati contadini, che presero a braccia la salma e, giunti alla cattedrale, deposero la bara, circondata da una vera selva di fiori. Alle 10 fu celebrata la Messa funebre, alle 18 attraverso la città, dalle porte chiuse in segno di lutto cittadino, un interminabile corteo accompagnò al cimitero l’estinto. Alle porte della città, al belvedere Romani, il corteo sostò e la salma, sostenuta dai suoi coloni, fu deposta su un tumulo vicino al palco dal quale numerosi oratori pronunciarono i loro discorsi.
Solo pochi mesi più tardi, nel corso di una pubblica riunione tenutasi al teatro Rossetti i politici e gli amministratori del tempo, quegli stessi che nel corso dei discorsi funebri lo avevano osannato, volutamente dimenticando tutto il lavoro fatto dal Nasci, si attribuiranno i meriti di tutto quello che era stato fatto a Vasto negli ultimi anni, suscitando mormorii tra il pubblico presente che, dopo un violento discorso di protesta da parte del nipote Silvio Ciccarone, si trasformarono in forti contestazioni, che convinsero capi e capetti presenti a tagliare la corda; salirono sulle macchine, cercando di guadagnare la strada della stazione per prendere il treno e tornare verso Chieti, ma la popolazione, da tempo in subbuglio ed esasperata dopo l’accaduto, la riunione era stata infatti organizzata proprio per calmare a Vasto acque non proprio tranquille, tagliò loro la ritirata scendendo lungo il Muro delle Lame e, solo grazie all’intervento della forza forza pubblica, poterono far ritorno alle loro case.


L’episodio, ingigantito, fu ripreso anche dalla stampa straniera, e costò un processo a Silvio Ciccarone che fu estromesso dalla carica di segretario politico cittadino a poco più di un anno dalla nomina; riuscì per poco ad evitare il confinio, che qualcuno aveva proposto. Verrà poi, nel Maggio 1931, nominato al suo posto l’ingegner Pietro Mariani, mentre il Ciccarone era assente da Vasto, in viaggio di nozze con la giovanissima moglie Nerina D’Ettorre; ma questa è un’altra storia. 


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