A Vasto c'era un Signore
di Marco Magnarapa
Ero in Svizzera ieri, 19 aprile, di ritorno da un paese più nordico e da una città dal nome impronunciabile. In coda per entrare nel tunnel del San Gottardo la telefonata, “ è morto Carlo, l'ha scritto Paolo nel suo sito”. La legnata nello stomaco della notizia, non inaspettata, ma di quelle alle quali non si è mai preparati, ha istantaneamente cancellato il giornale radio -finalmente italiano- che ascoltavo, con i suoi seicento affogati dall'ignavia itaGliana. .....
Con
l'immagine del mare sono però tornato ai
miei dodici anni, con Carletto e Vittorio su una lancia da pesca davanti al
mare di Vasto.
Poi
la rinfusa dei ricordi.
E
già stamattina la cronaca del funerale, sul blog una foto scattata da me, un
Carlo elegante e riservato come sapeva
essere, con gli occhi quasi bassi di chi non ha alcun bisogno di sfidare il
prossimo per muoversi. Eravamo andati
lungo il tratturo alla Magdalena per cercare il luogo nel quale la tradizione
voleva che, accanto a un uliveto secolare, esistesse una fossa comune di epoca
imprecisata, della quale la sua inquietudine di indagatore non accettava la
falla storica.
Ma
chi era Carlo Marchesani, un musicista, un letterato, un esperto di arte, un
genovese, un vastese, un professore, certo un discepolo di ogni sapere, senza
forse e semplicemente un Signore.
Non
prigioniero, ma sempre circoscritto nella sua educazione, ti spiegava le cose
dandoti l'impressione che fossi tu a spiegarle a lui, mai sgarbato, mai
adirato, sempre ospitale in quel palazzetto rinascimentale dove le mura raccontavano di lui e dei suoi
antenati e dove i ricordi, delle famiglie parenti o relative, erano parte
stessa della struttura e conservati tanto gelosamente, da essere disponibili
per tutti.
Colonna, Amblingh, Rossetti, De Pompeis, Argentieri,
Ciccarone sono i primi nomi delle sue famiglie che tra nonne e zii mi vengono in mente, insieme alle
corrispondenze con personaggi quali Lewis Carrol, oggetti come i dagherrotipi appunto
dei Rossetti a Londra, quadri e pelli di leone…... vanti dei quali sorrideva mostrandoli agli
amici, magari anche tirando fuori tomi ponderosi, ritagli o articoli, che
spaziavano dalla notazione musicale degli antichi egizi, agli etimi della
toponomastica istoniense, scorrendo i quali dovevi essere veloce a leggere, se
volevi fare in tempo a coglierne la firma, prima che te ne mostrasse un altro,
e la firma era quasi sempre quella di
Carlo.
Pensavo
questo, prima che stamattina l'amico
Paolo pubblicasse la foto di una Santa Maria desolata, non diversa da quella
che ricordavo per la circostanza del trigesimo della scomparsa dell'amata
sorella, quando entrando con mia moglie e i miei figli, trovammo lui sulla
destra, quasi in disparte, praticamente solo a ricordare Irene. Negli ultimi anni
assomigliava ogni giorno di più a suo padre, dal quale oltre alla
caratteristica fisica delle palpebre, che riducevano gli occhi a una fessura,
aveva ereditato la modestia del non dire di sè e di non dire quanti marinai
vastesi, terminato il secolare reclutamento per la pesca dei merluzzi nei mari
del nord, avevano bussato alla porta di via Santa Maria. Il pane e il modo di dare istruzione a figli
e figlie, arrivavano grazie agli uffici del fratello Mino. Il vecchio Ulterico,
quasi minuscolo, accanto a donna Matilde, tra le altre cose era stato
responsabile della difesa del porto di Genova e la città gli doveva più di
qualcosa per non essere stata oggetto di una feroce distruzione quando, tra i
bagliori dell'ultima guerra, quel mite uomo era riuscito tra indicibili rischi,
ad attraversare le linee. Portando segretamente con se i documenti e gli
impegni che consentirono la delicata trattativa tra le forze belligeranti, fu
lui a consentire che la città fosse risparmiata dal progettato bombardamento
degli ancoraggi. Un merito che ai tempi fu politicamente scippato dai consueti
assi pigliatutto dell'ultima ora.
Puntigliosamente silenzioso di questi fatti e mai nulla pretendendo per
sè, all'ingrata Genova non mancava però di chiedere lavoro e imbarchi per i suoi
compaesani, quei compaesani i cui figli, oggi, professionisti anche affermati,
non si sono neppure accorti che a Vasto stesse morendo l'ultimo signore.
Schivo
anche della cresta baronale o della consanguineita' col generale dei Domenicani
che, dalla patria frentana non divenne papa Bartoletti per un sol voto, mi
piace pensare che da ieri don Carlo, o monsù Carletu, con in mano il balloon
del nebbiolo ........ se la rida delle miserie di quegli inginocchiatoi vuoti,
..... del resto non ci si poteva neppure
aspettare una gran folla, visto che il protagonista della cerimonia era
verosimilmente l'ultimo della sua specie.