martedì 21 aprile 2015

A Carlo Marchesani

A Vasto c'era  un Signore
di Marco Magnarapa


Ero in Svizzera ieri, 19 aprile, di ritorno da un paese più nordico e da una città dal nome impronunciabile. In coda per entrare nel tunnel del San Gottardo la telefonata, “ è morto Carlo, l'ha scritto Paolo nel suo sito”. La legnata nello stomaco della notizia, non inaspettata, ma di quelle alle quali non si è mai preparati, ha istantaneamente  cancellato il giornale radio -finalmente italiano- che ascoltavo, con i suoi seicento affogati dall'ignavia  itaGliana. .....
Con l'immagine del mare sono però  tornato ai miei dodici anni, con Carletto e Vittorio su una lancia da pesca davanti al mare di Vasto.
Poi la rinfusa dei ricordi. 
E già stamattina la cronaca del funerale, sul blog una foto scattata da me, un Carlo elegante e riservato come  sapeva essere,  con gli occhi quasi bassi  di chi non ha alcun bisogno di sfidare il prossimo per muoversi.  Eravamo andati lungo il tratturo alla Magdalena per cercare il luogo nel quale la tradizione voleva che, accanto a un uliveto secolare, esistesse una fossa comune di epoca imprecisata, della quale la sua inquietudine di indagatore non accettava la falla storica.
Ma chi era Carlo Marchesani, un musicista, un letterato, un esperto di arte, un genovese, un vastese, un professore, certo un discepolo di ogni sapere, senza forse e semplicemente un Signore.
Non prigioniero, ma sempre circoscritto nella sua educazione, ti spiegava le cose dandoti l'impressione che fossi tu a spiegarle a lui, mai sgarbato, mai adirato, sempre ospitale in quel palazzetto rinascimentale  dove le mura raccontavano di lui e dei suoi antenati e dove i ricordi, delle famiglie parenti o relative, erano parte stessa della struttura e conservati tanto gelosamente, da essere disponibili per tutti.
Colonna,  Amblingh, Rossetti, De Pompeis, Argentieri, Ciccarone sono i primi nomi delle sue famiglie che tra nonne e zii  mi vengono in mente, insieme alle corrispondenze con personaggi quali Lewis Carrol, oggetti come i dagherrotipi appunto dei Rossetti a Londra, quadri e pelli di leone…...  vanti dei quali sorrideva mostrandoli agli amici, magari anche tirando fuori tomi ponderosi, ritagli o articoli, che spaziavano dalla notazione musicale degli antichi egizi, agli etimi della toponomastica istoniense, scorrendo i quali dovevi essere veloce a leggere, se volevi fare in tempo a coglierne la firma, prima che te ne mostrasse un altro, e la firma era  quasi sempre quella di Carlo.
Pensavo questo, prima che  stamattina l'amico Paolo pubblicasse la foto di una Santa Maria desolata, non diversa da quella che ricordavo per la circostanza del trigesimo della scomparsa dell'amata sorella, quando entrando con mia moglie e i miei figli, trovammo lui sulla destra, quasi in disparte, praticamente solo a ricordare Irene. Negli ultimi anni assomigliava ogni giorno di più a suo padre, dal quale oltre alla caratteristica fisica delle palpebre, che riducevano gli occhi a una fessura, aveva ereditato la modestia del non dire di sè e di non dire quanti marinai vastesi, terminato il secolare reclutamento per la pesca dei merluzzi nei mari del nord, avevano bussato alla porta di via Santa Maria.  Il pane e il modo di dare istruzione a figli e figlie, arrivavano grazie agli uffici del fratello Mino. Il vecchio Ulterico, quasi minuscolo, accanto a donna Matilde, tra le altre cose era stato responsabile della difesa del porto di Genova e la città gli doveva più di qualcosa per non essere stata oggetto di una feroce distruzione quando, tra i bagliori dell'ultima guerra, quel mite uomo era riuscito tra indicibili rischi, ad attraversare le linee. Portando segretamente con se i documenti e gli impegni che consentirono la delicata trattativa tra le forze belligeranti, fu lui a consentire che la città fosse risparmiata dal progettato bombardamento degli ancoraggi. Un merito che ai tempi fu politicamente scippato dai consueti assi pigliatutto dell'ultima ora.  Puntigliosamente silenzioso di questi fatti e mai nulla pretendendo per sè, all'ingrata Genova non mancava però di chiedere lavoro e imbarchi per i suoi compaesani, quei compaesani i cui figli, oggi, professionisti anche affermati, non si sono neppure  accorti  che a Vasto stesse morendo l'ultimo signore.

Schivo anche della cresta baronale o della consanguineita' col generale dei Domenicani che, dalla patria frentana non divenne papa Bartoletti per un sol voto, mi piace pensare che da ieri don Carlo, o monsù Carletu, con in mano il balloon del nebbiolo ........ se la rida delle miserie di quegli inginocchiatoi vuoti, .....  del resto non ci si poteva neppure aspettare una gran folla, visto che il protagonista della cerimonia era verosimilmente l'ultimo della sua specie.


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