domenica 27 gennaio 2013

Un "poco" di Cultura.


L'amico Felice Monteferrante da tempo mi chiede come mai a Vasto non si parla mai di Raffaele Mattioli. Nel "momento" in cui sale alla ribalta il "problema" Monte Paschi di Siena e in una giornata fredda che non invita ad uscire, invito a leggere quanto Felice mi ha scritto su Mattioli.

Dalla legge amato del 1990 cioè con  la privatizzazione del sistema bancario, il cui residuo pubblico è rimasto nelle fondazioni bancarie, sono avvenute molte fusioni ed acquisizioni . basti ricordare la nascita di intesa san paolo dalla fusione di Banca Intesa e Sanpaolo IMI quella di capitalia con UniCredit, la fallita scalata di unipol a b.n.l. ( fusasi in seguito con bnp paribas),la recente acquisizione di fonsai da parte della stessa unipol e le tante fusioni tra banche di credito cooperativo.
Si diceva , giustamente, che le nostre banche erano troppo piccole per reggere la concorrenza dei colossi  europei e per fare acquisizioni all’estero ed infatti ora soprattutto UniCredit ed intesa san paolo sono presenti in molti paesi europei.
È vero che dal fallimento di lehman brother’s che ha dato inizio alla crisi , prima finanziaria e poi economica, nel nostro paese non ci sono state bolle ne finanziarie ne immobiliari, come è accaduto in Irlanda o in Spagna, ne lo stato è dovuto intervenire fino alla nazionalizzazione ( fatta eccezione del maxi prestito di 3.9 mil. di euro a M.P.S.) di alcuni gruppi finanziari o assicurativi, come è avvenuto alla britannica northern rock alla tedesca commerz bank e più recentemente alla spagnola
Bankia o al gruppo assicurativo franco-belga  Dexia.
Ciò vuol dire che il nostro sistema bancario sa valutare bene a chi concedere credito?
La risposta solo in parte è affermativa, perché se è vero che le nuove regole di Basilea (1,2,3,) costringono a continue ricapitalizzazioni e se l’ E.B.A.( autority bancaria) è stata  molto severa con le nostre banche che detenevano titoli di stato, è pur sempre vero che anche in un sistema interbancario bloccato e con lo spread alto, la B.C.E. ha iniettato liquidità per 1000 miliardi di euro un terzo dei quali sono arrivate alle nostre banche.
Questa liquidità però è servita per ricapitalizzazioni ed acquisto di titoli di stato, forse un bene per il sistema paese ma meno per imprese e famiglie.
Infatti è proprio questa mancanza di concessione di credito uno dei problemi che costringono, anche le nostre imprese più solide che impiegano parte dei loro utili  in innovazione e ricerca e che hanno il loro core business  anche nei mercati mondiali, a rinunciare a fare nuovi investimenti.
Forse “ci vorrebbero più banchieri e meno bancari” intendendo che, il rapporto di prossimità di direttori di filiali con i propri clienti sa fare  valutare meglio le idee e non solo il patrimonio che si deve dare in garanzia. Ma purtroppo ciò è prerogativa di qualche Cassa rurale o di qualche Credito cooperativo.
Al netto della crisi mondiale, forse è giunto il momento che la politica faccia una seria riflessione su quelli che prima si diceva essere i poteri forti, oggi sempre meno forti visto che la globalizzazione e l’assetto dell’U.E. ha rosicchiato buona parte della sovranità dei singoli governi.
Però se guardiamo, senza entrare nei particolari e nei nomi dei protagonisti, le vicende che hanno riguardato Mediobanca e generali e le conseguenze che ciò può portare all’informazione (R.C.S. e non solo) capiamo che i protagonisti, sia persone che istituti bancari, sono sempre gli stessi.
hanno ratificato il primato della banca d'affari di Piazzetta Cuccia nell'advisoring. Con 77 operazioni e 32.2 miliardi di dollari movimentati. La banca milanese oltre a svettare al primo posto è anche l'unico advisor italiano tra i primi dieci posti ed ha praticamente  stradominato nell’energia e nell’industria  La mossa dell'Eni in Belgio, con l'acquisizione da oltre 3 miliardi di Distrigaz, quella da 16 miliardi fatta da Terna sulla rete ad alto voltaggio di Enel e la maxi-fusione da 1,4 miliardi di Iride-Enia, godevano della consulenza della banca guidata da Alberto Nagel .Così come nelle Tlc la banca ha seguito Telecom Italia nella vendita di Alice France, le attività di banda larga, al gruppo transalpino Iliad. La singola più grande operazione in cui Mediobanca è stata coinvolta è stata l'offensiva da 5 miliardi di Finmeccanica negli Stati Uniti sull'azienda di Difesa Drs.
Il motivo di maggiore soddisfazione per la banca, in un anno terribile per tutte le banche d'affari, è il buon posizionamento all'estero: Mediobanca è il quarto advisor in Spagna e unica banca d'affari italiana tra le prime 25 censite da Thomson nel Paese. L'istituto è alle spalle di Ubs, Citi e Goldman, ma davanti a leader mondiali come Morgan Stanley, Hsbc o JpMorgan, grazie anche ai big deal, da 8 miliardi, della cordata Citi-Abertis-Atlantia che ha acquisito la concessionaria autostradale Itinere. In Germania la banca d'affari presieduta da Cesare Geronzi si è posizionata ottava, distanziando di tredici posizioni UniCredit (che nel Paese gode dell'apporto della controllata Hvb) e di sedici Banca Leonardo. Sedicesima posizione, infine, per Mediobanca in Francia, ma anche in questo caso la banca può vantare di essere l'unico advisor italiano piazzatosi in classifica nel Paese.
Oggi l’era Geronzi è finita ma Mediobanca controllando Generali resta ancora la cassaforte d’Italia e sarà ancora decisiva nella fusione Unipol Fonsai e nella utopica realizzazione di fondere UniCredit ed Intesa San Paolo.
A questo punto conviene fare un escursus storico su Mediobanca. Fondata nel 1946  e soprattutto su uno dei suoi protagonisti, il nostro concittadino Raffaele Mattioli, terzo figlio di una famiglia della piccola borghesia. Dopo aver frequentato l’Istituto tecnico commerciale “Ferdinando Galiani” a Chieti, nell’autunno 1912 si iscrive all’Istituto superiore di studi commerciali di Genova. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, si arruola come volontario in fanteria. Dopo la fine del conflitto presta servizio nell’ufficio politico-militare del corpo d’occupazione interalleato di Fiume e in seguito si aggrega come osservatore alle legioni di Gabriele D’Annunzio, per il quale svolge mansioni di addetto all’ufficio stampa. Lasciato definitivamente l’esercito nel gennaio del 1920, ritorna agli studi universitari, laureandosi nel dicembre dello stesso anno con una tesi di Economia monetaria. Dal 1921 al 1925 lavora in qualità di assistente presso l’istituto di Economia politica dell’Università “Bocconi” di Milano. Parallelamente ricopre la posizione di segretario generale della Camera di commercio di Milano, dove cura in particolare il potenziamento dell’ufficio studi: uno dei primi frutti di questo impegno è l’inizio della pubblicazione regolare di statistiche sul commercio e sull’andamento dei prezzi. L’attività svolta alla Camera di commercio richiama l’attenzione dell’Amministratore delegato della Banca commerciale italiana, Giuseppe Toeplitz che lo assume come proprio segretario di Gabinetto nel novembre del 1925.
 Accanto a Toepliz, alla Banca commerciale Mattioli collabora alla stesura delle relazioni annuali della Banca commerciale fin dall’esercizio 1925, contribuendo a mettere in luce i principali problemi strutturali del sistema bancario italiano: l’alto grado di concentrazione oligopolistica del settore creditizio, la scarsità di capitali di rischio e il peso preponderante del modello della banca mista, la cui funzione propulsiva del processo di sviluppo industriale risulta ancora insufficiente. A partire dal 1926 la Banca commerciale inizia a soffrire di una preoccupante situazione di immobilizzo dei crediti vantati nei confronti di imprese industriali, mentre la crisi borsistica rende impossibile il ricorso al mercato finanziario interno. Toeplitz decide pertanto di ricorrere ai mercati esteri, trattando la concessione di prestiti con organismi finanziari inglesi, olandesi e, soprattutto, americani. Il passo successivo è un viaggio di Toeplitz negli Stati Uniti nel maggio 1928 – accompagnato da Mattioli, che viene promosso Direttore addetto nell’ottobre dello stesso anno – per rinsaldare i rapporti della banca con il mondo finanziario americano e tentare il collocamento di azioni della Banca commerciale sul mercato statunitense. In seguito alle perturbazioni internazionali dovute alla “grande crisi” e alla svalutazione della sterlina, la Banca commerciale si trova costretta a chiedere l’intervento dello Stato, per porre rimedio a una gravissima crisi di liquidità.
La riforma sotto l’Iri Mattioli, promosso nel frattempo Direttore centrale, redige su incarico di Toeplitz nel settembre del 1931 un memoriale per Mussolini – intitolato Per la regolamentazione dell’economia italiana – nel quale propone di affidare i pacchetti azionari industriali posseduti dalle banche miste e il coordinamento della politica industriale a un ente di natura tecnica, che vedrà poi effettivamente la luce con la costituzione dell’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), creato nel gennaio 1933 e presieduto da Alberto Beneduce . Il 31 ottobre del 1931 viene infine stipulata la convenzione per il salvataggio della Banca commerciale, con lo scorporo delle partecipazioni industriali tramite la società finanziaria di smobilizzo Sofindit.
Nel marzo 1934 la proprietà della Banca commerciale passa dal Consorzio mobiliare finanziario (controllato dalla banca stessa) all’Iri, e le azioni della banca in mano ai privati si riducono a una frazione trascurabile. Toeplitz è costretto a lasciare la guida della banca e, nell’assemblea del 25 marzo 1933, gli subentrano in qualità di nuovi amministratori delegati Michelangelo Facconi e lo stesso Mattioli. Questi ultimi, al fine di tutelare l’autonomia della Commerciale da possibili ingerenze del nuovo azionista pubblico, s’impegnano a realizzare in tempi brevi un sostanziale riequilibrio del bilancio e una rapida riforma dell’organizzazione interna. L’obiettivo è quello di aggiornare l’originario modello tedesco adottando – laddove possibile – le nuove soluzioni organizzative sviluppate dalle banche statunitensi nei primi decenni del Novecento: semplificazione dei servizi funzionali della Direzione centrale e abolizione delle gerarchie intermedie di funzionari; maggiore collegialità delle decisioni; avvio di nuove routines per migliorare i dati di controllo direzionale, l’erogazione dei crediti e l’attività di sviluppo commerciale; meccanizzazione della contabilità e conseguente riduzione del personale; selezione e cura delle risorse umane, vero fattore critico nella competizione tra le banche.  
«Il nazionalismo fu la sua prima “eresia”, al cospetto dell’establishment. Per esso il banchiere non deve avere una patria, la sua patria è il mondo. “Per Mattioli, invece, la Patria (con la maiuscola) è l’Italia (…), è stato a Fiume con D’Annunzio”.   
«Come crociano, Mattioli era liberale, ma seguiva in campo economico la scuola keynesiana, essendo favorevole all’intervento dello Stato nell’economia, una eresia per i liberisti puri alla von Hayek o alla Milton Friedman. Cuccia in ciò lo ritiene un liberale anomalo.
Nel febbraio del 1960 veniva eletto anche presidente del Consiglio d'amministrazione della Banca.
Vice presidente della Banca Francese e Italiana per l'America del Sud e della Banca della Svizzera Italiana, il M. fu capo di una missione economica a Washington dal novembre 1944 al marzo del 1945, e, nel marzo-aprile 1947, di una missione a Belgrado che concluse il primo trattato commerciale con la Iugoslavia.
ha favorito varie iniziative nel campo degli studî umanistici
rivista  La Cultura
creazione dell'Istituto italiano di studî storici in Napoli, succedendo poi a B. Croce
collezione storico-letteraria La letteratura italiana
La Fiera Letteraria
rilevo la casa editrice Ricciardi
Stringe rapporti di sodale amicizia con letterati e intellettuali quali Benedetto Croce, Carlo Emilio Gadda, Giacomo Manzù ed Eugenio Montale.
Paga lui le spese di ricovero di Antonio Gramsci e, dopo la morte dell’intellettuale sardo nel 1937, si adopererà per salvare i suoi Quaderni del carcere, facendoli consegnare a Togliatti.

Della cultura ebbe una concezione alta, prediligeva quella accademica. Ma sapeva riconoscere nei giovani il talento, l’originalità, l’impegno. Manteneva rapporti con Piero Sraffa, Benedetto Croce, Riccardo Bacchelli, Eugenio Montale, Gadda, Mario Praz, Arrigo Cajumi, Luigi Einaudi, Palmiro Togliatti, Franco Rodano, ma aiutava negli studi a Londra giovani come Eugenio Scalfari e Marcello De Cecco.
Giovanni Malagodi al grande economista inglese, Lord John Maynard Keynes, che Mattioli conobbe tramite Piero Sraffa, e all’industriale e politico tedesco Walter Rathenau, intellettuale raffinatissimo, propugnatore di un’Economia Nuova, ministro della Ricostruzione e degli Esteri nella Repubblica di Weimar, da cui Robert Musil trasse ispirazione per un personaggio del suo romanzo “L’uomo senza qualità”».

«Sulla funzione della banca Mattioli aveva idee precise. In una famosa lezione illustrò alla sua maniera iperletteraria e immaginifica che la «banca è come la cantina di Auerbach dove si può scegliere tra sciampagna, Tokai, Borgogna, Reno» e dove le imprese andavano assistite nelle loro necessità di credito. Le banche, secondo Mattioli, dovevano concedere fidi su valutazioni razionali, evitando il «credito agevolato» («Chi reclama un taglio negli interessi da pagare, si conferma ipso facto fuori del mercato»). La Comit da lui guidata per un quarantennio ha sempre sostenuto le imprese capaci di realizzare il profitto («una funzione socialmente necessaria») in un regime di concorrenzialità.
Era scettico verso la politica degli incentivi per il Mezzogiorno,
Non aveva molta stima per gli imprenditori «baroni delle rendite» senescenti minorenni, cui far indossare la toga virile»
È passato alla leggenda lo scambio di opinioni tra Mattioli e Palmiro Togliatti, il segretario del PCI, che chiese al banchiere: «Ma a che serve oggi una collana di classici?». E Mattioli: «Io ho costruito un muro. Finché voi non avrete digerito i libri di questo muro, non potrete fare neppure un saltino così». Il catalogo della collana, che ha superato i novanta volumi, registra il Gotha della cultura letteraria e filologica: Gianfranco Contini, Eugenio Garin, Mario Fubini, Giovanni Getto, Raffaele Spongano, Antonio Viscardi, Francesco Flora, Giovanni Aquilecchia, Romano Amerio, Attilio Momigliano, Carlo Muscetta, Norberto Bobbio, Ezio Raimondi, Mario Bonfantini, Ettore Bonora, Giovanni Pozzi, Cesare Segre, Franca Ageno, D’Arco Silvio Avalle, Carlo Salinari, Emilio Cecchi, Goffredo Bellonci, don Giuseppe De Luca. A quest’ultimo, grande storico della pietà, Mattioli affidò intorno al ’52 la cura di un volume dedicato agli scrittori di religione del Trecento, che uscì nel ’54 e che Carlo Dionisotti definì una «lezione» per «tutti noi strudiosi di letteratura italiana e non per noi soltanto». Mattioli – ha scritto Alberto Vigevani, scrittore finissimo ed editore de Il Polifilo – «sceglieva i testi con i curatori, li consigliava nel loro lavoro, se era il caso li correggeva, leggeva manoscritti e bozze di stampa, scriveva, telefonava, in continuo contatto con i collaboratori e la tipografia». Aveva una capacità di lavoro mostruosa – in questo simile a Benedetto Croce e a Gabriele d’Annunzio, che sono stati tra l’altro tre grandi editori italiani del ’900 – e aveva in uggia le ferie (soltanto una settimana nella sua casa toscana di Nozzole, dove sostavano anche Croce e Carlo Emilio Gadda), di cui diceva: «Solo la gente che non sa vivere discrimina fra lavoro e hobby. Nessuna ora e tutte le ore sono subsecivae: l’ozio e il lavoro, a un certo livello, sono la stessa cosa. La torta è la torta, e l’uomo è l’uomo, non si può dividere». Francesco Cingano, che diverrà amministratore delegato della Comit, ha raccontato in un’intervista i discorsi contorti a cui dovevavo ricorrere i collaboratori diretti di Mattioli per annunciargli le ferie. Un russo bianco poliglotta, fedelissimo di Mattioli, Valentino Bona, ex segretario di Cicerin, ministro degli Esteri dell’URSS fino al ’29, dovette fingersi sordo per andare in pensione dopo gli ottanta anni».

Di Sraffa, economista di fama universale, Mattioli divenne amico e lo rimase per una vita al tempo in cui si occupava della “Rivista bancaria”, per incarico di Attilio Cabiati, docente di economia alla Bocconi di Milano. Sraffa era figlio di Angelo, rettore della Bocconi, e Mattioli lo aiutò nella tesi di laurea. Da Sraffa ricevette i “Quaderni del carcere”, che salvò nel caveau della Comit. L’episodio fu reso noto soltanto dopo la morte di Raffaele Mattioli, che avvenne il 27 luglio 1973, un anno successivo alla sua defenestrazione per un colpo di mano partitocratico di «quattro mediocri democristiani» (Marcello De Cecco). Gli era subentrato Gaetano Stammati, che finirà iscritto alla Loggia massonica P2 di Piero Gelli. Mario Melloni, il geniale corsivista che si firmava Fortebraccio sull’«Unità», scrisse: «Entra nella Comit il grigio burocrate, l’opaco commis e ne escono la fantasia e l’intelligenza». Quando Mattioli morì, ha scritto Gianfranco Contini, «la sua fine parve storicamente tempestiva, sentimentalmente precoce».
Nel ’52, dopo la morte di Croce, Mattioli assunse la direzione dell’Istituto per gli Studi Storici di Napoli, salvando il grande patrimonio crociano.
Diverso il rapporto che ebbe con d’Annunzio. Lo seguì a Fiume, entusiasta e un po’ catturato dall’eloquenza del Vate, con l’incarico delicato di tenere i contatti tra il Comandante e Mussolini. Ma si stancò presto del clima ribellistico e parolaio dell’avventura fiumana e abbandonò il Poeta che lo lapidò con parole roventi: «Odio i ragionatori che hanno il cervello incallito come il ginocchio del dromedario nel deserto». Ma il Vate, tramite l’editore Treves, bussò spesso alla Comit per prestiti che non gli furono negati».
Carlo Emilio Gadda, dal canto suo, gli dedicò le “Novelle del Ducato”…
Ma, a distanza di anni dalla sua scomparsa, le questioni da lui poste, come la formazione di una classe dirigente, sono ancora in piedi, in un panorama profondamente cambiato.
In quegli anni l'ufficio studi della Comit diventa una sorta di università "segreta" della classe dirigente laica e antifascista, dove saranno accolti, tra gli altri, Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, Guido Carli ed Enrico Cuccia, con cui costruì il progetto dell'IRI e di Mediobanca.
Fu il primo banchiere italiano a sostenere Enrico Mattei, finanziando contro ogni logica imprenditoriale la sopravvivenza dell'AGIP nei primi periodi di amministrazione Mattei.
Nel 1972 rifiutò la carica di Presidente onorario della Comit, passata, secondo
le logiche della lottizzazione politica, al democristiano Gaetano Stammati, membro della loggia massonica P2 di Licio Gelli.
Discepolo e amico di Benedetto Croce, nel 1942 partecipa alla stesura del manifesto del Partito d'Azione, ma, allo stesso tempo, lavora al salvataggio di casa Savoia
. cui restauro aveva contribuito in modo munifico, si ritiene in ricordo di Guglielma la Boema, oggetto nel Medio Evo di un culto disapprovato dalla Chiesa cattolica.
La casa natia di Mattioli è stata donata dai figli alla cittadinanza di Vasto con destinazione culturale, insieme a un fondo librario di oltre 3800 volumi, tra cui alcuni autografi.
I libri di maggior valore sono invece stati conferiti alla Fondazione Raffaele Mattioli per la storia del pensiero economico, la cui biblioteca aveva sede a Milano nei locali della Banca Commerciale Italiana e comprende anche l'archivio Verri.
La fondazione, gestita dagli eredi di Mattioli e presieduta (al 2011) da Enrico Decleva, ha arricchito la raccolta libraria vendendo alcuni libri di filosofia e acquisendone altri di storia del pensiero economico; la raccolta risultante, di circa 4000 volumi fra cui alcuni appartenuti ad Adam Smith, è stata donata nel 2011 all'Università degli Studi di Milano, nei cui locali era precedentemente ospitata, andando a costituire la Biblioteca Raffaele Mattioli per la storia del pensiero economico.

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