domenica 21 aprile 2013

Cinema muto italiano: Gabriele D'Annunzio e «Cabiria».



Di Felice Monteferrante

Una testimonianza inedita.

Il 28 febbraio del 1914, Gabriele D'Annunzio, intervistato dal «Corriere della Sera», prese a discorrere di cinematografo. "Or è parecchi anni - dichiarò - a Milano, fui attratto dalla nuova invenzione che mi pareva potesse promuovere una nuova estetica del movimento. Passai più ore in una fabbrica di film per studiare la tecnica e specie per rendermi conto del partito che avrei potuto trarre da quegli accorgimenti che la gente del mestiere chiama "trucchi". Pensavo che dal cinematografo potesse nascere un'arte piacevole il cui elemento essenziale fosse il «meraviglioso» ". Il poeta colse, anzi, l'occasione, per annunziare che una casa torinese, diretta da "un uomo colto ed energico", Giovanni Pastrone, aveva ricavato un film da un suo soggetto inedito. "Si tratta - aggiunse - d'un disegno di romanzo storico, delineato parecchi anni fa e ritrovato fra le mie innumerevoli carte"1.

Cabiria, a cui egli alludeva, sarebbe stato proiettato, in tutta Italia, il successivo 18 aprile. Il quotidiano milanese, nel darne - cosa, fino ad allora, mai successa ad un film - la cronaca della "prima", usò un tono divertito, in cui erano presenti ironia e scetticismo. "Tentato dal nuovo gioco -scrisse - il Poeta si mette perfino a congegnare uno scenario per cinematografo aizzato da un'offerta che potrebbe sembrare pazzesca, ed ecco che subito la ditta cinematografica spende un capitale per mettere in scena la «visione storica» - si parla di un milione, di mezzo milione, a scelta – e tappezza tutte le vie delle grandi città di manifesti colossali e diffonde opuscoli stampati con un lusso sbalorditivo. Poi si prendono in affitto grandi teatri, si completa la cinematografia con orchestre numerose, con coristi; ci si mettono dentro anche delle sinfonie originali. E si fanno perfino le prove generali. Le immaginate le prove generali di una pellicola di cinematografo? Ebbene: si sono fatte venerdì. E alla prima rappresentazione - ma non sentite che anche noi siamo
presi dall'ingranaggio e chiamiamo prima rappresentazione una proiezionedi film? - alla prima si mettono dei prezzi da grande teatro e il pubblico accorre, dandole veramente l'importanza di una prima teatrale; e che fervore di commenti e di discussioni. A una proiezione di cinematografo! Ah, quel d'Annunzio! E i giornali ne parlano: si tratta di lui"2. In realtà, l'anonimo estensore della nota, la quale occupava circa tre 159 quarti di una colonna del giornale, sembrava intuire che Cabiria , "visione storica del III secolo a. C", con le sue tre ore di durata, le scene spettacolari, gli accorgimenti tecnici e la capacità di riunire personalità eccellenti in arti diverse3, rappresentava una svolta nella produzione cinematografica, ma non riusciva a coglierne, fino in fondo, il significato. Lo spettacolo gli appariva un evento pittoresco, senza dignità creativa, al punto da fargli scartare l'ipotesi, pur balenatagli, che, in un futuro, più o meno vicino, potesse nascere "un nuovo genere di critico: il critico delle pellicole"4.

La proiezione aveva visto, comunque, un grande concorso di pubblico, attirato, anche, dal nome del poeta, che aveva contribuito non poco a farla conoscere. Lo stesso D'Annunzio ne rimase impressionato, tanto da teorizzare una nuova arte "di trasfigurazione", che affiancasse il teatro e lo liberasse dalla "ignobile decadenza", in cui era, a suo dire, caduto, fino a permettergli di rigenerarsi5. Tom Antongini, segretario ed amico, sostenne, molti anni più tardi, che egli, in realtà, non aveva scritto il soggetto del film, ma si era limitato a rivestire di forma letteraria i personaggi inventati da Pastrone ed a collegare alcune scene, già girate. "Naturalmente - sostenne - come quei padri che sanno che uno dei loro figli non è opera loro, ma di un amico premuroso che veniva spesso a pranzo e che accompagnava qualche volta la moglie al «dancing», e non riescono malgrado ogni lodevole sforzo a trattare quel figlio come gli altri benché il poverino non abbia alcuna colpa. d'Annunzio non amò mai «Cabiria» ed evitò sempre di vederla"6. Noi oggi sappiamo, attraverso la corrispondenza scambiata tra il produttore - regista ed il poeta, che le cose non stavano così e che la fantasia dell'"immaginifico", sollecitata da un sostanzioso corrispettivo, contribuì in maniera essenziale a determinare la storia ed i personaggi. Il film, inoltre, venne girato solo dopo che la sceneggiatura era stata definita in maniera scrupolosa ed erano stati ultimati i preparativi più minuziosi. Nessun particolare venne lasciato al caso: tanto meno, furono abborracciate, tra di esse, sequenze casuali, con altre, girate apposta per fungere da raccordo7. L'unica verità, che sembra possibile condividere, dello scritto di Antongini, é il sostanziale discredito che D'Annunzio nutrì verso il cinema, da lui considerato, ancora, "en enfance" ed incapace, quindi, di restituire, agli spettatori, le emozioni complesse di forme d'arte raffinate. Va precisato che tale giudizio era comune - salvo casi rari8 - ai letterati italiani dell'epoca. Basti pensare al Pirandello dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, il quale, proprio nel 1915, scriveva che il cinema, in quanto "meccanismo", non poteva essere, nel contempo, "vita" ed "arte'"*.


Note
1 «Corriere della Sera», 28 febbraio 1914.
2 La " Cabiria " di D'Annunzio al cinematografo, ivi, 19 aprile 1914.
'La musica di commento del film era stata commissionata, dopo lunghe trattative, ad
Ildebrando Pizzetti, il quale, però, compose solamente la "Sinfonia del Fuoco". 4 La
"Cabiria " di D'Annunzio al cinematografo, cit. 'Gabriele D'Annunzio, Del cinematografo
considerato come strumento di liberazione e come arte di trasfigurazione, in Giovanni Pastrone, Gli anni d'oro del cinema a
Torino, a cura di Paolo Chierchi Usai, Torino, 1986, pp. 115 - 22.
"Tom Antongini, Vita segreta di Gabriele D'Annunzio , Verona, 1957, p. 183.
7 Giovanni Pastrone, op. cit. , p. 64.

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