martedì 16 aprile 2013

Rami secchi di primavera. Se la piazza è “del popolo” e non delle Istituzioni

Di Giuseppe F. Pollutri

... il falso e vero verde

dell’aprile, quel ghigno scatenato

del certo fiorire. E tu non fiorisci

non metti giorni né sogni ...

     
I romani, nel loro eloquio, l’avrebbero detta una eraclitea “coincidentia oppositorum”. Non serve traduzione, si capisce. Come dire: ...dissecati rami ci si mostrano, in primavera.

Mi capita nel giorno prima di vedere un ‘ritratto’ bello, trattegiato e colorito ad arte, di Piazza del Popolo, a Vasto, poi di attraversala di lungo, per portare uno sguardo da via Adriatica al nostro golfo incantato... Poi ancora, ieri, di incocciare sul web una foto impattante e livida di tale posto.
L’immagine artistica è di un luogo urbano ma ambientalmente ameno, con un verde diffuso che orna in basso le mura del Palazzo. Una vegetazione figurata, quasi lussureggiante, che tale non so se mai sia stata. Le riprese, invece, del mio cellulare ritraggono nello stesso lato, di quelle che furono ombreggianti “albizie julibrissin – o false acacie”, ormai scheletriti tronchi e rami, neri e secchi. Appaiono come corrosi dall’aria, ancora luminosa seppur serale, e dal grigio e ocra di sfondo dell’antica dimora dei D’Avalos (mai del tutto, dopo decenni,  restaurata).
Potremmo dirle “installazioni”  vegetal tipo, un’esperienza  visiva nippo-zen. Volendo, delle suggestive e altre ready-made alla Duchamp, se non fosse che l’Idea del verde urbano proclamato da un recente editto repubblicano prescriva che le Autorità del luogo diano ogni possibile (!) cura e incremento delle essenze vegetali pubbliche. Ma, di fronte all’immagine pubblicata e come sparata da NoiVastesi, sullo sconnesso secialto della stessa piazza, che fu e resta “del popolo” - ma che evidentemente assai poco o niente è frequentato dagli uomini delle istituzioni (quelli del “sine-cura” o del “chissené...”) – devo concludere e convenire che forse i “fessi” (i suonati), come mi scrive per e-mail un amico, siamo noi che ancora ...facciamo caso a certe cose.
Si vede e si capisce che, così riguardando e sulle cose rammaricandosi, altri sono gli Eletti e che altri sono i pensieri guida di costoro. Del tipo canzonettistico: “...socialisti sì, socialisti no..., in Comune (o in-comune) se famo du’ spaghi”. Insomma, gente del Palazzo, loro, noi (vastesi e non) gente di strada o del popolo di piazza.

... resta il pudore di scrivere versi
di diario o di gettare un urlo ai vuoti

o nel cuore incredibile che lotta

ancora con il suo tempo scosceso.
          (Salvatore Quasimodo - 1956)


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