giovedì 5 novembre 2009

Pensavo di paragonarmi ad un gabbiano che volteggiava “libero” sul mare ....

Spero di non essere un gabbiano che rovista tra i rifiuti nelle discariche.


Dal Corriere della sera di oggi


LA DEMOCRAZIA NELL’ITALIA DEI VALORI

Il «partito personale» di Di Pietro
alle prese con la questione morale
L'ex pm, la leadership, De Magistris e la lotta politica interna che si consuma in forme opache

Antonio Di Pietro e Luigi De Magistris
Può darsi che Antonio Di Pietro dica la verità, quando sostiene che lui e Luigi De Magistris sono come «due fratelli siamesi». E può darsi pure che sia sincero De Magistris, quando giura di essere «in perfetta sintonia con Di Pietro».
Può darsi. Ma, a guardare le polemiche che (non da oggi) scuotono l’Italia dei Valori, si riaffaccia subito alla memoria la massima antica di Pietro Nenni. Secondo la quale un puro trova sempre uno più puro di lui che lo epura. Di qua l’eroe di Mani Pulite, prima pubblico ministero «più amato dagli italiani», poi capo indiscusso e indiscutibile (almeno fino a ieri) dell’Idv, attesa, a febbraio, da un congresso che (almeno fino a ieri) sembrava fatto apposta per tributargli, sull’onda dei clamorosi risultati elettorali, l’ennesima acclamazione. Di là l’ex magistrato che, nella bufera, lascia anche lui la toga, si getta a corpo morto in politica, scavalca abbondantemente Di Pietro (19 mila voti in più) nelle elezioni europee, e (lui dice a sua insaputa) viene proposto come candidato alla guida dell’Idv medesima da un’ampia mobilitazione sul web, e non solo sul web. In mezzo un partito (chiamiamolo così) al quale evidentemente non bastano i successi per sbarazzarsi di un malessere che anzi, giorno dopo giorno, sembra farsi serio.
Soprattutto perché ha qualcosa, o forse parecchio, da spartire, specialmente in periferia, con quella «questione morale» che Di Pietro, prima da magistrato, poi da politico, ha sempre impugnato come una bandiera, o forse come una clava. Colpisce leggere sull’ultimo numero di Micromega, la rivista di un intellettuale un tempo più che amico come Paolo Flores d’Arcais, che nell’Idv non mancano casi di «illegalità diffusa», così diffusa da rendere urgente una «rifondazione», e vederli puntigliosamente elencati. E colpisce ancora di più apprendere (lo ha ricordato ieri sul Corriere Gianna Fregonara) che a Napoli l’altro giorno Di Pietro è stato accolto con striscioni su cui campeggiava la scritta: «Fuori i collusi».
Qualcuno potrebbe anche parlare, con un po’ di malizia, di una sorta di legge del contrappasso: e non avrebbe davvero tutti i torti. Il fatto è, però, che, anche nel caso dell’Idv, a ragionare solo per ritorsioni polemiche non si va troppo lontano. Sia perché Di Pietro, letto Micromega, ha aperto un’inchiesta interna (e informale) sui mali del Gabbiano sul territorio e, per quanto tardiva possa essere l’iniziativa, non c’è motivo di dubitare che non vorrà tener conto almeno dei casi più gravi. Sia, soprattutto, perché questa vicenda sin qui appena abbozzata rinvia a problemi d’ordine più generale, e forse è proprio su questi conviene puntare l’attenzione.
Sui partiti personali, fondati sul rapporto diretto tra il leader, la sua gente e gli elettori, e quindi sull’«io» assai più che sul vecchio e desueto «noi», si è scritto e si scrive moltissimo, quasi sempre a proposito di Silvio Berlusconi e del Pdl, ma talvolta anche del Pd, specie all’inizio della breve stagione di Walter Veltroni: ora per vantarne assieme la modernità e l’inevitabilità, ora per contestarne in radice il carattere strutturalmente non democratico. Ma se c’è, o se c’è stato, un partito personale per eccellenza, questo, non c’è dubbio, è l’Italia dei Valori, non a caso presentata al suo sorgere da Di Pietro come una specie di incarnazione vivente della «fine della partitocrazia». E ai capi (o ai proprietari, fa lo stesso) dei partiti personali è del tutto inutile chiedere conto di quanto succede in casa loro, e del personale politico che li segue e li contorna: risponderanno sempre, magari in buona fede, che certo, di cose che non vanno ce ne sono sicuramente, ma che in ultima analisi la politica, quella vera, quella importante, la fanno loro, e per il resto l’intendance suivra. Invece, non è così, e non solo perché, nelle salmerie, spesso si esagera fino a superare abbondantemente ogni possibile livello di guardia. Il fatto è che nei partiti personali la leadership, per definizione, non è contendibile, o quanto meno non è contendibile democraticamente, secondo regole chiare e condivise. Ciò non significa, naturalmente, che non possa essere contesa, e che, quando se ne dà l’occasione, non lo sia. Significa che la lotta politica interna (di per sé inevitabile, e anche fisiologica) si consuma in forme opache, spesso torbide e tendenzialmente autodistruttive, anche, e forse soprattutto, quando, per condurla, ci si fa forti di piazze, reali e virtuali, che, nel caso dell’Idv, si è provveduto a infiammare, per anni e anni, in nome dell’antipolitica.
Naturalmente, è tutto da stabilire che questo, per l’Italia dei valori, sia un destino segnato. Forse Di Pietro stupirà tutti facendo un congresso vero, chiamato a gettare le basi di un partito vero. Forse ha ragione la sua fedelissima tesoriera Silvana Mura quando dice, sempre a Gianna Fregonara, che De Magistris è giovane, ha il futuro dalla sua anche per motivi anagrafici, ma deve capire, e da buon pilota capirà, che per guadagnarlo deve stare attento a non rompere la macchina. In fondo quelli che ci narrano le cronache sono soltanto dei sintomi. Ma sintomi gravi. Sintomi di una malattia che non affligge solo l’Idv.

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