domenica 25 marzo 2012

Questa settimana mi sono perso questo ( terza puntata).



COMUNICATO STAMPA

In attesa che si svolga a Vasto l’incontro sul Lavoro con la presenza del sottosegretario Martone del governo Monti, una sessione richiesta dal consigliere comunale Davide D’Alessandro, mi sembra opportuno un intervento sulla questione affrontata dal governo : la riforma del mercato del lavoro e la controversia sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

La sintesi delle convulsioni a cui assistiamo in questi giorni tra governo Monti Fornero e Sindacati, specie tra il sindacato CGIL con quello dei metalmeccanici FIOM mi sembra questo: restituire le mani libere all’impresa in nome della libertà dei mercati e dei capitali.
Questa grande confusione sulla riforma del mercato del lavoro e l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ci spinge a fare un po’ di chiarezza e ristabilire alcuni principi inderogabili e non trattabili.
L’articolo 18 è il risultato di una stagione di lotte, (ALL’EPOCA ANNI 1966) che stabiliva il reintegro o il reingresso del lavoratore in azienda nel caso di ingiusto licenziamento. Anche in quegli anni in Parlamento le classi industriali e Confindustria si opposero a questo diritto, ma lo Statuto divenne la garanzia e la tutela del mondo del lavoro e dei diritti ad esso connessi. Invece questo tipo di riforma pensato dal Governo Monti garantisce la riconsegna al datore di lavoro del diritto di licenziare il lavoratore in modo personale e discrezionale, anche se il governo Monti - Fornero a parole garantisce che il datore di lavoro non potrà licenziare a sua discrezione.
Invece gli effetti saranno diversi se non si blocca immediatamente questa falsa riforma. Una riforma che, tornando indietro nel tempo, considera il lavoratore una merce che l’imprenditore può usare a suo piacimento pagando un prezzo per il suo licenziamento. Diritti acquisiti con lotte e sacrifici che sono stati alla base del rapporto lavoratori impresa dovranno essere smantellati. Pare un accanimento. Intanto non si produce nessun posto di lavoro in più.
Il governo parla di mercato del lavoro, nuovo, ma chi deve creare posti nuovi di occupazione? Esiste un piano industriale pubblico o è tutto lasciato al mercato favolistico che ci ha condotto alla crisi attuale con milioni di precari e di disoccupati; con la chiusura di settori industriali e il licenziamento di lavoratori come quelli della Golden Lady, la cassa integrazione, licenziamenti interinali, prepensionamenti e assenza di nuove assunzioni della Pilkington l’azienda più grande del vetro auto in Italia, e tutte quelle aziende che spostano le lavorazioni all’estero per i bassi salari.
Il governo Monti su questa questione prende l’esempio della Fiat di Melfi e di Pomigliano dove quest’azienda dopo avere licenziato discrezionalmente alcuni lavoratori, si è rifiutata di reintegrare al loro posto di lavoro gli operai iscritti alla Fiom dopo che questi hanno ottenuto dai giudici una sentenza favorevole al loro reintegro. Insomma la filosofia che sottende a questo governo è l’osservanza ai principi liberisti e finanziari europei rompendo una tregua sociale e aprendo stagioni di conflitti molto preoccupanti.
Siamo di fronte alla violazione consapevole della Costituzione nei vari articoli che parlano dei rapporti economici e che statuisce all’art. 41 la prescrizione che recita che l’iniziativa privata economica è libera ma deve rispettare il principio della utilità sociale, la libertà e la dignità del lavoratore.
Cosa che non ci sembra essere tenuta in considerazione da questo governo, il quale asserisce che con l’attuale crisi economica - (disoccupazione, recessione, impoverimento di vasti ceti sociali, certamente non causata dai lavoratori, ma dal debito pubblico e dalle scorribande della finanza internazionale) – i vecchi consolidati diritti del mondo del lavoro devono essere smantellati in nome dello sviluppo, della crescita e del profitto dell’impresa. Ma la domanda che poniamo è la seguente: l’articolo 18 disincentiva gli investimenti in Italia come dice la Fornero? Con la riduzione e la cancellazione delle garanzie si regolarizzano i milioni di precari e si creano nuovi posti di occupazione e si risolve d’incanto il problema delle future generazioni? Da un primo accento del nuovo presidente di Confindustria, Squinzi, ci pare di avere capito che costui invece la pensa diversamente da Monti- Fornero e che bisogna investire risorse sulla innovazione, formazione, studio e ricerca. Investimenti pubblici e privati. Cosa che però non abbiamo avvertito dalle mosse del governo attuale.
L’articolo 18 invece di toglierlo deve essere allargato a tutto il mondo del lavoro.
Cogliamo l’occasione per esprimere la piena solidarietà a tutti i giovani che sono alla ricerca del primo lavoro, ai disoccupati, ai precari, a tutti quelli che saranno licenziati nel comprensorio del vastese.

IVO MENNA AMBIENTALISTA STORICO


Ma dove vai, se la cultura non ce l’hai?

Un dato sul quale rifletto da più giorni è quello della nuova emigrazione abruzzese, soprattutto di quella intellettuale, che prende sempre di più corpo in termini numerici per via di una situa¬zione occupazionale che scoraggia a rimanere.
Il fenomeno, che stride ed appare in contraddizione con quello degli arrivi di migliaia di immigrati dall’est e dall’Africa, coinvolge diverse migliaia di giovani abruzzesi e dovrebbe porre in termini ultimativi il problema di un depauperamento del territorio che già influisce sulla situazione economica e sociale del¬la nostra regione. Quando nel 1965, se non vado er¬rato, venne creata l’Università “D’Annunzio” e quindi gli altri Atenei dell’Aquila e di Teramo ad opera di un consorzio di enti locali e di istituzioni bancarie, la po¬litica mostrò di avere a cuore il proposito di fermare il triste esodo umano che aveva caratterizzato la storia regionale sin dai primi anni dell’unità e soprattutto quello di preparare culturalmente e tecnicamente i giovani al modello di sviluppo che stava creando e che sarebbe durato per cinquant’anni.
Oggi invece sembra aver perso ogni consapevolezza della necessità di un raccordo serio e profi¬cuo con la cultura, con l’Università, con il mondo dell’editoria e dell’informazione e più in gene¬rale con gli intellettuali, che rappresentano un enorme giacimento non sfruttato di possibilità di crescita, direi il più importante di cui l’Abruzzo dispone attualmente.
La Regione, in particolare, non va, come dovrebbe, in questa direzione, colpevolmente ignara delle ricchezze intellettuali di cui dispone sul suo territorio, della loro vitalità ed effervescenza, mostrando di non riuscire a comprendere il ruolo importante, anzi determinante, che la cultura nel suo insieme potrebbe esercitare in un momento così difficile, come quello che stiamo viven¬do. Non si spiegherebbe altrimenti perché non si salda strutturalmente alcun tipo di rapporto di collaborazione con le Università, perché non si avvale dei suoi uomini, dei suoi laboratori, dei suoi progetti; perché un progetto di rinascita dell’Aquila non possa essere affidato ad esse; per¬ché più in generale non si affidino ad esse la redazione degli studi più importanti di programma¬zione e di pianificazione in materia di urbanistica, di trasporti, di rifiuti, di economia, di energia, di organizzazione sociale e sanitaria; perché non si sia creato negli anni un percorso virtuoso con le altre istituzioni culturali e scientifiche.
Il sussiego, o peggio l’indifferenza, che la politica regionale mostra nei confronti di queste ul¬time è, a mio giudizio, un atteggiamento che va rimosso al più presto per il bene della Regione, dell’Abruzzo, delle giovani generazioni che qui hanno il sacrosanto diritto di vivere senza mi¬grare. Lo dissi a Chiodi nel momento in cui venne scelto come presidente e voglio ripeterglielo ancora.

Giuseppe Tagliente
consigliere regionale PDL

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