mercoledì 16 maggio 2012

mi va di riflettere ....


 Di Giovanni La Torre, da CRITICA LIBERALE.

Prima di tutto un po’ di serietà, anche per il modo in cui si dicono le cose

La batosta elettorale che ha colpito i partiti nelle ultime elezioni
ha determinato un certo disorientamento soprattutto in chi vive di
politica e di partito. Indubbiamente non è un bel risultato, anche per
chi, come chi vi scrive, non vive di politica e tanto meno di partito.
Avremmo preferito che dal voto emergesse un progetto politico più
aderente alla realtà delle cose, meno populista, meno demagogico, ma
tant’è e bisogna prenderne atto e lavorare di conseguenza, senza
abbandonarsi a invettive e sentenze contro chi non la pensa come noi,
invettive che hanno tutta l’aria di voler essere tentativi di
autoassoluzione. Eh sì, perché la responsabilità di quello che è
accaduto, e che potrebbe ancora accadere alle elezioni politiche, è
tutta e soltanto dei partiti stessi: “chi è causa del suo mal pianga
se stesso”, dice il vecchio adagio oppure, per dirla alla
Guzzanti-Marini, “chi è causa del suo mal pianga più spesso”. Il guaio
è però che non si tratta solo del “suo mal” ma del “nostro mal”. Non è
bastato il lavacro di tangentopoli a rendere meno onnivori i partiti e
la maggior parte di chi vive di politica. Ancora nel 2007 era uscito
il best seller “La Casta” che di fatto è stata l’ultima chiamata utile
per questa nostra classe politica. Ma non è servito a niente. E’ stato
solo un ulteriore argomento da mescolare nella melassa dei salotti
televisivi, senza mai pervenire a nulla di concreto. Ogni
rappresentante di partito prometteva di, non so, ridurre i
parlamentari (“io di 100”, “ah sì, allora io di 200” diceva un altro,
“e allora io li dimezzerò” diceva un altro ancora) ma poi non si
faceva assolutamente nulla. E così per le province, la corruzione, la
commistione con gli affari, eccetera, eccetera, eccetera. Anzi si
arrivava addirittura a volte a mettere sul banco degli imputati coloro
che queste cose le denunciavano con l’accusa di fomentare l’
“antipolitica”, o di essere “giustizialisti”. Questo è stato lo
spettacolo cui abbiamo assistito in questi anni. I politici hanno
creduto che il popolo bue con il tempo avrebbe dimenticato e lasciato
correre ancora una volta, e invece stavolta se l’è ricordato e, temo,
se lo ricorderà anche alle elezioni politiche. Il massimo di questa
indifferenza verso la pubblica opinione, penso l’abbiamo registrata
nelle scorse settimane quando sia Casini che Alfano hanno pensato che
tutto il problema consistesse nel cambiare il nome al loro partito,
fermo restando le persone, i contenuti e gli intrallazzi. Ma anche
Bersani ha mostrato scarso interesse ad affrontare veramente il
problema del finanziamento dei partiti, salvo che, ma solo a parole,
negli ultimi giorni. E sempre Bersani deve ancora spiegare,
considerato che i suoi elettori sono particolarmente sensibili a certe
cose, con quali criteri si era scelto quel Penati come capo della sua
segreteria, quali “valori” (per carità, ci riferiamo ovviamente a
quelli etici) abbia apportato al partito per meritare quella
promozione.
I nostri politici molto probabilmente pensavano che sarebbe passato
tutto e, quando si incontravano, chissà che non muovevano le labbra e,
dandosi di gomito,  dicevano “un po’ di pazienza e passerà tutto …,
come sempre”. Spiace constatare che a volte anche la più alta carica
dello Stato ha dato man forte a questi comportamenti distribuendo
bacchettate solo a quella che è stata chiamata antipolitica,
dimenticando che il gesto massimamente “antipartitico” fatto in questi
anni è stato quello di un Presidente della Repubblica che ha detto ai
dirigenti dei partiti “su ragazzi, andate a giocare in cortile che
papà Giorgio deve pensare a far governare il paese”. Bisogna innanzi
tutto recuperare un po’ di serietà, a tutti i livelli. Anche nelle
dichiarazioni bisogna essere sobri e giusti, per esempio:
-       basta col dire “se non facciamo questo e quest’altro, facciamo la
fine della Grecia”, un po’ di rispetto per quel popolo, altrimenti
giustifichiamo gli stranieri che quando vedono aumentare la corruzione
e la malavita nel loro paese dicono “stiamo facendo la fine
dell’Italia”;
-       quando si dice che gli italiani hanno avuto in passato “un benessere
al di sopra delle loro possibilità”, si è pregati di usare la prima
persona plurale e non la forma impersonale o addirittura la terza
persona plurale. Capito prof. Monti? Perché se i salari e le pensioni
italiane in passato sono state troppo elevate (bontà sua!) e gonfiati
dalla spesa pubblica a debito, lo sono state anche le parcelle sue e
dei suoi colleghi della Bocconi e di altri posti, o no?
Cercasi autentici liberali disperatamente.

....... continua

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