mercoledì 28 dicembre 2011

La citoletta

In questi giorni tanti tanti anni fa, non dovendo andare a scuola ci ritrovavamo intorno all’oratorio di san Giuseppe. Tra di noi più fortunati mostravano quanto Babbo Natale aveva loro portato. Altri aspettavano con ansia la Befana.
Quelli più grandicelli snobbavano gli uni e gli altri dicendo: “Babbo Natale e la Befana non esistono. Sono i genitori che portano i doni”. Lo dicevano con quel tono di invidia di chi, sapendo di aver superato l’età, non avrebbe ricevuto alcun regalo.
All’epoca erano in tanti coloro che già durante il periodo delle scuole elementari frequentavano, come apprendista, “lu Mastre”. Chi il fornaio, chi il barbiere, chi il muratore, chi il calzolaio eccetera.
Uno di noi che frequentava il “fontaniere” spesso portava con se degli strani sassolini puzzolenti.
La citoletta, la citoletta! Qualcuno esclamò all’improvviso correndo e noi di corsa dietro di lui. Poi alle spalle: “Bbammm!” Uno scoppio.
Gli idraulici all’epoca usavano l’acetilene - per noi ragazzini la citoletta (qualche adulto ci richiamava dicendoci che si diceva “acidolene”, correggendo con un errore il nostro dialetto) - per saldare i tubi e inoltre, in forma gassosa, si usava anche come combustibile per le lampade.
Di li a poco si sarebbe impiegato altro sia per la prima necessità che per la seconda, ma a noi ragazzini poco interessava sapere a cosa servisse quel materiale. Noi eravamo attratti dall’uso che potevamo farne. Fabbricare “bombette” (nemmeno tanto “ette”) o usarle per “impuzzinire” l’ambiente.
Io preferivo la seconda poiché avevo spesso sentito dire da alcuni adulti: “attende ca te freche l’ucchie!” e una volta avevo anche assistito ad un fatto del genere. Un ragazzino più grande di me, poiché la citoletta non esplodeva si era avvicinato per guardare. Proprio in quel momento lo scoppio avvenne e lui quasi perse un occhio.
Sciolta nelle pozzanghere la citoletta puzzava da morire ed anche questo era un divertimento per noi “bardasci”. Riuniti in gruppetti, ci divertivamo ad ascoltare le lamentele delle varie “ZiZì” che passavano, magari di ritorno dalle varie funzioni in chiesa o dal mercato. Ce ne dicevano di tutti i colori. “E vrettacchì, ti facce ji a ricorre a mammete”. “E rotte a lu quiule!” “E fi de freg ….” Non continuo.
Spesso qualcuno di noi veniva riconosciuto e, tornato a casa, subiva le conseguenze.
Una volta ci “diedi” anche io. Mentre mi rialzavo dopo aver messo la “sostanza magica” in una pozzanghera del “giardinetto”, sentii un forte colpo alla testa. Avevo urtato una “riella” di legno che un falegname, “Mastro Micchele Sciarritte”, aveva accuratamente posizionati verso la mia fronte e atteso che io mi alzassi. Prima che io potessi pronunciare qualcosa mi disse: “e me, Laccià, va a ricorre a nonete!
Me ne guardai bene. Avrei preso, oltre alla botta in testa, anche una bella scaricata di “mazzate”. Se non da mio nonno, sicuramente da mia madre.
Qualche tempo dopo, mentre accompagnavo mio nonno alla cantina di “Cicurille”, incontrammo “Sciarritte”. Si guardarono, senza parlare Mastro “Micchele” mi indicò col mento sorridendo, mio nonno annuì qualcosa, io capii.
La “cola cola” di “Cicurille” mi si posò, come di consueto, sulla spalla.

2 commenti:

Ciccosan ha detto...

Aggiunga che l'impiego più diffuso, all'epoca, era per alimentare i lampioni delle lampare.

Francescopaolo D'Adamo ha detto...

E' vero, ho parlato di lampade e non sono entrato nello specifico. Questo anche perchè all'epoca (seconda metà degli anni 60) le lampare già erano poche ed io ne sentivo solo parlare. Alcune, arenate d'avanti a casa di mio nonno alla marina già in disarmo, furono oggettto dei giochi di noi ragazzini.