domenica 10 marzo 2013

Articolo 21


Di Felice Monteferrante

Il testo dell’articolo 21 ha avuto origine dalla proposta del relatore Mortati della Commissione del Ministero della Costituente, una “precommissione” per la Costituzione. Giunti all’Assemblea Costituente, due relatori di parte diversa, Basso e La Pira, presentarono un testo quasi uguale a quello redatto da Mortati; vi furono vivissime discussioni in Sottocommissione, nel Comitato di Redazione e nell’Assemblea Costituente ma, in sostanza, rimase quell’impostazione e, con qualche ritocco, il sistema delle norme proposte. I principali argomenti di dibattito furono:

·    affermare solo il diritto alla libertà di stampa (Lombardi e De Vita) oppure
·    predisporre articolate casistiche da affiancare all’affermazione di principio per   guidare il legislatore (Terracini e Basso);
·    distinguere la stampa e le altre manifestazioni di pensiero (Dossetti), o la stampa periodica da quella non periodica (Lucifero);
·    prevedere o meno l’istituto del sequestro giudiziario di fronte a reati;
·    decidere a chi assegnare il compito di mettere in atto il sequestro

PRIMO COMMA Ruini voleva evitare di inserire nella costituzione dichiarazioni solenni, astratte, di principio, ma ormai la consuetudine si era già affermata per i precedenti articoli e pertanto anche nell’art. 21 si trova scritto:“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”La prima formulazione Mortati diceva “è garantita la libertà di stampa e di espressione del pensiero con qualsiasi mezzo”; Basso e La Pira proponevano “il diritto di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni mediante la stampa o qualsiasi altro mezzo è garantito a tutti”; il Comitato di Redazione apportò piccoli ritocchi formali. Calosso intervenne affinché si garantisse la libertà di stampa “dallo Stato, dal capitale, dalla diffamazione, dalla pornografia”: sembrò troppo vago e poco giuridico; Andreotti, invece, domandò che invece di “tutti” si dicesse “tutti i cittadini”: fu considerata una restrizione non giustificata.

SECONDO COMMA“La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”Il secondo comma non fu modificato.

TERZO E QUARTO COMMA“Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto.” Cevolotto, Lucifero e Marchesi non volevano che fosse apposta nessuna eccezione all’affermato principio di libertà. Cevolotto intervenne: “Potrebbero essere necessarie limitazioni in casi macroscopici, ma come aprire la via ad arbitri polizieschi? La libertà di stampa o si ammette senza eccezioni, pur cercando di fronteggiare in altro modo eventuali eccessi e pericoli, o non si riuscirà mai a garantirla efficacemente”. Lelio Basso sostenne invece la necessità dell’istituto del sequestro precedente la condanna da parte dell’autorità nel caso in cui, in nome del diritto alla libertà di stampa, si fossero compiuti dei reati. Al termine del confronto anche i contrari convennero sulla possibilità del sequestro di fronte a reati, ma aggiunsero che “sarebbe stata cosa pericolosissima ed un’offesa alla dignità della stampa” lasciare questo potere nelle mani della polizia. Ruini, nella sua relazione sul progetto presentato all’Assemblea, riferì: “Vietato il regime di censura e di autorizzazione, si è ammesso il sequestro, col doppio presidio di una precisa designazione da parte della legge, di reati o di violazioni di norme, e dell’intervento dell’autorità giudiziaria; non dovrebbe essere consentito alcun altro sequestro; ed è da sperare che si realizzi un assetto tale da offrir modo al magistrato di intervenire sempre tempestivamente; ma, ove ciò non sia possibile per provvedimenti urgenti sulla stampa periodica, è sembrato alla maggioranza della Commissione che l’accordare all’autorità di polizia una facoltà determinata e soggetta sempre all’immediato controllo della magistratura, sia preferibile all’espediente di ricorrere a disposizioni oscure della legge di pubblica sicurezza, che furono preziose al fascismo ma, ormai, devono essere abbandonate”.Vi furono poi nuove discussioni riguardo al sequestro: - solo in presenza di una sentenza irrevocabile del giudice (Perassi e i repubblicani);- non affidato alla polizia, ma ad uffici giudiziari creati appositamente e in grado di intervenire in modo rapido (Ghidini e i socialisti);- Andreotti avrebbe voluto la “formula più restrittiva possibile” per il sequestro.La preoccupazione di abusi da parte della polizia fu superata dall’intervento di Aldo Moro che sottolineò come la libertà cessasse di essere tale quando diventava abuso, e gli abusi dovevano essere colpiti, sia pure per mezzo dell’autorità di pubblica sicurezza.Dopo aver sostituito le espressioni “reati” con “delitti” e “ufficiali di pubblica sicurezza”, come avrebbe voluto Togliatti, con “ufficiali di polizia giudiziaria”, venne dunque approvata la dicitura attuale.

QUINTO COMMA
“La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.”
Il testo non venne modificato, anche se vi fu un certo dibattito: Cavallari e Montagnana chiedevano un controllo che garantisse ad ogni corrente il diritto di stampa; Dossetti propugnava la necessità di controllare non solo le fonti finanziarie, ma anche le fonti delle notizie; Fanfani e Gronchi volevano, con spirito profetico, che si regolasse anche “l’utilizzazione delle imprese tipografiche e di radio diffusione”. SESTO COMMA
“Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”
Il dibattito avvenne in Assemblea dove emerse l’esigenza di condannare in modo più drastico le offese alla morale, al buon costume, alla decenza, e inoltre la pornografia e l’oscenità, non per puritanesimo, ma per reazione all’ondata di pubblicazioni immorali (Nobile e Terracini). Pur con la consapevolezza della difficoltà di distinguere tra arte e pornografia (citarono Boccaccio e Flaubert), furono ritenute necessarie anche misure di sequestro preventivo.
Il testo definitivo così recita:” "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure .Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'Autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'Autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'Autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni."
Un fatto certamente importante per la nascente Repubblica Italiana: da allora i “media” hanno avuto un forte sviluppo passando dal IV° potere della stampa al V° della televisione, raccontati da celeberrimi film, fino al potere del w.e.b. ( si potrebbe aggiungere il potere della satira oggi però, sempre meno presente e sempre più accondiscendente al potere): tutto ciò porta l’uomo contemporaneo a doversi districare in una messe di dati molto spesso contraddittori l’uno dall’altro:basti pensare che solo a fine “800 un uomo di cultura nell’arco di un intera vita aveva assimilato informazioni pari a quelle di un solo giorno della nostra epoca.
Ecco perché il ruolo di una corretta informazione oggi è così importante:informare = dare forma ad un evento è forse utopistico e perfino ipocrita in quanto, ognuno legge ogni dato di realtà in base alle sue convinzioni, alle sue ideologie ed alle sue esperienze cioè, in funzione della sua bio-grafia: ed oggi molti studiosi di semiotica, di estetica e persino fisici, sono concordi nel definire informazione e comunicazione inversamente proporzionali l’una dall’altra: cioè tanto più cresce la comunicazione (rumore di fondo) tanto più decresce l’informazione.

Valga come esempio ciò che è accaduto nella recente campagna elettorale ma soprattutto nel dopo voto: tutti gli organi di informazione continuano a ripetere, come dei mantra ,che la campagna elettorale (e come detto  il dopo voto), è stata si soprattutto mediatica (con quasi il doppio delle ore concesse ai dibattiti politici nei soli due grossi network R.A.I. e Mediaset), ma ha avuto una larga partecipazione di piazza non solo quella del Movimento 5 Stelle.
Questo è certamente vero ma solo pochi commentatori (conservatori e forse per questo più inclini al ragionamento) hanno cercato di fare un informazione corretta analizzando i vari slogan e soprattutto i simboli che li accompagnavano.
L’antropologo americano David I.Kertzer all’inizio del suo libro “Riti e simboli del potere” racconta un aneddoto prima di enucleare il suo discorso: Il 15 settembre 1810, il sacerdote creolo Miguel Hidalgo convocò i suoi parrocchiali alla chiesa del villaggio e li incitò alla rivolta contro l’oppressivo governo della colonia spagnola del Messico, fungendo così da catalizzatore di una sanguinosa rivolta. Ancora adesso, due secoli dopo, ogni 15 settembre alle 11 di sera in punto, il Presidente del Messico si affaccia al balcone del  palazzo nazionale a Mexico City sventolando lo stendardo tricolore. Dinanzi ai cittadini in festa che gremiscono la piazza centrale, egli fa risuonare dall’alto le grida cerimoniali:”Viva la indipendencia! Viva Hidalgo! Viva Morelos! Viva Juarez! Viva Mexico!”.Un tuonante “Viva!” della folla euforica saluta ogni frase e la sua voce amplificata, risuona in tutta la piazza.
Facendosi da parte il Presidente suona le campane del palazzo, cui si uniscono subito quelle della cattedrale nazionale. I fuochi d’artificio illuminano il cielo ed alla fine colori incandescenti tracciano nell’aria il volto di padre Hidalgo, in ricordo del momento in cui egli lanciò il suo grido originale di “Viva!” in quell’oscura chiesa di tanti anni fa.
Dal congresso del National Party alle cerimonie del giuramento presidenziale, dalle udienze di una commissione del Congresso al ruggito della folla in uno stadio di calcio che si raccoglie intorno all’Inno Nazionale il rituale costituisce ovunque parte della vita politica moderna.
Attraverso il rituale gli aspiranti leader della politica combattono per affermare il loro diritto a governare, mentre gli attuali detentori del potere cercano di consolidare la loro autorità ed i rivoluzionari tentano di ritagliarsi le basi per una nuova fedeltà politica.
Tutte queste figure politiche, dai capi delle insurrezioni ai campioni dello status quo, utilizzano i riti per creare una realtà politica da offrire alla gente che li circonda..
Con la partecipazione ai riti, il cittadino di uno Stato Moderno può identificarsi con le più ampie forze politiche che possono essere colte solo in forma simbolica.
Il rituale politico ci fornisce un modo di comprendere cosa accade nel mondo, poiché il mondo in cui viviamo, per essere compreso, ha bisogno di venire semplificato drasticamente.
Malgrado ciò, sono ancora una minoranza coloro che riconoscono l’importanza del rituale nella politica moderna.
Poiché il rituale viene usualmente identificato con la religione e dato che le moderne società occidentali hanno in genere separato le vicende della politica dalla vita religiosa, permane la convinzione che il rituale conservi un significato politico solo nelle società meno avanzate.
Ma la società industriale è davvero così diversa nella sua sacralizzazione del potere? Davvero le scelte politiche sono ora  il prodotto dell’attività razionale dei burocrati ed i fenomeni di fedeltà politica sono realmente decisi da un’analisi costi-benefici? Per la gente i governanti sono veramente eguali a loro per l’essenziale? In Polinesia i governanti temporali si consideravano discendenti degli dei e, come tali, potevano irradiare il mana, cioè un potere sovrannaturale:essendo così potenti essi erano attorniati da tutta una serie di rituali che governavano qualsiasi interazione  con i loro sudditi.
Certo non è che una simile razionalizzazione in termini sovrannaturali del potere secolare prevalga ai giorni nostri negli Stati Uniti o in altre società industriali e nondimeno ancora oggi i soggetti dotati di potere politico sono circondati da una serie di riti che definisce sia il loro rapporto con il pubblico, sia le loro relazioni reciproche agli occhi dell’opinione pubblica.
Eppure il rituale politico è sempre stato considerato una parolaccia dagli intellettuali occidentali educati nella tradizione dell’utilitarismo: questi intellettuali, accecati dal loro modello razionale dell’universo politico, non vedono che il rituale avviluppa l’azione ed il potere politico.
La rilevanza del rituale in politica è molto più ampia: i Re usavano il rituale per puntellare le loro monarchie ed i rivoluzionari se ne servivano per rovesciare i sovrani.
L’èlite politica impiega il rituale per legittimare la propria autorità ed i ribelli per combatterla utilizzano riti di delegittimazione.
In definitiva, se il rituale è essenziale alla reazione, esso costituisce anche la linfa vitale della rivoluzione.   

Pur considerando i cittadini molto più intelligenti di quanto i politici credano, valga come monito per tutti noi il decalogo per difenderci dall’informazione che imbroglia proposto da  Noam Chomsky

Attenti alla strategia della distrazione: prende per mano il pubblico e lo porta dove vogliono i padroni del potere. Rimanda le decisioni impopolari nei giorni delle vacanze quando nessuno vuole sapere cosa fanno i politici. Chi vota viene trattato come un bambino: «adesso vi spieghiamo qual è la vera verità»

1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.
5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti.
7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti.
9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su se stessa

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