martedì 12 gennaio 2010

... l'architetto è proprio bravo.

Da Histonium.net


Si incatenano a volte in misteriose contiguità le letture ed i fatti del giorno. Per me le letture sulla triste storia della Pennsylvania Station in New York, costruita nel 1911 e demolita tra il 1963 ed il 1965; e le discussioni intorno alla stazione ferroviaria di Vasto e San Salvo, per la scarsa attenzione delle Ferrovie dello Stato verso questo scalo.

Fermano pochi treni. La privatizzazione, le regole dell'economia e quelle dell'economicità, unite forse a quelle del profitto, fanno 'dimenticare' - e di conseguenza umiliano - un'area importante della nostra Regione. La stazione è sempre più distante da chi ne ha bisogno o forse è tutta la costa adriatica che si allontana dal resto del paese, procedendo a velocità ridotta, seguendo a distanza le inaugurazioni tirreniche dell'alta velocità. Una arteria strategica come quella ferroviaria irrora sempre meno la vita che trasporta questo territorio, che viviamo e che pure di tanta vita in più oggi ha bisogno. Senza guardare alle responsabilità degli altri, bisogna interrogarsi sulle responsabilità che ci appartengono, ai troppi appuntamenti mancati in un territorio smembrato che non riesce a fare corpo unico.

L'intuizione di una stazione unificata tra Vasto e San Salvo è da scrivere tra quelle buone intuizioni che si sono attuate in questa parte d'Abruzzo nel passato. Provo a guardare il problema di oggi da una diversa angolazione, rispetto a quella già ben ampiamente dibattuta dagli altri. Questa stazione non è stata mai amata. Non è stata mai propria di nessuna comunità locale ed ambiva ad essere cerniera e amalgama tra due città. Il seme della 'Città Futura', quella Città che dobbiamo ancora immaginare. Le connessioni delle vie di comunicazione sono il luogo della vita, dell'incontro, sono il posto delle emozioni; intorno alle quali nascono nuove città, da sempre. Sono mancate le emozioni, l'amore per una idea, fin da quando è stato disegnato l'involucro che avrebbe dovuto contenerla. Voglio toccare questo aspetto non altri. L'ambizione di uno strumento baricentrico Š stata interpretata ponendo uno scatolone lungo i binari, una struttura fredda, industriale, senza passione. Avrebbe meritato quel progetto una attenzione maggiore che sapesse uscire dal confine strettamente utilitaristico per creare un luogo.

La forma è sostanza. Gli spazi di passaggio nella vita degli uomini sono spazi sensibili da trattare con attenzione all'inconscio. Un ponte non è un segmento ortogonale alla linea fiume. Mancano agli spazi non pensati le caratteristiche essenziali per nutrire l'animo umano di condivisione, di connessione con l'intorno. Delle 'vecchie' stazioni non ci manca soltanto il numero di treni che vi fermavano. Ci manca anche altro. Chi ha utilizzato il treno non solo occasionalmente lo sa, sa che scendere alla stazione di Vasto era una esperienza di cui ricordi non solo lo stridere e l'odore dei freni dei treni ma anche quello degli oleandri e dei giardini fioriti. Ricordi l'entusiasmo dei bambini alla vasca dei pesci rossi e gli archetti di metallo a proteggere i fiori. Ricordi le panche nella sala d'attesa nei periodi freddi e il legno lucido delle sedute, il tepore dei radiatori, le porte in legno e le lampade ad incandescenza. Ricordi la possibilità di guardare oltre. La possibilità di affacciarsi di là dal mistero delle coincidenze, oltre la magia degli scambi, attraverso i vetri da cui si intravedeva il berretto rosso del capotreno. Ci figuriamo le meraviglie delle tradizionali stazioni italiane che non abbiamo saputo reinterpretare, dove anche i magazzini erano disegnati bene. Dalla statale 16 si vede quello bello della stazione di Vasto con il tetto a capanna.

Le stazioni pensate per accogliere, pensate per gli uomini e non solo per le merci. Quanti treni servono per rendere viva una stazione? Se solo quelli che si fermano lo facessero sul primo binario e non sul terzo l'attesa sarebbe diversa. Potresti evitare l'uso del sottopassaggio, sempre ostile e non resteresti poi con la valigia, in piedi tra i binari. Abbiamo perso il meglio della nostra storia, non sappiamo rappresentarci. Dobbiamo riscoprire i materiali e le forme 'dolci' e durature, l'attenzione per chi arriva, per chi si ritrova, per chi va via. Quanta letteratura, quanta filmografia vana. E' il tempo di un nuovo umanesimo, anche per i trasporti.

( ...) di tutte le cose misura è l'uomo, di quelle che sono, per ciò che sono, di quelle che non sono per ciò che non sono (Protagora, fr.1, in Platone, Teeteto, 151d-152e)
Agostino Monteferrante

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