lunedì 11 gennaio 2010

... ho trovato un brandello di via


UNA DONNA
lunedì, 11 gennaio, 2010, 11:36 - Editoriali
di DAVIDE D'ALESSANDRO



Furono più gli amori avuti che i libri scritti, quelli di Sibilla Aleramo, all’anagrafe Rina Faccio. A cinquant’anni dalla morte, l’incipit non suoni irriverente. Poiché la scrittrice d’amore visse, d’amore patì, d’amore scrisse. E di donne, di emancipazione, di libertà ma, di più, di una donna. Di se stessa che, a quindici anni, subì la violenza carnale: l'indicibile.
Ma trovò le parole per dirlo, cercando di sradicarsi di dosso lo sguardo malefico di chi ne abusò, il dolore, la compulsione, la morte. E negli amori (da Cena a Cardarelli, da Papini a Gerace, da Boccioni a Boine, da Franchi a Rebora, da Campana a Quasimodo a Evola, da Emanuelli a Mattacotta, senza trascurare la passione per la Duse), si immerse, sprofondò, a caccia di ciò che le era stata negata: la vita.
Costretta al matrimonio riparatore, a 26 anni trovò la forza di “strappare”, di abbandonare la famiglia e di approdare a Roma dove, grazie a Cena, il suo lavoro letterario prese corpo. “Una donna” fu un successo strepitoso, internazionale, tradotto negli Stati Uniti e in tutta Europa. Ma il successo non azzerò l’inquietudine, anzi continuamente la rinnovò.
Tra l’impegno politico, l’attività nel movimento femminista, la prosa e le poesie, furono le tormentate storie d’amore a tenerla sulla corda della vita, a farle vibrare e bruciare il cerino della vita. Una su tutte la lacerò: quella con Dino Campana. Chi ha letto “Un viaggio chiamato amore”, il carteggio tra la scrittrice e il poeta di Marradi, sa che desiderio, possesso, gelosia, disperazione e follia sono ingredienti del pasto di cui, chi si ama, quotidianamente e incessantemente si nutre. Un amore impossibile eppure possibile, per due anni straordinariamente, intensamente possibile. Se il poeta passò dal carcere al manicomio, dall’amore alla morte (e non certo per lei o non solo per lei), Sibilla rimase in piedi. Devastata, ma in piedi. Perché aveva conosciuto da ragazza la ferita. Aveva imparato a tenerla con sé. Era parte di sé, la ferita. E negli uomini, in tutti gli altri uomini, e nei libri, in tutti gli altri libri, continuò a cercare ciò che le era stata negata: la vita.
Ma non ne trovò che brandelli.
Brandelli di vita.

4 commenti:

giusfra ha detto...

Mah! E' noto il narcisismo colto, la bulimia delle parole, del D'Alessandro, ma tu che motivo hai di pubblicarlo sul tuo di blog?

Francescopaolo D'Adamo ha detto...

perchè ho questa cartolina inviata da Sibilla Aleramo a Francescopaolo Celenza, zio di mia moglie, personaggio incredibile, poco conosciuta dai vastesi (moderni). Mi è sembrato simpatico considerarlo un "brandello" di vita di Sibilla. Grazie per avermi messo nella condizione di fare uesta precisazione.

giusfra ha detto...

Bene (...in questo caso non c'entra quell'animale strano=mostruoso della politica). Ma chi era, o chi è stato Fancescopaolo Celenza?

Francescopaolo D'Adamo ha detto...

Sto scrivendo un libro su di lui.Era un barbiere, autodidatta, corrispondete di vari giornali italiani. Fondò il Gazzattino d'Abruzzo e Molise e collaborò con mlti letterati d'epoca ... fascita. Un personaggio eclettico (continua)